Le migliori esperienze da vivere in vacanza in ValSeriana e Val di Scalve https://www.valseriana.eu/argomenti/top-5/ Portale turistico Fri, 29 Dec 2023 10:56:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 125612197 Un sogno a occhi aperti https://www.valseriana.eu/blog/un-sogno-a-occhi-aperti/ Fri, 29 Dec 2023 09:47:53 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=65900

Pare che Walt Disney, per spronare i suoi collaboratori a dare forma e concretezza a progetti apparentemente utopistici, ripetesse una frase divenuta un mantra: «La differenza tra un sogno e un obiettivo è semplicemente una data». Facile a dirsi, difficile a farsi.
Soprattutto quando il cerchietto rosso sul calendario è distante “appena” ventiquattro mesi e i lavori da fare sono tanti, anzi tantissimi.
Eppure… eppure a Colere sono stati di parola. E il sogno è diventato realtà: la Val di Scalve ha nuovi impianti sciistici all’avanguardia, pronti ad accogliere almeno centomila ingressi quota a cui è stata fissata l’asticella per la stagione invernale 2023-2024 ormai al via. Dopo il primo passo, avvenuto nel dicembre 2021 con la presentazione del progetto di rinnovamento e rilancio degli impianti e, soprattutto, con la firma della convenzione tra Rs Impianti e Comune per la gestione e manutenzione del comprensorio per i successivi 60 anni, la seconda tappa fondamentale del percorso è datata marzo 2023, quando sono concretamente iniziati i lavori. Un investimento complessivo da ben trenta milioni, di cui 4,5 da Regione Lombardia e i restanti arrivati dal banchiere della finanza internazionale Massimo Belingheri, che proprio a Colere ha le sue radici e che ha voluto restituire qualcosa (più di qualcosa, a dire il vero) alla comunità in cui è cresciuto. Di questi finanziamenti, ventidue sono serviti per la parte più importante dei lavori, ovvero il rinnovamento totale dell’impiantistica. 

Nuova cabinovia di Colere

Colere Infinite Mountain

Tecnologia all’avanguardia, dicevamo. E lo si capisce subito quando si arriva in località Carbonera, dove iniziano le piste: la vetusta seggiovia biposto che portava a Polzone è stata sostituita da una cabinovia ad agganciamento automatico da dieci posti della Leitner. Grazie alle 34 cabine “marchiate” dallo slogan «Colere Infinite Mountain» sarà possibile percorrere i 1.500 metri circa di distanza (con un dislivello di 499 metri) in pochissimi minuti. Da Polzone, poi, si potranno coprire i 500 metri di dislivello che separano da Cima Bianca grazie alla nuova seggiovia a sei posti (sempre della Leitner) che prende il posto della precedente, biposto. Infine, come ha spiegato il presidente di Rs Impianti, Carlo Zanni, «la seggiovia biposto Capanno ha sostituito il vecchio skilift, mentre la triposto Ferrantino è stata rimessa a nuovo». Insomma, a Colere torna il piacere dello sci. Con ben sei piste a disposizione di appassionati e turisti. In tal senso, ha toccato il cuore l’annuncio della riapertura della mitica Pista Italia: di difficoltà rossa, è lunga poco più di 2,5 chilometri e vanta un dislivello di 275 metri.

Rifugio dell’Aquila, Colere

Praticamente attaccata, ecco la pista Presolana (anch’essa rossa): lunga 4 chilometri, presenta pendenze ragguardevoli e un dislivello di 625 metri. Soleggiata, offre una vista meravigliosa su tutta la vallata e, ovviamente, sulla Regina delle Orobie, ovvero la montagna da cui prende il nome. A concludere l’offerta delle piste rosse c’è quella denominata Corna Gemelle: lunga 2,5 chilometri, presenta un dislivello di 525 metri. Per chi ama l’adrenalina della velocità e una sciata ancora più tecnica, gli impianti di Colere presentano anche due piste nere: la Vilminore, lunga 3 chilometri e con un dislivello di ben 625 metri, e la Diretta Carbonera, sempre 3 chilometri per un dislivello leggermente inferiore, di 544 metri.
A chiudere l’offerta, il Campo Scuola, ovvero la pista blu pensata per i più piccoli e per chi vuole avvicinarsi allo sci: lunga soli cento metri, presenta un dislivello minimo di 20 metri. Ovviamente, per fare in modo che questi impianti rendano al meglio è necessario un ingrediente fondamentale: la neve. Banale direte, ma visti gli ultimi inverni e il cambiamento climatico in atto, la cosa non è così scontata. Per questo un investimento importante ha riguardato anche il rifacimento completo degli impianti di innevamento che coprono le piste fino all’altitudine di 1.800 metri. Rientra in questo progetto anche l’ampliamento del bacino idrico a Polzone, necessario proprio per l’eventuale produzione di neve artificiale.

Foto di Davide Ripamonti / VisitBergamo

Relax ad alta quota

Il sogno che sta prendendo vita a Colere, però, non si ferma qui. Perché è evidente come non bastino delle ottime piste da sci con impianti all’avanguardia per soddisfare un’utenza che è sempre più esigente. Per questo motivo, la Rs Impianti ha pensato anche a strutture di accoglienza in grado di accrescere ulteriormente, da qui ai prossimi anni, il numero di presenze durante la stagione invernale (e non solo). Dei trenta milioni di investimento complessivi, dunque, otto sono stati destinati al rinnovamento dei rifugi presenti nel comprensorio, che sono tre: lo chalet Plan del Sole, il Cima Bianca e quello dell’Aquila. A occuparsi del progetto è stato lo studio P2A Design, nello specifico l’architetto Alessandro Pasini. A differenza degli impianti, la cui apertura nella loro nuova e splendente veste è imminente, il risultato di questo secondo lotto di investimenti si vedrà solo dall’anno prossimo.

Foto di Colere Infinite Mountain

Ma l’obiettivo è altrettanto ambizioso: elevare il comprensorio di Colere al livello di quelli più rinomati dell’Alto Adige. Quindi non solo accoglienza degli appassionati, ma un occhio anche a chi va in cerca di relax e “coccole” ad alta quota. Emblematico in tal senso il progetto che riguarda il rifugio Plan del Sole, situato all’arrivo della nuova cabinovia che parte da Carbonera. Presenterà ben ventisei stanze, pensate un po’ per tutte le esigenze e comprensive anche di suite. Ci saranno poi un’area bar e un ristorante alla carta, aperti sia a pranzo che a cena, oltre ovviamente a un’area ristoro self service e un dehor destinati a chi usufruirà delle piste. Non mancheranno infine una spa con invidiabile vista sulla Presolana e una sala conferenze. «Il rinnovamento seguirà l’ottica della destagionalizzazione, per valorizzare anche le mezze stagioni», ha spiegato Pasini. Anche per il rifugio Cima Bianca è prevista una ristrutturazione completa, che partirà dagli interventi di adeguamento sismico, tecnologico ed energetico.
È poi previsto un ampliamento della struttura, così che possa ospitare nove stanze da letto (di cui una sarà una suite panoramica), bar e ristorante, area ristoro self service, ski room e area lounge. Circa lo chalet dell’Aquila, invece, per ora non sono previsti interventi: «È il rifugio situato più in alto ha commentato Zanni ed è dotato di una struttura molto caratteristica. Per questo dobbiamo ancora pianificare un restyling». 

Foto di LinoOlmoStudio

Un’occasione per la Val di Scalve

«Tra pochi anni, la Val di Scalve sarà una delle valli più importanti e attrattive della Lombardia», ha affermato la sottosegretaria allo Sport in Regione Lombardia, Lara Magoni, bergamasca doc ed ex campionessa di sci. È evidente come, per lei, l’ambizioso progetto di rinascita del comprensorio sciistico rappresenti qualcosa di più di una semplice scommessa. «Ripenso alla me bambina che quaranta anni fa andava a Colere con suo padre, che era maestro di sci ed era convinto che Colere fosse uno dei comprensori più belli della provincia», ha dichiarato a L’Eco di Bergamo.
Quel ricordo può tornare attuale: «Questi investimenti cambieranno le sorti della Valle. Sarà importante che gli scalvini si attivino sul fronte commerciale, tornando a credere nel turismo e attivandosi per fornire servizi a loro volta». Un messaggio chiaro alla popolazione locale, chiamata quindi ad assecondare ciò che sta avvenendo dalla località Carbonera in su. Al momento, come sottolinea il sindaco Gabriele Bettineschi, non si registra ancora grande vivacità, ma la speranza è che questa prima stagione invernale porti, insieme a tanti ospiti, anche entusiasmo. E, di conseguenza, idee e ulteriori investimenti sul fronte commerciale e turistico. Allo stesso tempo, però, anche le Istituzioni devono fare il loro.
Ovvero mettere al servizio del paese e del comprensorio una rete viabilistica in grado di sostenere i flussi di visitatori senza andare in sovraccarico. Attraverso il Pgt (Piano di governo del territorio), l’Amministrazione ha già aperto la porta alla progettazione di nuovi parcheggi e di una circonvallazione che “liberi” il centro di Colere dal traffico. La speranza è che la Provincia faccia da spalla e dia il suo contributo all’opera, magari fissando una data ultima per risolvere la questione, ovvero l’inverno 2024-2025. Del resto, solo così i sogni diventano obiettivi. Walt Disney e Colere insegnano. 


Articolo di Andrea Rossetti del VALseriana & Scalve Magazine Inverno 2023/2024

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7 piccoli borghi delle Magnifiche Valli https://www.valseriana.eu/blog/7-piccoli-borghi-delle-magnifiche-valli/ Wed, 20 Sep 2023 16:32:15 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=64788 OLERA 
A circa 5 chilometri dal centro di Alzano Lombardo incontrate il borgo medievale di Olera. Una manciata di case strette attorno alla parrocchiale, che pure può vantarsi di aver dato i natali al Beato Tommaso Acerbis, uno dei mistici più interessanti del Seicento.
Il suo centro, stretto tra vie pedonali, rievoca altre epoche grazie al susseguirsi di archi, portoni, finestrelle e viottoli.

La visita di Olera non può che partire da piazza Fra Tommaso da Olera, dove lasciate l’auto e intraprendete la scoperta. Nella chiesa di San Bartolomeo Apostolo incontrate il primo capolavoro che questo borgo custodisce: uno splendido polittico realizzato da Cima da Conegliano nel 1495 forse su commissione dei tagliapietra oleresi attivi in Veneto. Si tratta di unopera sbalorditiva, con profusione d’oro e una finezza di pittura che lo rende uno strabiliante oggetto di devozione. La visita prosegue poi nella vicina ed antica chiesetta della Santissima Trinità che conserva alcuni lacerti di affreschi andati in buona parte distrutti negli anni ’40. Attraversando l’abitato, si raggiunge poi la chiesa di San Rocco, situata oltre il paese, in una posizione che apre una panoramica di rara bellezza sulla valle sottostante.


BORGO TARAMELLI

Il borgo Taramelli è il cuore di Selvino. È un piccolo scrigno di antiche abitazioni in pietra unite le une alle altre, in un abbraccio al caratteristico cortile, sul lato destro di Piazza Europa. L’accesso al Borgo Taramelli è definito da due aperture: dal versante del Caffè Del Piccinini e dalla via centrale Monte Rosa. Sulla destra di via Monte Rosa, si apre la piazzetta intitolata a Guglielmo Marconi (1874-1937), sulla quale fino ai primi anni del Novecento si affacciava una grande stalla utilizzata dagli abitanti del borgo. L’edificio centrale è uno dei più vecchi edifici di Selvino, risalente ai primi anni del Cinquecento. Da questo antico caseggiato è stato ricavato il famoso ex Albergo Falcone, certamente il primo albergo di Selvino.

Oltrepassando il doppio portichetto si scopre la meraviglia: un arco con tettuccio simile a un piccolo ponte sospeso detto “Canècc” che funge da porta di accesso interno al borgo vero e proprio. Alla sinistra dell’arco a tettuccio-sospeso è visibile la linea di un arco chiuso da una portafinestra. La linea dell’arco è incorniciata sulla sommità da uno stemma in pietra che reca la data 1563 e si mostra con tre simboli stilizzati e uno più grande al centro. Sopra questo stemma ci si incanta a rimirare un quadro, oggi restaurato, che rappresenta una Madonna con Bambino risalente allo stesso periodo.


CLUSONE

Clusone è uno dei Borghi più Belli d’Italia e Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, certamente un viaggio tra arte e tempo tra i più ricchi e interessanti di tutta la ValSeriana.
La sua storia risale all’epoca romana e, nel corso dei secoli, i numerosi affreschi che troverete passeggiando nel centro storico su edifici pubblici e privati le hanno fatto guadagnare l’appellativo di “Città dipinta”. Il punto di partenza per visitare Clusone è sicuramente l’incantevole Piazza dell’Orologio, cuore pulsante del borgo e dalla quale non potrete che restare ipnotizzati dall’Orologio Fanzago posto sulla Torre del municipio.
Si tratta di un’opera di inestimabile bellezza progettata da Pietro Fanzago nel 1583, ancora oggi caricato manualmente e che con un’unica lancetta che ruota in senso antiorario indica le ore, i mesi, i giorni, la durata del giorno e della notte, i segni dello zodiaco, le fasi lunari. Proseguendo verso la parte più alta della Città, incontrerete altri capolavori: la Basilica di Santa Maria Assunta e l’Oratorio dei Disciplini sulla cui facciata è conservato uno dei simboli dell’arte clusonese, la Danza Macabra. Si tratta di un’opera unica in Europa e che dal 1485 ispira e suggestiona con la mirabile raffigurazione dei temi della morte e della Danza tra vivi e morti. Dal sagrato della Basilica la vista sconfina sull’Altopiano e su pianoro di San Lucio, fino a incontrare la piccola chiesetta della Trinità posta sul colle Crosio.  Da questa posizione potete procedere la passeggiata nel centro storico e lasciarvi affascinare dai numerosi Palazzi Nobiliari e le preziose chiese minori. 


CACCIAMALI


Cacciamali è un’antica contrada montana situata ad Ardesio posta a 1030 mt di altitudine sulle pendici del Monte Secco. È un luogo di pace, dove è facile riconnettersi con la natura, assaporare i ritmi lenti della vita di montagna e godersi una finestra panoramica privilegiata sui Giganti delle Orobie. Spostandovi dal cuore di Cacciamali e lasciando le baite alle spalle, incontrate la chiesetta di Santa Maria Bambina che veglia sul borgo con il suo aspetto semplice e tipicamente montano, dove l’essenziale concilia un momento di preghiera. La frazione è raggiungibile a piedi tramite una strada sterrata con un percorso di circa 1h. La partenza è dalla località Cerete... lungo la via avrete la fortuna di incontrare nove Segnali di Cultura, nove tappe arricchite dalle parole che il grande scrittore Dino Buzzati ha dedicato alla natura, al vento, alla montagna. 


GROMO

Proseguendo verso la parte più a Nord della ValSeriana, incontrare un altro borgo tra I più Belli d’Italia e Bandiera Arancione del Touring Club, quello di Gromo, noto come “La Piccola Toledo per la produzione di armi bianche che un tempo venivano forgiate in quello che era un ricco centro artigianale.
Si tratta di un borgo medievale che vi regalerà un salto nel passato: Gorno infatti conserva immutata la struttura tipica dei villaggi di montagna, con vicoli e case in pietra impreziosite da balconi e loggiati.

Iniziate la visita dalla Chiesa Parrocchiale di San Giacomo Apostolo risalente al XII sec. ma ricca di opere che coprono un arco temporale molto lungo e che testimoniano le vicende storiche e culturali del borgo. Una volta usciti, proseguite verso il centro fino a Piazza Dante, cuore pulsante di Gromo circondato dal Palazzo Comunale del XV secolo; l’antico Castello Ginami eretto nel 1226, che conserva la slanciata torre trecentesca in bugnato rustico; la chiesetta di San Gregorio, una costruzione che risale al 1335 e nasce, probabilmente, come oratorio privato dell’attiguo Castello Ginami; l’elegante fontana del XVI accanto al municipio, in marmo che è sormontata da un cigno, l’emblema del paese.
Per conoscere la storia ed approfondirne le caratteristiche che lo rendono autentico non potete che concludere la visita al MAP – Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene, allestito in palazzi Milesi.


AZZONE

Azzone si trova in Valle di Scalve, a una cinquantina di chilometri da Bergamo e conserva intatto quel fascino che solo in piccoli borghi montani potete subire. La visita di Azzone parte al centro dell’abitato,  dove si trova la Torre Civica di origine medievale, risalente al XIV secolo e recentemente ristrutturata. Alta circa 15 metri, è costruita in massi squadrati, disposti a corsi regolari ed è la figura principale dello stemma del Comune di Azzone. La visita prosegue verso la chiesa parrocchiale dedicata a San Filippo e San Giacomo, riedificata nel periodo 1724 – 1733 e ampliata nel 1860, dove ammirare alcune opere del clusonese Antonio Cifrondi. Del pittore tardo-barocco anche la “Madonna Addolorata” conservata nella Chiesa di Santa Maria Maddalena arroccata nella frazione di Dezzo, ultima tappa di questo viaggio di scoperta e bellezza. 

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Sette meraviglie d’estate https://www.valseriana.eu/blog/sette-meraviglie-destate/ Thu, 13 Jul 2023 08:01:32 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=62832 L’incoronazione di Carlo III e della moglie Camilla come re e regina del Regno Unito e degli altri reami del Commonwealth si è svolta lo scorso 6 maggio nell’abbazia di Westminster, a Londra. Il giorno successivo i reali, e con loro milioni di cittadini britannici in tutto il mondo, hanno festeggiato riunendosi sull’erba di parchi e tenute per gioiosi picnic. Anche ValSeriana e Val di Scalve offrono, per questo scopo, bellezze “reali” che spaziano tra terra e cielo: montagne, laghi e valli si fondono in un connubio di emozioni che lasciano a bocca aperta grandi e piccini. Per toccare con mano queste meraviglie non serve raggiungere le vette più alte. Con pochi passi (e pochi sforzi) possiamo davvero scoprire luoghi incantati. Scorci da cartolina, perfetti per un picnic con la famiglia, immersi nella natura, dove concedersi qualche ora di pace e riposo travolti dalla bellezza. Scopriamoli insieme.

Panchina del Doppio Lago

La Panchina del Doppio Lago

Un immenso panorama dove le montagne si specchiano nell’azzurro dei laghi d’Iseo e di Endine. La “Big Bench del Doppio Lago” è la novità dell’estate 2023. Situata in Val Gandino, sulle alture dello Sparavera, è raggiungibile con una comoda escursione dopo aver lasciato l’auto nelle aree di parcheggio di Peia Alta oppure, in quota, nella zona di Valpiana, salendo da Gandino. Chi la raggiunge può concedersi un picnic di tutto rispetto, che offre una visuale unica sulle bellezze di ValSeriana, Val Camonica e Val Cavallina. La “Big Bench del Doppio Lago” è la numero 294 del circuito internazionale ideato da Chris Bangle e si trova a poca distanza dal Rifugio Malga Lunga, sede del Museo Storico della Resistenza Bergamasca. Non mancano i percorsi in quota: con pochi sforzi possiamo raggiungere i vicini Monti Sparavera e Grione, mentre i più allenati possono toccare, transitando dalla Baita del Monte Alto, l’altopiano del Farno e il Rifugio Parafulmine. In ogni caso non resteremo delusi. Un picnic da questo balcone panoramico è qualcosa che resterà scolpito nella memoria.

Pineta di Clusone

La Pineta di Clusone

La Selva di Clusone è il luogo ideale per un picnic con la famiglia, per chi cerca pace e quiete o per chi, semplicemente, vuole concedersi una passeggiata immerso nella natura. In estate, il fresco della pineta è un ristoro: al suo interno sono disponibili oltre 20 chilometri di tracciati pedonali, a cui si devono aggiungere quelli del circuito di skiroll e della Pista Ciclopedonale della ValSeriana. Da segnalare anche il “Percorso Vita” tracciato ad anello, della lunghezza di circa 1,5 km e quasi tutto in piano: si compone di ventun postazioni con cartelli ed attrezzi per eseguire i vari esercizi. Il sentiero è largo, segnato dai bollini verdi sugli alberi. I percorsi attraversano un bosco misto di pino silvestre, abeti rossi e latifoglie che costituisce un ambiente di elevato valore forestale e paesaggistico. Passo dopo passo ci si trova immersi una miriade di profumi e colori: fiori di ogni tipo, dai delicati ciclamini selvatici, fino alle fragoline di bosco. Per la gioia delle famiglie non mancano i punti di sosta, con fontanelle e aree attrezzate per il picnic, tutte dotate di tavoli e panchine.

Monte Poieto

Il Monte Poieto con il suo rifugio

Si dice che se Heidi dovesse mai cambiare casa, è proprio qui che si trasferirebbe: in cima al Monte Poieto. A 1.300 metri di quota ci attendono un rifugio, un parco giochi, diversi sentieri per il trekking ma sopratutto bellissimi prati verdi, che in questa stagione si fondono con il cielo azzurro della ValSeriana. Come non soffermarsi per un picnic? Possiamo raggiungere l’altopiano da Aviatico con l’ausilio della cabinovia, attiva dalle 9 alle 18.30 nei giorni di apertura del rifugio Monte Poieto, o con una passeggiata di circa 45 minuti. Il sentiero parte a fianco della cabinovia, salendo nel bosco fino a raggiungere il verde altopiano e il suo impagabile panorama. I più piccoli non resteranno delusi: poco lontano dal rifugio troviamo un recinto con le caprette e alcuni daini. Accanto trova posto un bellissimo e attrezzato parco giochi.

Rusio – Castione della Presolana

Il borgo di Rusio

Se cerchiamo pace e silenzio siamo nel posto giusto. Rusio è una piccola frazione del comune di Castione della Presolana, dal quale dista solo 2 chilometri. Qui il tempo si è fermato e ancora oggi è uno dei pochi esempi di architettura contadina; l’antico nucleo agricolo ha infatti conservato una struttura urbanistica che ricorda le contrade dei secoli scorsi. Le case rurali e le viuzze si concentrano intorno alla chiesetta di San Giacomo, collocata al centro del borgo, piccolo e tranquillo. Rusio non è solo la destinazione per qualche ora di relax, ma è anche il punto di partenza ideale per le escursioni verso la Via del Latte, il Rifugio Olmo, la bellissima Valle dei Mulini e la vicina chiesetta di San Peder.

I luoghi per concedersi un panoramico picnic non mancano: possiamo fermarci ai piedi dell’abitato, in prossimità del ruscello, oppure continuare verso il paese. Se decidiamo di raggiungere la chiesetta di San Peder dobbiamo affrontare un tratto nel bosco: il sentiero è breve (circa 20 minuti) ma piuttosto ripido. La fatica è ripagata da un panorama stupendo: la piccola pieve si trova arroccata su uno sperone che domina la Valle, regalando un paesaggio davvero mozzafiato sulle Orobie bergamasche. Sul retro, un bellissimo balcone erboso regala una vista impagabile sul Pizzo Corzene, montagna “sorella” della Presolana.

Castagneti del Misma

I castagneti secolari di Pradalunga

Bastano pochi passi per lasciarsi alle spalle il frastuono della città. I castagneti di Pradalunga, posti ai piedi del monte Misma, possono essere raggiunti con pochi sforzi dal Santuario della Forcella, panoramica chiesa eretta nel 1600 lungo l’antica Via Mercatorum. In circa 15 minuti di cammino possiamo raggiungere la Baita Pratolina: ci attende un paesaggio da fiaba, caratterizzato da castagni secolari e prati in fiore. Un piccolo paradiso che gli alpini di Pradalunga, ormai da anni, curano con amore. Qui possiamo soffermarci per un picnic in mezzo al verde, oppure possiamo continuare lungo “Le vie del Misma” alla scoperta della terrazza panoramica che più ci aggrada. In questo caso abbia- mo solo l’imbarazzo della scelta: lungo il sentiero si alternano gli scorci panoramici, sulla bassa ValSeriana e sulle montagne bergamasche.

Laghetto di Babes – Valcanale

Il Laghetto di Babes a Valcanale

Prati verdi, ponti in legno, ruscelli, cascatelle e il severo panorama offerto dai monti Secco e Fop. Il laghetto di Babes si trova nella contrada omonima, frazione di Valcanale, a pochi chilometri dal rifugio Alpe Corte, in comune di Ardesio. In questa stagione è una meta apprezzata da escursionisti, famiglie e bambini; tantissimi affollano le sue rive verde smeraldo per un picnic al fresco, circondati dalla natura e dalle sue bellezze.

In prossimità dello specchio d’acqua si trova un chiosco, servito da ampio parcheggio, ma anche tavoli, panchine e sdraio. I bambini possono trasformarsi in piccoli esploratori e scoprire le bellezze della pineta con facili passeggiate, mentre escursionisti e camminatori possono approfittare dei sentieri che risalgono in direzione delle montagne che abbracciano la zona.

Pian del Vione a Colere

Siamo nella solitaria e selvaggia Val di Scalve, ai piedi di una montagna che nei secoli è diventata leggenda: la Presolana. Si racconta che il Pian di Vione ospitò la più sanguinosa battaglia del Nord Italia, combattuta tra i franchi cattolici dell’imperatore Carlo Magno e gli uomini pagani del re Cornelio Alano, signore di Breno. Quest’ultimo, rifiutando con un manipolo di cavalieri la resa ai franchi e la conversione al cattolicesimo, si rifugiò dopo un estenuante assedio del castello di Breno, in Val Decia, oggi Val di Scalve. Ora questo luogo è il regno della pace e del silenzio. Il pianoro si trova all’inizio del Sentiero della Guaita, che conduce anche al Rifugio Albani, ed è raggiungibile dal centro del paese in circa 10 minuti. Da una decina di anni il Pian del Vione è tornato all’antico splendore con il recupero della pineta, la pulizia di prato e bosco, la posa di tavoli, panche e barbecue. Per gli appassionati d’arrampicata c’è anche un’attrezzata falesia in memoria dell’alpinista colerese Roby Piantoni.

Articolo e foto di Angelo Corna per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2023

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La Via Decia, il cammino dei boschi di ferro https://www.valseriana.eu/blog/la-via-decia-il-cammino-dei-boschi-di-ferro/ Wed, 12 Jul 2023 10:42:46 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=62831 Due valli, la Valle Camonica e la Valle di Scalve, unite da questo nuovo percorso proprio nell’anno del centenario del Gleno. Un omaggio alla memoria del Disastro da parte della sottosezione CAI Valle di Scalve, che ha ideato e realizzato il progetto di questo nuovo trekking, con quindici mesi di appassionato e intenso lavoro. Tutti e quattro i comuni della Valle di Scalve sono meta di tappa, con molteplici punti di interesse incastonati lungo il percorso: la forra della Via Mala, la cascata del Vò; la maestosità della Presolana e l’architettura rurale di alcune delle baite più suggestive del territorio (Comen, il Quader); la chiesetta degli Alpini di Azzone e la stessa Diga del Gleno; i musei di Colere e di Schilpario; il Palazzo Pretorio e la chiesa col suo straordinario campanile a Vilminore; il monumento all’eccidio dei Fondi, i parchi e le foreste, l’arboreto alpino; il castello Federici a Gorzone; la Via del Ferro e la Via dei Pellegrini. Otre settanta punti di interesse naturalistico e culturale, tutti documentati nel sito internet www.laviadecia.it, grazie al contributo volontario di esperti appassionati di storia locale. Sul sito, sono reperibili tutte le informazioni utili per organizzare il proprio soggiorno, dall’ospitalità al trasporto locale. Un viaggio per stare nella natura, ma anche nella storia e nelle storie. Come quelle di Giovanni Giuseppe Piccini, il grande scultore coevo di Andrea Fantoni, o di Angelo Maj, il cardinale di Schilpario celebrato da Leopardi.

Lungo la Via Decia si affacciano idealmente i volti e le storie dei residenti, ciascuno custode di vite che sono sempre il precipitato di mondi preziosissimi, da saper incontrare, accompagnati dalla credenziale su cui registrare i luoghi del proprio passaggio. La Via Decia nasce come contributo all’economia dei territori, nel segno di un turismo in cui natura e cultura, socialità e sostenibilità ambientale camminano insieme.

PER CONOSCERE TUTTE LE TAPPE >> www.laviadecia.it

Articolo scritto da Alessandro Romelli per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2023

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I germogli della memoria https://www.valseriana.eu/blog/i-germogli-della-memoria/ Wed, 12 Jul 2023 10:36:03 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=62829 Salire alla Diga del Gleno, farvi ritorno, nell’anno in cui cadono i cento anni dal mattino del disastro, avvenuto alle 7.15 del 1 Dicembre 1923. Raggiungere questo luogo straordinario, in cui – come forse in nessun’altra parte delle nostre valli – bellezza e dolore si intrecciano a vicenda. Si abbracciano e si illuminano.

Un frammento unico nel mosaico delle Orobie. Che fin da bambini abbiamo ricevuto in consegna, fra le mura di casa o fra i banchi di scuola, nel gomitolo dei racconti che avvolgono l’evento della tragedia nella sua nudità̀. Così sono diventati parte di noi gli operai della valle che dal cantiere su al Gleno tornavano inquieti, preoccupati per l’andamento dei lavori; le donne con le gerle, impegnate nel trasporto a monte dei materiali di costruzione; le prime crepe e i rigagnoli d’acqua sulla pelle del muro, mentre ancora saliva; le colpevoli omissioni nella catena dei controlli. Una lezione della storia, questa, che in Italia non abbiamo ancora imparato, dal Vajont al Ponte Morandi, alla superficialità̀ con cui ancora oggi derubrichiamo da molti progetti l’analisi degli effetti che avranno sugli equilibri sottili della natura o del clima. Ancora, la fretta di finire, di afferrare il profitto; quel boato nel primo mattino e la folle corsa a balzi del guardiano Morzenti; il sagrestano di Bueggio, strappato via dal vento insieme al campanile; il paese di Dezzo, sommerso due volte; l’acqua e le fiamme che quel giorno si alzarono insieme dalle centrali; la piena che travolse la Valle Camonica fino a gonfiare il Lago d’Iseo. Infine, la delusione per gli esiti della giustizia, mai come allora così tristemente terrena. Tutto questo fa parte di noi, è vivo persino negli occhi di noi che non lo abbiamo vissuto dal vivo, ma che già̀ dall’infanzia abbiamo appreso in qualche modo come la costruzione della nostra collettiva identità̀ scalvina, comunitaria, debba passare per questo vuoto, per questa ferita. Misurarsi con questo squarcio o questo taglio, come nei quadri di Fontana.

Ed è così che torniamo ogni volta. Ma forse, salire alla Diga, specie per coloro che abitando da queste parti percorrono più̀ volte nella vita, o nello stesso anno, quei medesimi sentieri, non è solo un omaggio alla memoria di un passato statico, congelato. Già Nietzsche, pensatore viandante frequentatore delle montagne fra Svizzera e Italia, mise in guardia dai rischi della storia, quando ci rende incapaci di uno sguardo in avanti, generativo del nuovo.

Così salire quassù è più del ricordo. È forse per tutti, intimamente, il tentativo di elaborare quel lutto, di attraversarlo per uscirne tenendo tra le mani un germoglio. E, azzardo, non solo l’elaborazione di quello specifico lutto, ma anche dei nostri lutti personali, le volte in cui nel nostro personale cammino abbiamo conosciuto una fine, una caduta, una ferita. Un’incrinatura della speranza e del desiderio.

È possibile visionare e scaricare l’opuscolo con tutti gli eventi per il centenario >QUI<

Ecco, a tutti noi parla la Diga. Non solo del passato, ma dell’oggi. O di come un passato possa anche oggi farsi futuro.

Quante volte siamo saliti alla Diga per l’esigenza di dare ordine ai nostri pensieri? Magari camminando fuori dagli orari canonici, fuori dai giorni di grande afflusso. Magari di primo mattino, quando ancora il silenzio a Pianezza avvolge la piazza e puoi sentire l’acqua che gorgoglia dentro la fontana. O piuttosto alla sera, quando ritorni che già sono accese le luci dentro le case e i lampioni giù per la strada. Oppure passando per il Ponte del Gleno, sopra Bueggio, scegliendo di sostare per qualche minuto in una delle sue piazzole di verde o sopra un masso. Soli, in compagnia del torrente. O, infine, salendo da Nona: sentiero meno battuto, ma che vi invito a scoprire. Non solo per la bellezza di Nona nella sua discrezione e contemporaneamente nel vociare dei suoi abitanti, seduti ai tavolini del bar e della bottega che insieme stanno provando a salvare. Ma per come la stradina ti porta in alto su per i prati, a guadagnare la vista della Presolana e del Pizzo Camino. E poi la grazia del bosco, che quasi prepara alla vista del Pizzo di Pianezza, maestoso da qui, e poi della valle del Gleno. Con lo sguardo che risale oltre la Diga, verso i passi di Belviso e Bondione, per sentire che c’è sempre un oltre verso cui tendere ancora. Perché anche dove tutto sembra finire, si trovano passaggi per altre valli, altre genti, altre montagne, altri orizzonti. Ecco, se già siete stati alla Diga, forse avrete notato che davanti al troncone principale sopravvissuto al crollo del muro, si trova oggi un ciliegio. Proprio al centro, incredibilmente maestoso. Ogni volta che passo di lì, da ormai molti anni a questa parte, mi soffermo a pensare alla potenza di questo gesto della natura, alla sua parola: come possiamo trarre vita dalla morte? Come possiamo sbocciare laddove abbiamo conosciuto una fine? Come possiamo fare tesoro di quella memoria, con quale parola nel cuore fare ritorno? Forse questa parola è responsabilità̀. Imparare a prenderci cura.

Cento anni dopo il disastro, attraversiamo un tempo che più̀ che mai ci invita a farci carico l’uno dell’altro. Compreso l’altro che è dentro di noi. O l’altro di quella natura alla quale apparteniamo e di cui ci ostiniamo a sentirci padroni. Penso al finale di quel bel libro di Hervé Barmasse, La montagna dentro: «Quasi mi verrebbe voglia (…) di starmene quassù a vedere come sarà il futuro. Ma (…) il vero coraggio l’alpinista lo dimostra (…) quando scende dal- le montagne e affronta i problemi comuni per cercare di cambiare le cose (…)».

Anche noi, per come possiamo, saliamo alla Diga per fare ritorno, lì dove siamo, per dare forza al ciliegio. Al germoglio che passa per ciascuno di noi.

Articolo scritto da Alessandro Romelli per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2023

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I signori dei tre anelli https://www.valseriana.eu/blog/i-signori-dei-tre-anelli/ Wed, 12 Jul 2023 09:52:11 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=62839 “Un brevetto per domarli tutti, un brevetto per trovarli, un brevetto per conquistarli e dall’oscurità mostrarli”. Il Gravity Gravel Brevet è una sfida da lanciata da Promoserio, una sorta di provocazione, per chi non crede sia possibile nelle nostre valli fare gravel, cioè percorrerle in bicicletta su fondi ghiaiosi e strade sterrate. Zone che ben si presterebbero ad un revival del Signore degli Anelli, con radure di quota estese e senza barriere, con laghi che brillano al passaggio di una lama di alluminio o di carbonio e con boschi  fitti che d’estate donano il sollievo di un brivido di freschezza. Su destrieri più selvaggi di una bici da corsa, dotati di pneumatici grezzi e larghi, biciclette gravel o mountain-bike, a motore o polpaccio, le possibilità si moltiplicano, le strade aumentano a dismisura, gli orizzonti possibili illuminano molte più creste e valli, di quanto possano fare le strade asfaltate. I bivi, dove poter scegliere una strada meno trafficata e più libera, nel vero senso della parola, sono molti di più. Non c’è terreno che tenga: ghiaia, fango, erba non sono un limite né alla percorrenza né alla creatività.

Ed è anche per questo che Promoserio ha pensato, studiato ed esplorato il proprio territorio, con occhi diversi, per facilitare la scoperta a chi abbia voglia di vivere con nuove sfumature il ciclismo nelle nostre Magnifiche Valli. Un brevetto composto da tre circuiti, per ora. Tre anelli appunto, ciascuno con peculiarità uniche e originali e un denominatore comune dal quale non si scappa: la salita. Del resto, chiunque abbia la passione per la bicicletta, non scapperà mai dalla salita. Proverà a nascondersi dietro alle solite battute sorde «è troppo dura», «per fortuna che dopo il tornante spiana», «chi me lo ha fatto fare», ma sarà sempre pronto a far cliccare il pedale spd, e ad alzare il mento verso l’alto. Ed è lassù che Promoserio ha cercato le perle gravel di Val Seriana, Val di Scalve e Val Borlezza. Per raggiungerle, l’ennesima sfida contro sé stessi e contro la gravità.

Pista ciclabile della Val del Riso

Con queste premesse non potevo che desiderare di affrontare tutti e tre i circuiti, il prima possibile. Mi piace seguire i consigli degli altri, prenderli e dare loro il mio colore. E rispetto al colore breve e intenso, mi attira molto di più una tinta fatta di pennellate lunghe: una giornata intera. Così, lo scorso ottobre, ho accettato la sfida: affrontare tutti e tre i circuiti, uno dopo l’altro, incatenando gli anelli tra loro. Tutti e tre partono e finiscono da Clusone, il che viene incontro alla mia piacevole follia.

Come mia abitudine, alla vigilia della pedalata preparo una decina di panini, le armature per le temperature variabili, e il destriero con le sue gomme a pressione bassa per combattere i rimbalzi dei terreni scoscesi. Studio i percorsi e le possibili vie di fuga. Il dubbio di non farcela c’è sempre, e dona un po’ di pepe all’avventura. Decido di iniziare dal circuito della ValSeriana, il più difficile con i suoi 85 km e 2.190 metri di dislivello, per poi acciuffare la Val di Scalve per le corna (lunghezza ben 71 km e 2.170 metri di dislivello) e concludere con il circuito dei laghi: con 65 km e 1.520 metri di dislivello, sulla carta il più semplice. Sulla carta.

Calcolatrice alla mano, 220 km per quasi seimila metri di dislivello positivo. I calcoli però preferisco lasciarli scorrere sulla strada, a ogni pedalata, e senza nessun obbligo o cronometro. Libero e con il mio passo: “lènt, ma seguènt”.

“Un brevetto per domarli tutti, un brevetto per trovarli, un brevetto per conquistarli e dall’oscurità mostrarli”. Mi sento un po’ Frodo, passando alle 4.30 dall’Orologio Planetario Fanzago, solo e piccolo, nel buio freddo di inizio ottobre.

Anello Valseriana

La frontale illumina la ciclabile della ValSeriana, quasi a simulare i fanali di un treno, impaziente di raggiungere la prima ascesa di giornata. E la pista ciclabile segue proprio le orme della vecchia ferrovia che collegava Clusone e Bergamo fino al 1967. I fanali delle macchine invece rimangono lontani, a volte mi sfiorano, corrono paralleli a me, ma io resto nascosto e protetto dal bosco sulla riva del fiume Serio. Da Cene il silenzio della Valle Rossa è accarezzato dal cicalare di qualche altro mattiniero su due ruote, che mi ricordano che oggi, 8 ottobre, è il giorno del Lombardia, la “classica delle foglie morte”. Le stesse foglie che calpesto quando a metà Valle Rossa prendo il primo vero bivio di giornata, abbandonando la provinciale e nascondendomi su una strada boscaiola che al buio è tutta mia. Mi godo il profumo bagnato di sottobosco e fango.

La seconda ascesa di giornata, dopo un breve tratto di discesa veloce, è salita vera. Di quelle sufficienti a rendere bella tosta un’uscita in bicicletta. Il sole che si accende timidissimo sul lago di Endine, mentre mi alzo sui pedali sulla Forcella di Ranzanico, calma il mio ritmo. È presto per sentirsi stanchi, meglio spegnere la frontale e abituare gradualmente la vista alla luce di un nuovo giorno che sorge.

A volte basta poco per azzerare la fatica e sentirsi freschi e all’alba di un’avventura lunghissima. Basta quel calore di fuoco che spunta dietro le creste dell’est invadendo l’aria, spennellando le acque del lago di Endine finché le molteplici luci che gli danno forma non si spengono una a una. Gli abitanti della Val Cavallina fanno colazione, io scollino alla Forcella, a 958 metri di quota. Mi sono già meritato la prima vera perla gravel del circuito ValSeriana. Il monte Sparavera a sinistra, i due laghi, Endine e perfino Iseo, laggiù a destra, il corpo che danza a un ritmo rockeggiante e regolare di ghiaia fine, con qualche intramezzo di cementate che paiono l’assolo del batterista con le sue linee di drenaggio parallele che suonano come un timpano. Il mondo civile e caotico a cui siamo abituati sparisce, aprendo scenari bucolici ed erbosi. Qui, la “Compagnia dell’Anello” verrebbe ripresa dall’alto, mentre accarezza veloce e leggiadra i pascoli costellati da pini e abeti di montagna. Le baite in sassi con le loro ante rosse sono dove Frodo e compagni andrebbero a cercare aiuto, ma non serve. L’antica Via della Lana non presenta pericoli, se non quello di invidiarla quando sarà finita. È un piccolo paradiso gravel sospeso in quota. Certo, sempre Gravity Gravel, con qualche tratto di vera salita, che segue la fisionomia delle Orobie che separano la Val Cavallina dalla Val Gandino. E fu proprio per collegare queste due valli operose, permettendo così il trasporto della lana peina (lana pregiata di Peia), che nel Medioevo venne disegnata questa splendida mulattiera. I toponimi ci circondano sussurrando nel silenzio sereno molte storie. Pozza di Lino, Prato dol Sul, Rocol de’lla Meserecórdia, Cà dol Fónt, Vesghér, Böllent, Grömèla, Mut Griù, Sparavera, Poiana.

Bossico

Roccoli, rapaci e natura. J.R.R. Tolkien avrebbe potuto trovare molta ispirazione quassù per le sue storie. La Storia, quella vera, è invece testimoniata nel Museo della Resistenza, ospitato nella Malga Lunga, rifugio posto a 1.235 metri in territorio di Sovere, con una terrazza perfetta per appoggiare la schiena e allungare la vista. Supero il Pandino rosa del rifugio e mi involo in una discesa lunghissima. Il serpente d’asfalto ondeggia ad ampio raggio da una sponda all’altra, tra una chiesetta e l’altra, finché non raggiungo la Val Gandino e nuovamente “la civiltàˮ.

Nuovamente in ValSeriana, il circuito omonimo mi porrebbe di fronte ad una scelta. Si può tornare a Clusone, oppure salire ancora. Frodo però non ha mica scelta, o meglio l’ha fatta appena scaricate e mergiate le tre tracce in una sola. Da Colzate mi alzo sui pedali, fino a quel Santuario arroccato su roccia calcarea scura, che domi- na letteralmente la Valle. Lo vedo ogni santo giorno, lassù in alto, mentre pendolo verso Albino. La prospettiva opposta mi dona ancora più desiderio di godermi appieno l’avventura e la bellezza di questi angoli. Lascio alle spalle l’unico santuario d’Italia dedicato a San Patrizio, e ripensando alle cavalcate in Connemara, nelle Wicklow Mountains e sulle creste vertiginose delle Cliffs of Moher, lancio uno sguardo a chi mi ha accompagnato in quelle avventure d’oltre manica. Fiorella Mannoia parte nella mia testa e penso che il Cielo d’Irlanda sia lo stesso che poggia le sue nuvole sulla tranquillità desolata di Barbata. Cavalli, mucche, pochi umani, e le curve del Costone minuscole laggiù. E il Monte Alben, che fa il suo ingresso maestoso, in tutta l’asprezza delle sue rocce chiare di dolomia Principale e a un soffio di fiato. Fiato che inizia a essere più roco e severo, mentre il primo dei tre circuiti volge quasi al termine. Quasi, perché la discesa fino a Riso è tanto divertente quanto impegnativa. Il terreno misto, i roccoli che sparano, i freni che fischiano e i ponti di legno che scivolano mi fanno tirare un sospiro di sollievo quando scorgo il monumento ai minatori di Gorno, all’inizio della Val del Riso. La ciclabile mi riporta a Clusone, dove inforco il secondo circuito, il secondo film di questa saga d’avventura. È ancora mattina, e ripassare nuovamente dal punto iniziale mi fa azzerare la fatica, almeno mentalmente.

Passo della Presolana
Anello Val di Scalve

Il circuito della Val di Scalve inizia subito alla grande, stuzzicando la mia voglia di sgasare nelle curve strette di bosco che separano Clusone e Rovetta, in località San Fransesc. Entro nel comune di Onore sui listelli di legno del “Gianluca’s bridge”, grande imprenditore bergamasco a cui devo molto. Quando faccio fatica, mi viene naturale pensare che sia giusto dedicarne in parte a chi non può più farne. E sorrido al pensiero di trascinarli lì con me a pedalare su uno stradone di sabbia bianca accanto ad un torrente perennemente in secca. Un gigante che schiaccia simbolicamente il Covid col proprio pugno mi dà il benvenuto nel regno della Val di Tede.

Sto salendo verso il Passo della Presolana, probabilmente l’ascesa che ho affrontato più volte in vita mia, ma quasi non me ne accorgo, se non fosse per la maestosità della Regina che mi scruta mentre prendo quota nascosto dai passaggi più comuni e conosciuti. Frodo prosegue per vie secondarie, nascondendosi nell’ombra del Parco degli Alpini di Castione e perfino sul fondo erboso delle piste da Sci del Donico, che in questa stagione sono in letargo. Il Passo della Presolana mi vede arrivare sorpreso, e stavolta non blocco il contachilometri, non cerco minuti e secondi, ma tiro il fiato contento di aver evitato il classico traffico del sabato. La discesa verso il Dezzo è invece quella classica, d’asfalto, paravalanghe e murales dei Giri d’Italia passati. Basta poco per riprendere il mio viaggio lontano dall’occhio di Sauron. La dura salita di Azzone, rifocillata da una stupenda fontana con vista, mi introduce nella Riserva Naturale Regionale dei Boschi del Giovetto. Son sicuro che gli Elfi stiano ritti dietro le cortecce sottili delle abetaie che attraverso al fresco della loro ombra.

 

Ci sono anche cascate, cartelli informativi sia geomorfologici che antropologici, e l’antica segheria Furfì, ora adibita a museo. Di elfi alla fine non ne vedo, troppo intento a sopportare la fatica di strappi ripidi e di discese selciate altrettanto scoscese. Vedo però la regina di questi boschi, la formica Rufa. Ne vedo una gigante e temo di far la fine di Frodo nella ragnatela di Shelob. Invece la scultura in acciaio corten di Mattia Trotta mi fa compagnia mentre mangio un paio di panini e recupero le energie. La Sponda è come sempre una pugnalata, ma ci conosciamo a vicenda. Io stringo i denti sui drittoni, lei nei tornanti e nelle gallerie dove Pantani, il Falco, Bartali e Coppi mi danno morale. Prima del Passo della Presolana, una deviazione a sinistra mi porta al Salto degli Sposi, per raccontarmi della leggenda del musicista polacco e della sua innamorata che a fine Ottocento decisero di abbracciarsi per sempre nel magnifico orizzonte dominato dal Pizzo Camino. Nelle mie orecchie risuonano note malinconiche, mentre una strada sterrata e abbastanza dolce mi scorta  fino a Castello Orsetto, con tanto di cartellonistica sulla fauna locale, e ovviamente sull’orso bruno intagliato anche nel legno. Proseguo fino a Colle Vareno, il centro vivo e villeggiante di Dorga, e poi con una piccola deviazione il centro più intimo di Rusio, un presepe dormiente dove fare acqua, riprendere serenità e fare merenda.

Anello dei Laghi

Stamattina ho iniziato il viaggio godendo l’alba sui laghi di Endine e Iseo. Oggi pomeriggio, dopo averla presa larga, è ora di avvicinarmi a sfiorare le loro acque. L’avvicinamento è ovviamente inedito, per prati e campi di Songavazzo e soprattutto per la spalla idrografica destra del torrente Borlezza. Adoro scrutare in lontananza il traffico, le macchine dei turnisti parcheggiate fuori dalle aziende, mentre io sono immerso in uno scenario bucolico baciato dal sole. Non mi vergogno a dirlo, spesso in queste situazioni allargo le braccia e sospiro. Non sarò chissà dove, ma è sufficiente una piccola striscia di asfalto grossolano che taglia un prato intonso e verde per farmi sentire libero. Respiro l’odore del fieno a pieni polmoni, poi di terra, di bosco, ed infine di sudore, mentre la traccia mi mette in piedi fino al santuario della Madonna della Torre, il più antico della Diocesi di Bergamo. Frodo scruta la Val Borlezza, e può disegnare con l’immaginazione il percorso che manca, mentre inizia a essere pomeriggio inoltrato. Dopo Sovere, una scia di terra e radici scorre velocissima in un tunnel di rami e foglie che si intrecciano e si infittiscono, quasi a indicarmi che la via è giusta e che mi avvicino alla conclusione del viaggio. Eppure, la sponda del lago di Gaiano, adiacente a quello maggiore di Endine, nonché lago di bassa quota più piccolo della Lombardia, è solo a metà del circuito dei Laghi. Manca ancora la salita asfaltata fino a Solto Collina e la discesa con gli occhi colmi del Lago d’Iseo graffiato dalla forma inconfondibile della Corna Trenta Passi.

Strada Ceratello – Bossico

La strada a ridosso delle acque sebine, tra Riva di Solto e Lovere, è un cocktail di curve, adrenalina, archi di roccia e splendore che brillano nelle acque a pochi metri di distanza. Lovere si prepara a un aperitivo chic, io invece a uno di sostanza. Fabio e Anna portano un intero Peugeot di focacce e pizzette. E l’immancabile cochina, che dopo 14 ore di pedalate ha lo stesso effetto della tachipirina con la febbre alta. L’anello dei Laghi è il più semplice dei tre, ma affrontato dopo gli altri due, non può che essere il più duro. La vista sul lago è la mia fortuna, perché mi distrae dagli orchi della fatica mentre salgo fino a Ceratello. Ed è qui, poco sopra la bibliocabina, che affronto un’altra vera perla dei circuiti Gravity Gravel. La strada che collega Ceratello a Bossico è mozzafiato. Il panorama sul lago Iseo appare talmente vasto che gli 800 metri di quota indicati dal Garmin sembrano un errore di taratura. Frodo non si starà godendo uno spritz su un tavolino in riva al lago, ma il suo silenzio di ammirazione da quel guardrail lassù lo rende il re di quel regno. Anche se solo per poco, anche se solo nella sua testa. E i colori del tramonto ne sanciscono l’emozione. Il terzo anello non è ancora distrutto, ma è come se lo fosse. Inebriato da tanta bellezza, mi sento già arrivato.

La discesa da Bossico e la risalita fino a Clusone sono una formalità, una di quelle che affronti sorridendo come uno scemo, da solo e nel buio. La felicità che apre la porta alla stanchezza che ora può rompere gli argini non è tanto per i tre circuiti conquistati, per il brevetto Gravity Gravel chiuso in un giorno, o per i tre anelli distrutti, quanto per la bellezza vissuta nel farlo. E la cosa più bella è che non ero lontano dalla mia Terra di Mezzo. Una Terra splendida, che sì, è pure adatta al ciclismo gravel. Basta non temere la gravità, non soffrire di vertigini, e non aver paura degli Uruk-hai.

Articolo scritto da Simone Trussardi – foto di Armin Hadziosmanovic per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2023

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La storia siamo noi https://www.valseriana.eu/blog/la-storia-siamo-noi/ Tue, 11 Jul 2023 12:17:37 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=62875

Selvino è l’ideale palcoscenico di tante iniziative di animazione, ma propone scorci e storie che meritano di essere promosse e valorizzate. “Incontriamocincontrada” è un percorso tra le antiche contrade, testimonianza concreta di una storia che affonda le radici nel passato. I primi nuclei di case nati sul territorio erano rappresentati già nel 1800 su una mappa catastale. Tali agglomerati, più o meno consistenti, prendono il nome di “contrade” e hanno segnato i primi passi per lo sviluppo del paese. Da subito le contrade sono state identificate con toponimi che in mappa sono stati “italianizzati”, ma i residenti ancora oggi le segnalano utilizzando il dialetto bergamasco. Questi nomi caratterizzano da sempre il territorio di Selvino e individuavano facilmente anche le famiglie che provenivano dalla contrada di appartenenza. Ca’ di Roch, Ca’ di Quattrí, Ca’ di Magù, Cità Olta sono solo alcuni dei nomi delle venti contrade. Ognuno di questi nomi racchiude significati, curiosità e caratteristiche dei luoghi e la storia di chi ci abitava.

Tutto è stato reso possibile dall’impegno dell’Amministrazione Comunale, con cui hanno collaborato i volontari del gruppo G.E.S.A. (Gruppo Ecologico Selvino Aviatico) dopo un loro lavoro scrupoloso a livello di testi e materiale fotografico che ha creato la base ideale per la partecipazione a un bando che ha finanziato il progetto. Il percorso culturale e storico è identificato con una cartina che si può scaricare dal sito del comune di Selvino o ritirare presso l’Infopoint. In ogni contrada è stata posizionata un’installazione artistica, realizzata dall’artista Linda Grigis, con utili informazioni storiche che costituiscono un punto di informazione per il turista che passa da questi luoghi e fa sì che possa conoscere la storia o la curiosità di quella specifica contrada. È importante conservare le tradizioni e le storie di un paese per farle conoscere ai turisti e per far sì che le nuove generazioni non dimentichino. Perché la Selvino di oggi che tutti conosciamo è partita anche e soprattutto dalle contrade.

È possibile vedere la mappa delle contrade di Selvino >QUI

Installazione tipo delle contrade, pannello informativo realizzato dall’Artista Grigis.

Alla fine del 1300 le contrade sono ormai ben definite. Hanno caratteristiche comuni: sono circondate da prati d’ampiezza tale da poter avere a disposizione foraggio per un allevamento di bestiame di uso familiare. Attorno alle sorgenti, le contrade si infittiscono, e dove manca l’acqua si scava una grossa cisterna chiusa a chiave, causa spesso di litigi durati intere generazioni. Nei secoli non si sviluppano nuove contrade e ci si limita ad ampliare quelle già esistenti, in armonia con il numero delle nuove nascite. Non sono quindi necessarie ristrutturazioni o demolizioni fino alla fine del 1800, cioè fino all’avvento della civiltà delle auto, della villeggiatura e dei nuovi materiali da costruzione. Le mappe del periodo napoleonico e quelle dell’epoca austriaca, che risalgono alla metà del 1800, rispecchiano abbastanza fedelmente la Selvino antica, quella delle contrade.

Articolo scritto da Virginia Magoni per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2023

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Nel cuore della Terra https://www.valseriana.eu/blog/nel-cuore-della-terra/ Sat, 25 Feb 2023 16:13:00 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=59863 Il progetto Nel cuore della terra. In viaggio tra valli bergamasche e bresciane fa riferimento a un’area territoriale montana estesa che comprende cinque valli e diversi borghi rurali: in provincia di Bergamo sono coinvolte la Val Brembana, la ValSeriana e la Val di Scalve; in provincia di Brescia la Val Trompia e la Val Camonica.

Seppur con specifiche peculiarità e tradizioni uniche, questi territori si contraddistinguono per importanti caratteri comuni e condivisi quali il loro essere aree marginali rispetto ai Comuni capoluogo, la presenza di un ambiente naturale suggestivo, la propria vocazione turistica legata principalmente al settore culturale e naturalistico, la presenza di piccoli borghi custodi di antiche tradizioni ancora vive e di giacimenti minerari, tra i più importanti ed estesi di tutta la Lombardia.

Il progetto parte dalla considerazione che nella tradizione mineraria, con le consuetudini culturali, sociali, economiche connesse, può essere individuato l’humus culturale delle aree di riferimento. Il tema della miniera, del paesaggio montano, della memoria del lavoro è quindi l’asset principale su cui costruire una progettualità culturale innovativa in occasione di Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023.

L’attaccamento alla tradizione mineraria all’interno delle comunità locali delle valli bergamasche e bresciane è testimoniata dal fatto che degli otto siti minerari riaperti con funzioni divulgative e turistiche in Regione Lombardia, cinque si trovano nelle due province e saranno le principali tappe del viaggio nel cuore delle terre bergamasche e bresciane che il progetto intende costruire e che sarà  fisicamente percorribile grazie allo sviluppo di un percorso ideale che da Dossena giunge fino a Pisogne, passando per Gorno, Schilpario, Pezzaze e Collio e Bovegno.


Nel corso del 2023 il bagaglio culturale ereditato dal mondo delle miniere sarà valorizzato attraverso diversi linguaggi artistici quali la musica, la performance, la danza, il teatro, la fotografica con workshop, visite guidate, conferenze, rassegne artistiche, showcooking.

PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE
(in fase di aggiornamento)

Fino al 30 settembre – Miniera Gaffione, Schilpario (BG)
Un viaggio nel cuore della terra
Un percorso nel sottosuolo che per circa 2,5 km permette di rivivere le condizioni faticose di vita e lavoro di cui diverse generazioni furono protagoniste. Il Parco Minerario è aperto a giugno sabato e domenica dalle ore 10.00 alle 11.15 (ultimo ingresso) e dalle 14.00 alle 16.00 (ultimo ingresso); luglio e agosto tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 11.15 (ultimo ingresso) e dalle 14.00 alle 16.00 (ultimo ingresso); settembre sabato e domenica negli stessi orari estivi.
Per un’esperienza del mondo minerario a 360° si consiglia una visita anche al Museo dell’Illuminazione Minieraria.
Info e prenotazioni: www.minieraschilpario.net

LUGLIO

8 luglio – Miniera Paglio, Dossena (BG)
Candles & musical notes
La Miniera di Dossena si accende di magica luce per ospitare un concerto emozionante, proposto dal Quintetto di Fiati “Orobie”. Avvolti da una suggestiva atmosfera, potrete seguire un programma musicale dedicato all’Opera lirica italiana. Questo il programma musicale: W. A. Mozart – Così fan tutte (Sinfonia), G. Bizet – Carmen Suite, G. Donizetti – Betly (Sinfonia), G. Donizetti – Elisir d’Amore (Fantasia), Bis: G. Verdi – Nabucco (Sinfonia).

9 e 23 luglio – Grotte delle Meraviglie, Zogno (BG)
Visite alle Grotte delle Meraviglie
Il complesso delle Grotte delle Meraviglie presenta spunti di notevole interesse sia per la comprensione delle vicende geologiche legate alla formazione della cavità, sia per i fenomeni carsici che vi sono riccamente rappresentati.
Si raccomanda abbigliamento sportivo e scarpe antiscivolo. Temperatura interna alle grotte 12°C.
Prenotazione su: grottedellemeraviglie.com
Maggiori info QUI

9 luglio – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
In viaggio nelle miniere
Visita guidata al museo delle miniere e ai siti minerari di Costa Jels. Ritrovo alle ore 15:00 presso Polo socio culturale, piazza Bersaglieri a Gorno.  Durata visita 3 ore e consigliato abbigliamento pesante per entrare in miniera.
Info: 320.1662040

15 e 16 luglio – Grotte del Sogno, San Pellegrino Terme (BG)
Visite da Sogno nelle Grotte
Nel 1931 Ermenegildo Zanchi nota un pertugio nel terreno e decide di farsi calare all’interno. Scopre così le Grotte, che chiama del Sogno perché gli sembrava di aver vissuto un sogno.
Sarete accompagnati anche vuoi in questo viaggio d’incanto.
Prenotazioni su: www.orobietourism.com
Maggiori info QUI

AGOSTO

Dal 4 al 6 agosto – Miniera Gaffione, Schilpario (BG)
Antiche Luci
Nel suggestivo scenario della Valle di Scalve avrà luogo un evento speciale che promuove la riscoperta del magico mondo dei minerali. In questa occasione presso il Parco Minerario Andrea Bonicelli si svolgerà la tradizionale mostra-scambio di collezionismo minerario e mineralogico con conferenze e attività per i più piccoli legate al mondo dell’illuminazione mineraria.
Il Birrificio Pagus proporrà degustazione della Birra FRéRA, prodotta con l’acqua della sorgente interna alla miniera ed affinata nelle vecchie gallerie.
Maggiori info QUI 

5 e 6 agosto – Grotte del Sogno, San Pellegrino Terme (BG)
Visite da Sogno nelle Grotte
Nel 1931 Ermenegildo Zanchi nota un pertugio nel terreno e decide di farsi calare all’interno. Scopre così le Grotte, che chiama del Sogno perché gli sembrava di aver vissuto un sogno.
Sarete accompagnati anche vuoi in questo viaggio d’incanto.
Prenotazioni su: www.orobietourism.com
Maggiori info QUI

5 agosto – Miniere Paglio, Dossena (BG)
ABC della cucina, Arlecchino, Brighella e Colombina
Il fascino delle pareti rocciose sarà l’ideale scenografia di uno spettacolo teatrale con le maschere tradizionali del territorio, proposto dalla compagnia Equivochi.

13, 14 (in notturna) e 27 agosto – Grotte delle Meraviglie, Zogno (BG)
Visite alle Grotte delle Meraviglie
Il complesso delle Grotte delle Meraviglie presenta spunti di notevole interesse sia per la comprensione delle vicende geologiche legate alla formazione della cavità, sia per i fenomeni carsici che vi sono riccamente rappresentati.
Si raccomanda abbigliamento sportivo e scarpe antiscivolo. Temperatura interna alle grotte 12°C.
Prenotazione sul sito grottedellemeraviglie.com
Maggiori info QUI

13 agosto – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
In viaggio nelle miniere
Visita guidata al museo delle miniere e ai siti minerari di Costa Jels. Ritrovo alle ore 15:00 presso Polo socio culturale, piazza Bersaglieri a Gorno.  Durata visita 3 ore e consigliato abbigliamento pesante per entrare in miniera.
Info: 320.1662040
Maggiori info QUI

SETTEMBRE

1 settembre – Miniera Sant’Aloisio, Collio (BG)
Granelli in concerto
Selvaggi Band canta di tradizioni, di storie di paese, della terra e della bellezza della natura. Il nome “Selvaggi” è un invito a vivere una vita attenta a sentimenti veri e genuini, a coltivare le belle tradizioni, i buoni rapporti tra le persone e rispettare i luoghi in cui viviamo.
In occasione del concerto, il Birrificio Pagus proporrà degustazione della Birra Busana, prodotta con l’acqua della sorgente di Collio.

3 e 17 settembre – Grotte delle Meraviglie, Zogno (BG)
Visite alle Grotte delle Meraviglie
Il complesso delle Grotte delle Meraviglie presenta spunti di notevole interesse sia per la comprensione delle vicende geologiche legate alla formazione della cavità, sia per i fenomeni carsici che vi sono riccamente rappresentati.
Si raccomanda abbigliamento sportivo e scarpe antiscivolo. Temperatura interna alle grotte 12°C.
Prenotazione sul sito grottedellemeraviglie.com
Maggiori info QUI

10 settembre – Grotte del Sogno, San Pellegrino Terme (BG)
Visite da Sogno nelle Grotte
Nel 1931 Ermenegildo Zanchi nota un pertugio nel terreno e decide di farsi calare all’interno. Scopre così le Grotte, che chiama del Sogno perché gli sembrava di aver vissuto un sogno.
Sarete accompagnati anche vuoi in questo viaggio d’incanto.
Prenotazioni su: www.orobietourism.com
Maggiori info QUI

10 settembre – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
In viaggio nelle miniere
Visita guidata al museo delle miniere e ai siti minerari di Costa Jels. Ritrovo alle ore 15:00 presso Polo socio culturale, piazza Bersaglieri a Gorno.  Durata visita 3 ore e consigliato abbigliamento pesante per entrare in miniera.
Prenotazioni: 320.1662040
Maggiori info QUI

OTTOBRE

15 ottobre – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
Gorno, tra storia e emigrazione
L’ing. Herbert Hoover, il presidente USA e i minatori bergamaschi
Visite guidate abbinate a conferenze dedicate al tema dell’emigrazione con conferenza e proiezione di filmati storici e nuovi filmati digitali.

NOVEMBRE

11 novembre – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
Gorno – miniera tra vini e formaggi
L’enogastronomia entra in miniera
Visite guidate abbinate a conferenze dedicate al tema delle nuove produzioni di prodotti in miniera con cooking class e degustazioni.

DICEMBRE

3 dicembre – Miniere di Costa Jels, Gorno (BG)
Gorno – Miniera tra fede e folklore
S.Barbara, le donne, il lavoro, la miniera
Visite guidate abbinate accompagnate da cori di gruppi folkloristici e canti popolari di ieri e di oggi.


Per il calendario completo: www.valseriana.eu 

 


 

Il progetto è reso possibile grazie al sostegno di Fondazione Cariplo insieme a Fondazione della Comunità Bergamasca nell’ambito del Bando Capitale della Cultura 2023 e di Provincia di Bergamo.
È realizzato in collaborazione con enti locali, operatori privati e associazioni che operano in campo culturale nelle province di Bergamo e Brescia.

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Una ragazza d’oro https://www.valseriana.eu/blog/una-ragazza-doro/ Fri, 27 Jan 2023 13:58:43 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=59302 Eppure Chiara non se la tira neanche un po’. Quindici anni compiuti da poco e parecchie medaglie al collo. Medaglie di quelle pesanti, che luccicano di metallo pregiato. Ma lei resta umile. Non dice a nessuno quello che fa. Titolo italiano, tre ori ai Giochi del Mediterraneo, oro agli Europei di Monaco di Baviera e tanto per gradire oro individuale e bronzo a squadre al Tb Pokal di Stoccarda, classicissima della ginnastica continentale. Dietro tutto questo sfavillare di titoli c’è una ragazza che sta crescendo, che scopre le emozioni della vita e la voglia di stare con le amiche, conoscere coetanei, prendersi una cotta. Il tempo è sempre un po’ tiranno per chi vuole assurgere a certi livelli. «Si allena tutti i giorni dalle 9 di mattina alle 5 del pomeriggio – spiega la mamma Elena Savoldelli -. Il mercoledì e il sabato invece fa solo la mattina, dalle 9 alle 13.30». Quel “solo” riferito a oltre quattro ore di fatica rende bene l’idea della dimensione dello sforzo, dell’altezza vertiginosa a cui sta viaggiando la giovane di Songavazzo.

Una vita molto sincopata, un ritmo frenetico di sport e studio. «La scuola è quasi sempre online: frequenta la iSchool (liceo delle scienze applicate), segue le lezioni registrate e un percorso didattico personalizzato per riuscire a incastrarsi con le esigenze della ginnastica» aggiunge papà Maurizio. «Studia anche in macchina, sfrutta quella mezz’ora di viaggio. Oppure mentre guardiamo la tv, lei sta lì con noi in sala e riesce a concentrarsi sui libri».

Elena Savoldelli, Massimo Gallina, Lara Magoni, Chiara e il Sindaco Covelli

Giuliano Covelli, sindaco di Songavazzo, il 15 ottobre scorso le ha consegnato il Premio Atleta dell’Anno in una serata di festa con tutto il paese. «Il 13 dicembre la premierò con la borsa di studio» aggiunge il primo cittadino. Non stupisce, in realtà. «Sa porsi degli obiettivi, lavora con tenacia e determinazione – prosegue la mamma -. In passato qui girava tutto intorno alla ginnastica. Adesso Chiara alterna due settimane a Cesena (milita nell’Us Renato Serra) e due a casa. Ogni tanto frequenta le lezioni in presenza, ma capiterà un paio di volte al mese». Tra sessioni di trave, corpo libero, volteggio, e pagine di storia, matematica, chimica, la routine di una ragazza così rischia di lasciare davvero senza fiato. «Cerchiamo di distoglierla un po’, quando possibile. A questa età i sacrifici pesano di più, lei scopre il mondo intorno. Le sue amiche sono le compagne dell’artistica. Quando possiamo la portiamo da loro, si trovano vicino a Bergamo. Non è facile tenere insieme tutto, ma lei è brava a mantenersi in equilibrio» dice la madre.

I genitori non hanno mai fomentato particolarmente la figlia. «Quando aveva pochi anni la maestra ci ha detto di farle fare uno sport che la stancasse. Era un bel peperino. Così abbiamo pensato all’artistica, che era praticata già da sua sorella maggiore». Da lì non si è più fermata, senza il bisogno di particolari sproni da parte di mamma e papà. «È arrivata un po’ tardi ai livelli più alti. Ci sono bambine, magari figlie di ginnaste, che a sette anni già puntano al circuito Gold. Noi qui a Songavazzo pensavamo ad altri sport, lo sci. Di certo non la ginnastica. Però l’abbiamo assecondata». Chiara mostrava una grande forma, ma non era di certo la favorita nel 2019, anno dell’exploit con il titolo italiano nell’individuale. «Il percorso successivo non è stato banale. Ha avuto un infortunio, c’è stato il Covid. Ma alla ripresa si è fatta trovare pronta».

I sacrifici delle ginnaste sono alla ribalta in queste settimane. In particolare quelli alimentari. I genitori della Barzasi non svicolano rispetto all’argomento. Tutt’altro. «Due anni fa era notevolmente sottopeso. L’allenatore Massimo Gallina allora l’ha portata da un nutrizionista, che la segue tuttora. Certo, non può abbuffarsi di patatine fritte tutti i giorni, questo è ovvio e valido per gli atleti di qualsiasi sport. Deve mangiare sano, molta verdura. Deve tenersi controllata e per questo c’è il nutrizionista, ma nella ginnastica artistica le ragazze non sono poi così esili. Anzi, mostrano braccia e gambe muscolose. Le polemiche riguardano più che altro il mondo della ritmica» sottolineano i genitori di Chiara. Elena e Maurizio si chiedono da dove arrivi questa tenacia. Cosa spinge la ragazza ad accettare tutti questi sacrifici? «È quasi una dipendenza – sorridono -. Entrano in un mondo che le affascina moltissimo. Abbiamo detto all’allenatore che ce l’ha “drogata” di ginnastica. Scherzi a parte, più si allena e più lo vuole fare, i risultati danno una grande carica. E poi stanno bene tra amiche, fanno squadra, nonostante sia uno sport individuale. Si sostengono e vivono insieme emozioni fortissime». Chiara è un esempio, per un piccolo borgo come Songavazzo è una gioia grandiosa. «Porta il nome del nostro paese in giro per l’Italia e l’Europa – afferma il sindaco -. Questo mi emoziona. Potrebbe andare alle Olimpiadi del 2028, e il pensiero mette i brividi. Più che celebrarne le gesta è importante che il suo sia un grande esempio, per tutti».

 

Articolo scritto da Fabio Busi per VALSeriana & Scalve Magazine – inverno 2022/2023

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Una strada coi fiocchi https://www.valseriana.eu/blog/una-strada-coi-fiocchi/ Fri, 27 Jan 2023 13:12:48 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=59298 Siamo a Schilpario, appena al di sopra del parcheggio a servizio delle Miniere. Qui, in inverno, la strada asfaltata e ricca di curve, regno dei motociclisti d’estate, si trasforma come per magia in una perfetta pista da sci e da slitta. Quando arrivai per la prima volta in inverno, rimasi sorpresa dalla sbarra e dalla fine del mondo “comodo” e motorizzato. Quella sbarra è la porta d’ingresso di un autentico paradiso, silente e straordinariamente attraente.

Una volta parcheggiata l’auto devi solo scegliere che mezzo “a carburante naturale” utilizzare per percorrere la vecchia strada statale. Ricoperta da una leggera, luminosa coltre di neve, si mostra in una veste rinnovata e particolarmente divertente. Le prime due baite ricordano i paesaggi fiabeschi dove, da un momento all’altro potrebbe scendere una slitta trainata dai cani, e ti portano a immergerti in questo paesaggio unico. Come nelle fiabe infatti, che tu metta ai piedi le racchette da neve o gli sci d’alpinismo o dei semplici scarponi, passi tra due casette di pietra e sassi che ti invitano a non aver paura della fatica che ti aspetta, dandoti il benvenuto in questa Valle, per l’occasione vestita a festa e che si lascia percorrere tra abeti, curve e salite.

Io l’ho percorsa con gli sci d’alpinismo, che personalmente ritengo uno dei mezzi più interessanti per scoprire il territorio e goderlo fino in fondo, fino a dove hai voglia di fare fatica. Partiti con le pelli sotto gli sci abbiamo salito tutta la strada statale entrando e uscendo dal bosco innevato e intravedendo le grandi montagne che, nel primo tratto, giocano a nascondino. La Baracca Rossa non si può non vedere, tranquilli. Un rosso fuoco nel mare bianco. Salendo con calma e disinvoltura si raggiunge la Baracca. Qui salutiamo la nostra comoda strada e imbocchiamo sulla destra il largo sentiero innevato che, prima, ci fa fare tappa “dal Silvio” (Rifugio Cimon della Bagozza) per un caffè o un the caldo e, poi, ci conduce nella conca dei Campelli.

Leggi anche: Bianche avventure in Val di Scalve

Dire che è un paesaggio surreale è quasi riduttivo, ormai anche questo termine è inflazionato. Ma vi sfido a salire al Rifugio Bagozza, guardare verso quegli ammassi di calcare e non rimanere a bocca aperta. Il Cimon si impone prepotente, le cime vicine gli danno ancora più importanza e quel silenzio profondo ti fa immergere in un’atmosfera davvero speciale.

C’è chi si ferma al Rifugio (e sono già comunque 400 mt di dislivello con 3 km sotto i piedi) e chi cerca ulteriori emozioni, ancor più silenzio, più neve e più immersione nel cuore della montagna. Continuiamo e saliamo verso il passo dei Campelli: qui il mondo si apre. Se nella parte iniziale del nostro itinerario la visuale è abbastanza “chiusa” con solo alcuni sprazzi panoramici, dal Rifugio Bagozza in poi lo scenario è ampio e profondo. Ai Campelli la visione è a 360 gradi: solo neve e monti. Roba da rimanere qui, almeno per un po’. Lontano dal frastuono: per me questo è l’inverno. La nostra meta finale è al termine del pianoro: il Rifugio Campione ci aspetta con un piatto di polenta fumante. Dai Campelli le escursioni, per sci alpinisti esperti, si sprecano: dal Monte Campioncino al Gardena, al Bagozza e molto altro.

Ora non ci resta che scendere. Apprezzo molto la salita con le pelli perché riesce a farmi godere il panorama con calma, senza fretta, senza velocità; ma il divertimento puro per me resta la discesa. Tolgo le pelli, giro gli attacchi ed entro nel mio mondo di curve e salti. Che storia la Val di Scalve, che storia sciare ai Campelli!

Ovviamente, le curve e i salti si possono vivere anche con una slitta o un bob; la strada dal Rifugio Bagozza al parcheggio è un parco divertimenti a cielo aperto. La “seggiovia” che vi aiuta in salita ricordate però che è solo dentro le vostre gambe. A dirla tutta sono un po’ gelosa di questa Valle: non fate girare troppo la voce…

RICORDATEVI SEMPRE: La presenza di ghiaccio e l’eventuale rischio valanghe richiedono massima prudenza, massima attenzione e attrezzatura e abbigliamento adeguati.
Inoltre, prima di un’escursione è buona abitudine consultare il meteo e il bollettino valanghe, nonché contattare l’Ufficio Turistico locale.

Articolo scritto da Alessandra Visini per VALSeriana & Scalve Magazine – inverno 2022/2023

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La terra promessa dell’Altopiano https://www.valseriana.eu/blog/la-terra-promessa-dellaltopiano/ Fri, 27 Jan 2023 09:02:43 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=59286 È il 1945 e da poco è finita la guerra, i selvinesi vedono arrivare in paese camionette militari con a bordo bambini diretti nell’edificio di Sciesopoli. La struttura, costruita negli anni ’30 e utilizzata da sempre come Colonia del regime fascista, per un paradosso della storia ora può accogliere centinaia di bambini ebrei orfani scampati ai campi di sterminio. Fu così che questo grande edificio, con immensi spazi adibiti a refettorio, camerate, sala cinematografica e addirittura una piscina riscaldata, divenne casa di accoglienza per più di 800 bambini ebrei che avevano perso la loro identità e gli affetti più cari. Arrivavano da tutta Europa e giunti a Milano vennero portati a Selvino, a Sciesopoli, perché qui potessero essere formati ed educati per diventare uomini e donne e poter ripartire per la loro terra in Palestina, crescendo di fatto come fondatori dello Stato di Israele.

Visita guidata dell’edificio di Sciesopoli

Nel settembre del 1945, la Comunità Ebraica di Milano prese in affitto Sciesopoli per destinarla ai bambini sopravvissuti alla Shoah che arrivavano in Italia dal Centro e dall’Est Europa. Qui i bambini vennero accolti dal direttore Moshe Zeiri, soldato dell’Esercito britannico; con il supporto delle Istituzioni ebraiche ne assunse la direzione, trasformando la colonia in un originale modello educativo. I bambini arrivavano stremati e sperduti. Avevano visto cose che non avrebbero dovuto mai vedere. Erano già degli adulti per le esperienze vissute, ma avevano in sé cuori di fanciulli. Moshe Zeiri li educò, li spronò a riprendersi la loro vita, a vivere le esperienze che la guerra aveva loro negato: quelle che bimbi e adolescenti dovrebbero naturalmente fare. Compresero di poter tornare a vivere partendo da zero, mangiare un pasto caldo, apprendere di nuovo i dettami della religione ebraica, imparare a leggere e scrivere nella lingua d’origine. Vennero avviati ad attività ricreative come musica e canto, impararono piccoli lavori artigianali, poterono giocare e divertirsi e, soprattutto, percepirono di essere amati e rispettati. Il loro fu un percorso lungo e difficile e soprattutto doloroso, perché i ricordi del passato erano sempre lí, un’ombra difficile da lasciar andare, ma ce la fecero e questi bambini diventarono uomini e donne. Dopo due o tre anni di permanenza nella “casa” di Sciesopoli, tutti loro ripartirono, affrontando un ultimo viaggio prima di arrivare in Palestina, dove fondarono il Kibbutz di Tzeelim, il loro primo villaggio in Israele, oggi gemellato con Selvino. Ogni bambino e bambina di Sciesopoli porta con sé una storia personale e parte di questa storia, comune a tutti loro, è la permanenza a Selvino, “La Casa” della loro rinascita. In questi ultimi anni, alcuni di loro sono ritornati, nel 1985 e poi nel 2016, con le loro famiglie, hanno incontrato la comunità selvinese che li ha accolti con affetto, così come allora, quando giocavano nel campo di calcio di Sciesopoli e condividevano la merenda dopo il gioco con i bambini del luogo. Non parlavano la stessa lingua ma si capivano con i gesti e gli sguardi

Installazione Relitti, 2016

Ritornano ora da adulti, da madri e padri ora nonni, anche durante l’anno con le loro numerose belle famiglie e trapela l’emozione vera nel rivedere i luoghi di una pagina bella della loro infanzia. Si scambiano abbracci di riconoscenza e lacrime di gioia, perché da qui è potuta iniziare la loro vita e la loro discendenza, da bambini felici. A Selvino, in una sala municipale, c’è un piccolo museo immateriale, il Mu.Me.SE (Museo Memoriale di Sciesopoli Ebraica Casa dei Bambini di Selvino) voluto dall’Amministrazione Comunale e realizzato con l’aiuto prezioso di un gruppo di lavoro di volontari e sponsor. Esso è un punto essenziale e concreto per poter apprendere, attraverso un filmato e dei pannelli descrittivi, quanto avvenuto a Sciesopoli. L’intento è far conoscere questa bella storia di rinascita, facendo passare il concetto di accoglienza e di pace verso ogni essere umano indipendentemente dalla sua religione o etnia.

Bambini seduti sulla scalinata di Sciesopoli

Il desiderio è che il Museo possa essere dislocato in futuro proprio là, dentro Sciesopoli. Ora non è fattibile, essendo l’edificio di proprietà privata. Solo da qualche anno è possibile accedere in alcuni spazi nelle prime domeniche del mese, o durante la settimana per gruppi di scolaresche, con un accompagnatore volontario previa prenotazione all’Info Point di Selvino.

Sciesopoli-vista-dal-drone
Sciesopoli vista dal drone

L’Amministrazione comunale ha patrocinato il libro Nel cuore di Sciesopoli, scritto da Aurora Cantini, un’autrice del territorio. È un libro che racconta tutta la storia dell’edificio, dalla sua costruzione alla sua chiusura. Dall’estate 2022, all’interno del Museo è possibile visitare una mostra fotografica permanente, dal titolo La memoria di Sciesopoli Ebraica, il ritorno alla vita, (curata da Virginia Magoni ed Enrico Grisanti, ndr). Vi si trovano immagini storiche e recenti, corredate dalle storie di vita di alcuni dei “Bambini di Selvino”.

Ritorno a Selvino dei bambini di Sciesopoli, 2016

 

Articolo di Virginia Magoni per VALSeriana & Scalve Magazine – inverno 2022/2023

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Montagna d’inverno divertimento per tutti https://www.valseriana.eu/blog/montagna-dinverno-divertimento-per-tutti/ Wed, 22 Dec 2021 09:32:55 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=51592 VisitBergamo e Camera di Commercio unite in un progetto d’eccezione: un modello virtuoso e replicabile.

ValSeriana e Val di Scalve: le Magnifiche Valli sono adatte a tutti i gusti! L’obiettivo di rendere il territorio accessibile a qualsiasi categoria di persone ha fatto nascere il progetto dedicato al turismo accessibile di Visit Bergamo e Camera di Commercio, in collaborazione con Associazione Ski Passion e Promoserio, che vede nelle valli le start up di un’iniziativa che coinvolgerà tutta la Bergamasca.

IL PROGETTO LA MONTAGNA D’INVERNO PER TUTTI

Grazie a “La montagna d’inverno per tutti”, infatti, le stazioni sciistiche della ValSeriana e della Val di Scalve a partire dalla stagione invernale 2021 sono in grado di offrire un’offerta turistica di qualità anche ai portatori di disabilità – sia permanenti sia temporanee -, con lezioni di sci dedicate e noleggio monosci e ausili in grado di consentire di spostarsi in autonomia e di godere dei pendii innevati e dei panorami mozzafiato.

Attraverso una serie di iniziative concrete (acquisto attrezzature, realizzazione di un’offerta dedicata, azioni di promozione, formazione, ecc.), Camera di Commercio e Visit Bergamo stanno infatti strutturando un progetto di promozione legato al turismo accessibile con attenzione alle disabilità motorie e visive permanenti e temporanee, dotando le stazioni sciistiche di efficaci supporti per accogliere anche i turisti con disabilità, permettendo anche a questa fascia di soggetti di poter godere del patrimonio sportivo e naturalistico della ValSeriana e della Val di Scalve. Il progetto di accessibilità non andrà a esaurirsi con la realizzazione di un’offerta per la ValSeriana e la Val di Scalve – che costituirà una sorta di fase sperimentale – ma intende costituire un modello replicabile anche nei restanti territori della Bergamasca.

VERSO UN’ACCOGLIENZA ACCESSIBILE

Le stazioni sciistiche aderenti saranno dotate di carrozzine che permettano agli sciatori con disabilità di poter accedere in totale autonomia ai servizi igienici, trasferendosi dal monosci alla carrozzina senza necessità di accompagnamento, oltre ovviamente a monosci disponibili per gli sciatori. Gli ausili per la pratica dello sci verranno lasciati in comodato d’uso gratuito e in custodia all’Associazione Ski Passion che provvederà a consegnarli agli impianti di sci in base alle necessità e alle disponibilità per consentire anche a quelli più piccoli e meno noti di usufruire di questa importante opportunità di accoglienza accessibile. Parallelamente, sono organizzati corsi di formazione dedicati non solo ai maestri ma agli operatori della montagna in senso ampio, in modo da strutturare un’accoglienza di qualità e all’altezza di tutti i turisti e fruitori dei comprensori. A seguito di un’iniziale azione di mappatura analitica, si stanno realizzando interventi necessari a rendere accessibili gli impianti di sci, sia di sci alpino sia di sci nordico, per permettere una piena fruizione degli stessi; in collaborazione anche con le Amministrazioni Comunali e con le stazioni sciistiche direttamente coinvolte, il progetto vedrà la realizzazione di parcheggi dedicati, di rampe di accesso ai punti ristoro e ai rifugi e la messa a punto di facili sistemi di accesso ai servizi igienici.

Tutti gli interventi hanno dunque reso possibile strutturare concretamente l’offerta turistica invernale in ottica esperienziale e accessibile, individuando nel turismo sportivo un efficace strumento di inclusione. Sono stati così realizzati pacchetti turistici dedicati, in grado di abbinare il pernottamento alle attività sportive e ricreative, oltre che la valorizzazione dei prodotti agroalimentari locali. Nello specifico, il progetto prevede la creazione di pacchetti con pernottamento e maestro di sci; lo skipass e l’ausilio saranno in omaggio per un massimo di due giorni. Le Magnifiche Valli diventano accessibili e accoglienti davvero per tutti!

Per informazioni e per conoscere tutte le offerte: www.visitbergamo.net


 

Il Progetto “La Montagna d’inverno per tutti” è promosso dalla Camera di Commercio di Bergamo e Visit Bergamo

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Discover Moroni. Conservare, osservare, conoscere, scoprire, meravigliarsi https://www.valseriana.eu/blog/discover-moroni-conservare-osservare-conoscere-scoprire-meravigliarsi/ Tue, 19 Oct 2021 12:12:09 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=50528 Tra il 2008 e il 2021 – dalla collaborazione tra Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Bergamo e Fondazione Credito Bergamasco – si è sviluppato un prezioso percorso di salvaguardia e restauro di ben 16 opere di Giovan Battista Moroni distribuite in tutto il territorio diocesano e restaurate da Fondazione Creberg nell’ambito del progetto “Grandi Restauri”.
La Fondazione Adriano Bernareggi, nel desiderio condiviso di valorizzare il patrimonio di conoscenze accumulato durante i cantieri di restauro e di offrirlo alle comunità di origine, propone ora un insieme di attività, sostenute ancora una volta da Fondazione Creberg, rivolto a diversi pubblici di riferimento.

Discover Moroni. Conservare, osservare, conoscere, scoprire, meravigliarsi” è dunque un ricco percorso di iniziative dove, a ciascuna azione, corrisponde una attività erogata a titolo gratuito a tutti gli appassionati di questo importante pittore rinascimentale bergamasco, ma anche alle comunità parrocchiali che custodiscono sul territorio questi tesori dell’arte e della fede.
Una particolare attenzione sarà dedicata alle cinque opere pubbliche delle sei restaurate da Fondazione Credito Bergamasco nel 2021, rivolta specificatamente ai ragazzi, che potranno partecipare a una serie di laboratori appositamente progettati. Inoltre, per quattro fine settimana un gruppo di giovani operatori si dedicherà ad accogliere nelle chiese che custodiscono questi dipinti coloro che vorranno conoscerli da vicino. Video e conferenze, appositamente progettati, parleranno al pubblico più generale o a quello degli appassionati e nuove schede illustrative saranno realizzate per consentire a coloro che in futuro ammireranno i dipinti di comprenderne il significato, la storia, le curiosità.


CONSERVARE

Una scheda per ciascuna opera per un “Catalogo diffuso”.
Ciascuna comunità che negli ultimi anni ha visto restaurare la propria opera moroniana sente l’esigenza di acquisire una serie strumenti destinati alla conoscenza della stessa, sia per il proprio pubblico di riferimento, che per i visitatori che giungono da fuori ad ammirare per la prima volta il dipinto.
Anziché proporre un catalogo di tipo tradizionale, sono state predisposte delle schede innovative che uniscono la praticità del pieghevole alla completezza del fascicolo e offrono la soddisfazione di comporre il proprio “catalogo diffuso”, progressivamente, in modo personalizzato. L’iniziativa favorirà la circolazione dei visitatori sul territorio, alla scoperta delle opere moroniane che costituiscono un vero museo diffuso.
L’idea è stata infatti quella di produrre una serie di schede complete ed esaustive, che illustrano la storia delle opere, ne propongono l’analisi iconografica, ne ricordano l’impegno alla conservazione mediante i restauri effettuati da Fondazione Creberg e veicolano il messaggio pastorale ad esse correlato. Le schede potranno essere prelevate dai visitatori mediante la modalità “a strappo” che evita rischi di carattere pandemico. Saranno inoltre distribuite nel contesto dell’azione “Scoprire”.
Il contenuto delle 11 schede sarà anche caricato sul web.


OSSERVARE

Tre video per ammirare da vicino tre capolavori moroniani e il loro restauro.
Alcuni dei dipinti moroniani sono collocati in contesti architettonici non originali o difficili da raggiungere e vengono percepiti come distanti… un po’ inaccessibili a una contemplazione ravvicinata.
Un giovane video-maker curerà la realizzazione dei tre cortometraggi, in cui uno storico dell’arte racconterà il dipinto indicandone gli elementi principali, ma anche curiosità e peculiarità. La seconda voce di ciascun dipinto sarà quella del restauratore che si è preso cura dell’opera e che, mostrando le immagini riprese durante il suo lavoro, spiegherà gli aspetti più interessanti del restauro promosso da Fondazione Creberg.
Lo stile contemporaneo, l’uso di immagini ravvicinate e la durata ridotta diverranno le chiavi per una circolazione “social” degli stessi sia in ambito locale che per gli appassionati.

I video saranno dedicati alle seguenti opere:
Ultima cena, Romano di Lombardia, Parrocchiale di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore apostolo
Polittico di Fiorano: Madonna col Bambino, san Giorgio e la principessa, santa Lucia, santa Apollonia, sant’Alessandro, san Defendente, Fiorano al Serio, Parrocchiale di San Giorgio martire
Crocifisso con i santi Bernardino da Siena e Antonio da Padova, Albino, Parrocchiale di San Giuliano martire

 


CONOSCERE

Un ciclo di conferenze >>> SCOPRI QUI TUTTE LE CONFERENZE IN PROGRAMMA

Le indagini storico-artistiche legate ai dipinti moroniani consentono di narrare squarci storici e caratteristiche iconografiche precise. Lo studio delle opere, che negli ultimi decenni ha visto un sempre maggiore interesse da parte degli studiosi, offre ora la possibilità di dedicare a ciascuna di esse una serata di approfondimento. Un gruppo di storici dell’arte della Fondazione Bernareggi, unitamente ai restauratori coinvolti nel percorso di recupero, presenteranno in 9 conferenze tutte le opere oggetto di restauro, illustrandone i segreti tramite power point appositamente realizzati.
Durante le serate, organizzate presso le comunità di riferimento, saranno anche presentate le nuove schede illustrate nella sezione “Conservare”.


SCOPRIRE

Quattro weekend di visite guidate e itinerari liberi >>>  SCOPRI QUI TUTTI GLI APPUNTAMENTI

L’ambizione di questo progetto è «accompagnare» i visitatori a scoprire le opere moroniane sparse sul territorio, secondo un concetto di museo diffuso che appare come cifra di nuova valorizzazione territoriale del nostro tempo.
Ciascun visitatore potrà costruire autonomamente un percorso di visita e di scoperta del territorio e dei cinque importanti dipinti restaurati nel 2021: ad Albino (San Giuliano), Cenate Sopra (San Leone), Gaverina Terme (San Vittore – in corso di definizione), Palazzago (San Giovanni Battista), Seriate (Santissimo Redentore).
Le opere saranno debitamente illuminate e i giovani operatori coinvolti, oltre ad illustrare gratuitamente i dipinti, offriranno i laboratori per ragazzi indicati nella sezione “Meravigliarsi” e, contestualmente, distribuiranno le schede indicate nella sezione “Conservare”.


MERAVIGLIARSI

Laboratori personalizzati dedicati ai più piccoli
Mentre le altre iniziative prevedono il coinvolgimento di un pubblico prevalente adulto, con il tema “Mervaigliarsi” si vorrebbe coinvolgere i visitatori più giovani, che normalmente frequentano le scuole gli oratori.
La Fondazione Bernareggi, grazie alla ventennale esperienza dei propri dipartimenti educativi, sta progettando piccoli laboratori didattici personalizzati per ciascun dipinto restaurato nel 2021. L’operatore specializzato istruirà inoltre alcuni educatori locali, indicati dalla comunità, affinché i laboratori possano essere eventualmente replicati anche in futuro
Saranno coinvolti ragazzi di varie età per offrire questa modalità alternativa di apprendimento tramite l’esercizio della manualità.
Le comunità interessate sono quelle di Albino, Cenate Sopra, Gaverina Terme, Palazzago e Seriate, cui si rivolge anche il progetto “Scoprire”.

FONDAZIONE CREDITO BERGAMASCO È MAIN PARTNER DEL PROGETTO CULTURALE MORONI 500. ALBINO 1521-2021

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Clusone, la tua vacanza indimenticabile nell’arte https://www.valseriana.eu/blog/clusone-la-tua-vacanza-indimenticabile-nellarte/ Sat, 28 Aug 2021 10:40:19 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=49873 Arte, cultura e storia renderanno la vacanza clusonese un’esperienza unica!

Una visita a Clusone, che dal 1801 vanta il titolo di città, non può che cominciare da Piazza dell’Orologio. Naso all’insù vi sfidiamo a scoprire il segreto dell’Orologio Astronomico Fanzago che, con una sola lancetta che ruota in senso antiorario, indica le ore, i mesi, i giorni, la durata del giorno e della notte, i segni dello zodiaco, le fasi lunari e la durata della lunazione! Collocato sulla facciata Sud della Torre del Municipio, edificio medioevale che fa da cornice alla piazza, è un capolavoro concepito e costruito nel 1583 da Pietro Fanzago, ingegnere meccanico, matematico e fonditore, zio del Cosimo Fanzago, architetto anima barocca di Napoli. L’Orologio rappresenta il cuore della città di Clusone, l’anima che scandisce il tempo dei clusonesi, caricato a mano ogni giorno da oltre 400 anni e frutto della genialità di Fanzago che ha creato un connubio perfetto tra matematica, fisica e astronomia.

La Turismo Pro Clusone organizza per tutta l’estate visite guidate alla scoperta del meccanismo in gran parte ancora originale.

Foto di Lino Olmo Studio

Imboccate ora la salita a lato dell’Orologio e raggiungete l’Oratorio dei Disciplini, antica sede della Confraternita omonima, posto proprio di fronte all’imponente Basilica di Santa Maria Assunta. L’edificio conserva un ciclo di affreschi del 1485 di grande valore del pittore clusonese Giacomo Borlone de Buschis. L’affresco esterno, la Danza Macabra, è il più significativo: suddiviso in 5 parti, rappresenta un’opera unica in Europa e raffigura i temi della morte alla fine del Medioevo, epoca di pestilenze e insicurezza ma anche di arte e gusto per il bello in cui si comunicava al popolo attraverso le immagini, comprensibili anche dagli analfabeti. Proprio per questo i Disciplini decisero di commissionare la Danza macabra, un magnifico ciclo di affreschi.

Un’opera che continua a ispirare e a suggestionare.

Nel 2018 Vinicio Capossela ha composto il brano Danza Macabra inserito poi nell’album Ballate per uomini e bestie che, come dichiarato dallo stesso cantautore, si è ispirato proprio all’affresco clusonese. Nel 1950 Tullia Franzi, professoressa del Liceo Artistico di Brera e legionaria al fianco di D’Annunzio, gli dedicò degli ispirati endecasillabi. La Danza Macabra clusonese resta però sempre attuale e non fa mostra di sé solo in componimenti, saggi e brani musicali: nel videogame The Witcher 3, considerato dalla critica come un capolavoro della storia videoludica, l’affresco di Giacomo Borlone de Buschis compare in un edificio dell’espansione Blood and Wine.

Foto di Marzia Piccinelli

Gli amanti dei borghi storici, caratterizzati da scorci da fiaba e da angoli suggestivi, si potranno perdere tra i vicoli clusonesi, gli stessi vicoli percorsi da personaggi del calibro di Giuseppe Verdi, che a Clusone era spesso ospite della contessa Clara Maffei.

Dopo aver controllato l’ora esatta ai piedi dell’Orologio, proseguite infatti la vostra passeggiata con una tappa al MAT, il Museo Arte e Tempo, che vi aspetta con una collezione di rarissimi meccanismi di orologi da torre e opere di artisti locali e non che spaziano dalle tele alle sculture, ai disegni e agli sbalzi. Opere di Palma il Giovane, Trussardi Volpi, Manzù e molti altri vi attendono tra le gallerie e le volte affrescate dello splendido Palazzo Marinoni Barca.

Fino al 10 ottobre 2021, presso il MAT Museo è inoltre allestita la mostra “Clusone alle origini di Giovanni Trussardi Volpi” in occasione del Centenario della morte dell’artista. Numerosi scatti d’epoca consentono una ricostruzione del contesto territoriale clusonese in cui si è sviluppato il suo talento artistico, permettendo di calare lo spettatore nelle atmosfere della ValSeriana di inizio Novecento. Chiude il percorso espositivo un autoritratto dell’artista, che, posto direttamente in dialogo con le fotografie dei fondi Cristilli e Brighenti, delinea le coordinate storico-culturali del periodo e anticipa la mostra monografica dedicata al pittore in programma in autunno.

Proseguite infine il vostro viaggio alla scoperta di Clusone dirigendovi verso Palazzo Fogaccia, progettato da Giovan Battista Quadrio che si distinse nella fabbrica del Duomo di Milano, chiudete gli occhi e immaginate lo sfarzo dei balli Settecenteschi dei nobili lombardi; se siete fortunati potrete avere occasione di visitare l’interno, ancora oggi abitato dagli eredi Fogaccia – la famiglia dei Principi Giovanelli – grazie alle visite organizzate da Turismo Pro Clusone. E ora non vi resta che ammirare Clusone dall’alto sul sagrato della Basilica di Santa Maria Assunta, edificata tra il 1688 e il 1698, e insignita del titolo di Basilica Minore da Papa Giovanni XXIII nel 1961. Rimarrete a bocca aperta davanti al suo scrigno di tesori: altari marmorei, stucchi dorati, suntuosi paramenti sacri e tele dei più importanti artisti della tradizione lombardo-veneta tra cui il gruppo ligneo del Crocifisso della Bottega Fantoni. Abbinate la vostra visita al Museo della Basilica, un complesso straordinario composto da tre oratori contornati da otto sale. Nella parte est è situata l’esposizione permanente mentre la parte a ovest è spesso occupata da mostre temporanee.

Clusone vi lascerà senza fiato, uno scrigno di arte e cultura ai piedi della Presolana, immersa nel verde e nella natura della ValSeriana.

 

WWW.VISITCLUSONE.IT

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Zenerù. Il film https://www.valseriana.eu/blog/zeneru-il-film/ Sun, 30 May 2021 19:35:39 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=47928 Zenerù” è il nuovo film del regista Andrea Grasselli che racconta la relazione poetica tra l’antico rituale della Scasada del Zenerù di Ardesio e la vita dell’eremita Flaminio Beretta presentato in anteprima nazionale il 29 maggio al “Film Festival del Garda” e al “Dolomiti Film Festival”.
Il documentario, della durata di 30 minuti, è una produzione di OM Video in collaborazione con cinqueeseifilm e realizzato con il sostegno di Comune di Ardesio, Pro Loco Ardesio e Vivi Ardesio.

In “Zenerù” il regista ci trasporta nella vita del pastore ed eremita ardesiano Flaminio, colui che negli anni sessanta ha contribuito a conservare e ridare nuova vita al tradizionale rito di cacciata dell’inverno e che ogni anno è l’autore di una poesia-filastrocca che definisce il tema del Zenerù. Suo è sempre il disegno del fantoccio che una volta costruito dai compaesani, il 31 gennaio, viene cacciato e arso.
Nel film Flaminio e il rituale collettivo del Zenerù interagiscono, è lui che, da lontano, richiama con il suo corno gli ardesiani e li invita a dare il via al rito.

L’incontro tra OM Video e il Zenerù e Flaminio risale ad alcuni anni fa: “È stato amore a prima vista – spiega il regista Andrea Grasselli-. Nel 2015 con Giorgio Affanni eravamo in ValSeriana per un sopralluogo per un progetto che non si è concretizzato ma che ci ha aperto le porte al territorio. Abbiamo incontrato i promotori del MAS e realizzato un documentario sulla loro tradizione e questo ci ha permesso di scoprire l’esistenza del rituale del Zenerù e di Flaminio Beretta”.

Un incontro che ha lasciato il segno e ha spinto Grasselli e Affanni ad approfondire la tradizione e la conoscenza dell’eremita ardesiano. “Il nostro punto di forza, da sempre, è l’approccio, la ricerca sul campo, è grazie a questo che siamo entrati in contatto e abbiamo scoperto e vissuto il rituale collettivo del Zenerù, che ci ha affascinato così come la scelta di Flaminio di voler vivere in un modo tutto suo, personale, lontano da tutto”. Dopo alcuni anni in cui il progetto è rimasto nel cassetto verso la fine del 2019 l’idea di realizzare un film è ripartita e Grasselli con Affanni sono ritornati ad Ardesio più volte.

Abbiamo lavorato per conoscere dall’interno la tradizione del Zenerù ma soprattutto per creare un rapporto di stima, rispetto reciproco e confidenza con Flaminio per riuscire a raccontare in modo naturale e fedele alla realtà la sua vita. Ho cercato di evocare nel film le emozioni alla base del rituale e della vita di Flaminio”.


Il documentario, che è già stato selezionato in diversi festival cinematografici nazionali ed internazionali, è stato presentato in anteprima internazionale ad Aprile al Festival Internacional de Cine de Santa Cruz in Argentina e successivamente all’Indapuram International Short Film Festival in India.

Dall’1 al 5 giugno sarà al “Cinema e Ambiente Avezzano” e a fine giugno al “Vertigo Film Festival” di Milano. Diversi i Festival cui è stato candidato e selezionato: in autunno Zenerù sarà infatti presente ad alcuni festival nazionali ed internazionali mentre la prima bergamasca si terrà a dicembre ad Ardesio, paese del Zenerù.

 

Siamo onorati che un regista così attento alle tradizioni e ai rituali abbia scelto di raccontare un pezzo della storia di Ardesio attraverso la figura di Flaminio Beretta e della nostra tradizione della Scasada del Zenerù. Siamo molto contenti che il film stia raccogliendo consensi in Italia e nel Mondo in diversi festival e non vediamo l’ora di presentarlo ad Ardesio” è il pensiero condiviso da Antonio Delbono assessore alle associazioni, sport e ambiente del Comune di Ardesio, Gabriele Delbono presidente della Pro Loco Ardesio e Simone Bonetti, presidente di Vivi Ardesio.


>>> Scarica il Dossier del Film | Download
>>> Scarica il comunicato stampa | Download

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Si raccomanda la massima prudenza https://www.valseriana.eu/blog/si-consiglia-la-massima-prudenza/ Sat, 06 Feb 2021 14:19:25 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=46115 Avvisiamo tutti i visitatori che a causa dell’elevato rischio di valanghe e della presenza di ghiaccio è fortemente raccomandata la massima prudenza. Vi invitiamo a consultare di frequente il bollettino valanghe dell’ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) disponibile qui oppure tramite l’app che potete scaricare sul vostro smartphone, di prestare la massima attenzione e di non avventurarsi senza l’attrezzatura adeguata.

Al momento dell’aggiornamento della pagina [19 febbraio 2021] in particolare sono assolutamente sconsigliate escursioni e ciaspolate:
– Alla Valle dei Mulini – Castione della Presolana
– Pianone e Pizzo Formico – Clusone
– Timogno – Oltressenda Alta
– Chiusa la pista Pagherolo – Spiazzi di Gromo

È vietato l’accesso:
– al sentiero che collega la fraz. Pianezza alla Diga del Gleno – Vilminore di Scalve (Ordinanza Comunale)
– al sentiero che collega la frazione Nona di Scalve al Passo della Manina – Vilmionre di Scalve (Ordinanza Comunale)
– a
– al Pizzo Presolana, alla Conca della Presolana, al Pizzo Corzene, al Monte Visolo, ai versano nord/ovest e sud/est delle creste di Olone, al Rifugio Cassinelli – Castione della Presolana (Ordinanza Comunale)
– ai pendii del Monte Timogno – loc. Spiazzi, Ardesio (Ordinanza Comunale)
– al sentiero dalla Capanna Ilaria alla Croce del Pizzo Formico (Ordinanza Comunale)

Si consiglia di attenersi a itinerari a bordo pista prestando sempre la massima attenzione.

Le regole fondamentali

In inverno le regole che vanno sempre rispettate quando si va in montagna diventano ancora più importanti ed è bene seguirle attentamente:

– Pianificare la propria escursione consultando sempre prima il meteo e il bollettino valanghe. Qualora le condizioni meteo non consentano di muoversi in sicurezza rimandare l’escursione.

– Verificare sempre prima la fattibilità del percorso e cercare di prediligere i percorsi a bordo pista prestando sempre la massima attenzione.

– Scegliere l’itinerario in funzione della propria attuale forma fisica, della propria preparazione tecnica e del proprio grado di allenamento.

– Non voler a tutti i costi raggiungere la meta, saper rinunciare può essere fondamentale.

– Non effettuare escursioni da soli; in caso di escursioni di gruppo cercare di far in modo che i partecipanti abbiano lo stesso livello di preparazione, calcolando sempre l’impegno sulla base delle possibilità del componente più lento e meno esperto.

– Comunicare sempre  il proprio itinerario e l’orario per il quale avete previsto il vostro rientro.

– Documentarsi sulla zona che si intende visitare e dotarsi di adeguata carta topografica, studiando preventivamente i possibili itinerari alternativi di rientro.

– Dotarsi di abbigliamento e calzature adeguate alla zona, al terreno e all’attività sportiva che si sta per intraprendere; dotarsi di ramponi.

– Preparare lo zaino senza sovraccaricarlo ma portando con sé una minima dotazione di pronto soccorso e un ricambio.

– Dotarsi di ARTVA (dispositivo di ricerca dispersi in valanga), pala e sonda.

– In caso di difficoltà rimanere sempre uniti.

– Usare sempre giudizio e consapevolezza: conoscere sé stessi e i propri limiti è fondamentale.

In caso di necessità chiamare il Numero Unico Europeo per le emergenze: 112

Ultimo aggiornamento: 19 febbraio 2021

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A caccia di emozioni https://www.valseriana.eu/blog/a-caccia-di-emozioni/ Tue, 22 Sep 2020 07:00:56 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=38468 «Cosa voglio di più dalla vita? Un porcino!»

Parafrasando una nota reclame, potrebbe essere questo l’incipit ideale per raccontare l’emozione intensa degli escursionisti che si dedicano in ValSeriana e Val di Scalve alla raccolta funghi. I nostri boschi sono fra le mete più ambite dell’intera Lombardia, prodighi di pregiati porcini ma anche di una varietà di specie davvero infinita.

Villa d’Ogna è in questo senso una meta obbligata, in quanto sede  dell’Associazione Micologica Bresadola, fondata nel 1976 e dedicata (sede nazionale a Trento) al micologo Don Giacomo Bresadola.

«Le nostre Valli – spiega Pierino Bigoni, responsabile scientifico dell’associazione – offrono condizioni ideali, compatibilmente alle condizioni meteo, purtroppo sempre più mutevoli. Di massima il periodo propizio va da luglio a settembre, ma i funghi non guardano al calendario, ma al meteo e all’habitat. Di recente, a causa delle piogge e delle temperature basse di maggio, ho raccolto funghi tipicamente autunnali»

Boletus Edulis – ph. Pierino Bigoni

Come tutti i cercatori di funghi, Pierino mantiene un garbato riserbo sui famigerati “posti buoni” di cui tutti vantano personale esclusiva, ma traccia una mappa di massima delle aree più vocate. «In ValSeriana le opportunità sono molteplici. Da citare l’intera Conca della Presolana (con Monte Pora e S. Lucio), ma anche l’Alta Valle, dove spiccano la Valzurio, gli Spiazzi, Valcanale, Valgoglio e Valbondione. Punti nevralgici sono anche la Val Gandino (nell’area ai confini con Sovere) e la Valle del Riso sopra Gorno. A quote più basse (per esempio nei castagneti fra la Valle del Lujo e Pradalunga) il territorio è ideale per i pregiati ovuli oppure per i Boletus aereus, i porcini detti anche “magnà” per il loro colore scuro».

Amanita Phalloides – ph. Pierino Bigoni

La chiacchierata è utile per confermare o sfatare alcuni luoghi comuni molto radicati. «I porcini – spiega – nascono e crescono come simbionti. Vivono cioè in simbiosi con una pianta e questo fa sì che alcuni posti estremamente precisi offrano funghi con regolarità. Diverso invece il discorso della luna: non vi sono evidenze del fatto che, per esempio, il primo e l’ultimo quarto siano i momenti più favorevoli.
Il consiglio è quello di identificare il tipo di bosco: in un’area ricca di larici è molto difficile trovare porcini, presenti invece sotto i faggi, oppure (nel caso del Boletus aestivalis) in aree caratterizzate da noccioli.

Per non dire di betulle e pioppi tremuli, simbionti dei porcinelli».

Quest’anno la raccolta funghi in ValSeriana è sostanzialmente libera e gratuita, ad esclusione dei territori che ricadono nei comuni di Ardesio, Gandellino, Gromo ed Oltressenda Alta, dove si paga un permesso.
Per il rilascio del tesserino c’è una quota di 5 euro (un giorno) oppure 10 euro (settimanale), 20 euro (mensile) o 30 euro (annuale da 1 aprile al 15 novembre).

 

A questo link trovate il regolamento della Comunità Montana Valle Seriana

 

Sono esentati i coltivatori diretti residenti ed i proprietari dei boschi sulla loro proprietà. «Bisogna lavorare – afferma Bigoni – per avere un tesserino unico a prezzo calmierato, disponibile nei locali pubblici dei paesi più frequentati. Non mancano le perplessità: in quota, per esempio, i confini non sono ben verificabili».

Un elemento importante è senza dubbio l’equipaggiamento, dato che spesso accade di vedere escursionisti che affrontano i boschi in maniera inadeguata, addirittura con sandali e infradito.

Per la sicurezza utile far riferimento alle guide del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Nell’opuscolo specifico per i cercatori di funghi si sottolinea la necessità di calzare scarponcini dalla suola artigliata (non stivali di gomma), evitare zone eccessivamente impervie o sconosciute e segnalare prima itinerario e tempi ipotizzati di uscita.

«Bisogna rispettare – aggiunge Bigoni – elementari regole di buonsenso, compreso l’utilizzo di contenitori areati (cesti di vimini) per depositare i funghi. Molto utili anche gli zaini specifici, che lasciano all’escursionista le mani libere per meglio destreggiarsi nelle aree scoscese».

Escursione Micologica in ValSanguigno al Rifugio Gianpace

 

Articolo di Giambattista Gherardi per il VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2019

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Olera, piccolo mondo antico https://www.valseriana.eu/blog/olera-piccolo-mondo-antico/ Mon, 24 Aug 2020 16:58:24 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=33449 Dall’alto, molto in alto, grazie all’occhio di un drone, abbiamo di Olera un’immagine particolarmente suggestiva, il punto di vista inedito ci permette di cogliere quel grappolo di case immerse nel verde che conserva intatto il suo fascino antico di piccolo borgo medievale circondato dal lussureggiante paesaggio collinare. Si trova in una piccola valletta laterale, parallela alla valle del Nesa, che degrada dalle pendici del Canto Alto ed è compresa tra i monti Zuccone e Colletto, propaggini situate sul lato orografico destro della bassa ValSeriana.

Scorcio del borgo medievale di Olera

Posta a un’altezza di circa 520 metri, è collocata nei pressi dello spartiacque con la Val Brembana. Grazie all’ampia strada che sale da Nese, ci si arriva facilmente, anche se solo all’ultimo tornante il paesino svela al visitatore i suoi tetti di coppi rossi.
Distante circa cinque chilometri da Alzano Lombardo (di cui è frazione), il centro di Olera è un susseguirsi di archi, portoni, finestrelle e viottoli che rievocano quell’atmosfera tipica dei borghi contadini del passato, in cui la vita era scandita dal ciclo delle stagioni.
È davvero una manciata di case addossate le une alle altre attorno alla Parrocchiale (eretta nel 1471, ma l’attuale edificio in stile neogotico è relativamente recente: tra il 1875 e il 1880 la chiesa fu completamente riformata).
Recentemente si è parlato molto di Olera grazie al mistico cappuccino Tommaso Acerbis, più conosciuto come fra Tommaso da Olera (dove nacque nel 1563) beatificato il 21 settembre 2013 nel 450º anniversario della nascita. Una storia singolare la sua per l’attività di predicatore, l’impegno nel confortare gli infermi, l’amicizia con contadini e principi, l’umiltà con cui coniugò la vita del chiostro e la questua sulle strade del Nord, la fama di taumaturgo e, soprattutto, la quasi inspiegabile capacità di scrittore.

Fra Tommaso da Olera


STORIA DI OLERA, PAESE DI MAESTRI TAGLIAPIETRA

Ma la storia di Olera è molto più antica. Il primo documento conosciuto in cui appare il nome Holera, risale al 1165 ed è custodito nella Biblioteca Civica di Bergamo. È una pergamena scritta in latino in cui si parla di un certo Lanfranco Scaroto e dei figli di Pietro Penezza che avevano contrasti riguardo alle decime con i canonici della Chiesa di S. Vincenzo e di S. Alessandro, in Bergamo.
Da quanto riferisce il Mandelli, nel suo libro Alzano nei secoli, un certo Alberto Acerbis, discendente da una della più ricche e antiche famiglie bergamasche, fece costruire nel 1296, nella sua Villa d’Olera casa e chiesa. Certamente questa iniziativa fu importante per l’organizzazione del piccolo paese, ma Alberto Acerbis non può essere considerato il vero fondatore di Olera. Rintracciare il periodo e il motivo per cui fu fondata Olera è pressoché impossibile e anche sull’origine del nome diverse sono le ipotesi.

Le persone più anziane di Olera si ricordano ancora quando il cibo veniva cotto con le «öle», recipienti di pietra ollare di colore verdastro ricavata proprio dalla montagna su cui è posta Olera, di fronte al monte Solino.
Così Olera certamente significa luogo delle «öle».

Gli abitanti del posto erano gente tenace. La maggior parte delle famiglie di Olera possedeva capre o pecore e qualche mucca; quasi tutti lavoravano la terra sui terrazzamenti (Ruc) piantando orzo, grano, vite e più tardi il mais. Qualcuno invece lavorava nel preparare le pietre coti e le olle per la cottura dei cibi.
Proprio per la maestria con cui i suoi abitanti sapevano tagliare le pietre, il nome di Olera era fin dall’antichità conosciuto in tutto il territorio che fu di dominio veneto.

LA PARROCCHIALE E IL POLITTICO DI CIMA DA CONEGLIANO

Al centro del borgo la parrocchiale, dedicata a San Bartolomeo apostolo, che custodisce, relegato in luogo così discosto, il noto polittico di Cima da Conegliano formato da nove pannelli disposti in tre ordini intorno ad una nicchia contenente una statua lignea raffigurante San Bartolomeo.
Il pannello centrale rappresenta la Madonna col Bambino: è una delle tipiche Madonne del Cima, nella sua quieta tenerezza e nei tratti tristi e dolci insieme; la Madonna (a mezza figura) tiene il bambino Gesù ritto sopra un parapetto in un clima di sospesa contemplazione.

Pannello centrale del polittico con Madonna con bambino

I due pannelli laterali a sinistra raffigurano San Girolamo e Santa Caterina, mentre a destra sono Santa Lucia e San Francesco.
I pannelli inferiori, a figura intera, rappresentano San Sebastiano e San Pietro a sinistra, San Giovanni Battista e San Rocco a destra.
È probabile che il polittico sia stato commissionato al Cima da originari del luogo emigrati a Venezia.
L’opera è notevole non solo per la sua qualità, ma anche perché giunta fino a noi praticamente completa e poco manomessa. Non sono conservate solo le tavole, ma anche la cornice, bellissima, con la lunetta apicale con il Padre Eterno tra cherubini e la statua centrale di san Bartolomeo.
A Venezia, dove fu certamente eseguita, non sono molte le opere giunte così complete ed è quindi un tassello importante anche per la storia dell’intaglio ligneo veneziano.
Certo l’opera è ancora avvolta dal mistero: ancora oggi molti sono i vuoti di notizie sulla sua vicenda: perché e da chi fu commissionato, come giunse a Fra Tommaso da Olera e in quali anni.
Vuoti dovuti certo alle inevitabili perdite di documentazione nell’arco di cinque secoli, all’incendio dell’archivio parrocchiale nel 1630, ma anche alla posizione decentrata e solitaria della parrocchia.

Poche, ma significative, le certezze: il polittico è stato, per quanto concerne la parte lignea, eseguito a Venezia da artigiani di una bottega affermata (i Bianco) e da essi montato in loco (si sa da documenti relativi ad altre opere del Cima che i committenti dovevano accollarsi non solo le spese per il viaggio dell’opera, ma vitto e alloggio a chi era incaricato dell’assemblaggio). Non ha più contestazioni (dopo i dubbi antichi che lo attribuivano ora al Vivarini, ora a Francesco di Santa Croce o a Lorenzo Lotto) anche l’acquisizione del polittico ad un giovane Cima da Conegliano (nato forse intorno al 1460) e già residente e attivo a Venezia nel 1486.
Se la paternità non è più in discussione resta l’enigma relativo alla committenza del Polittico di Olera: poco convincente l’idea che l’opera più che dono di emigranti in Laguna sia stata commissionata dall’intera popolazione di Olera che si sarebbe affidata a uno o più concittadini residenti a Venezia.

La parrocchia con il polittico di Cima da Conegliano – ph. @Olera.italy

Certa è la presenza di molti oleresi in Laguna, ma perché la scelta cadde su un artista ancora poco noto seppur di belle speranze affiancato da intagliatori affermati? Allora pare più affascinante l’ipotesi di un legame con Conegliano nel cui lanificio erano impiegate maestranze bergamasche che potrebbero avere ingaggiato la giovane gloria locale ormai trasferitasi a Venezia.
Sempre nella parrocchiale è custodita, a fianco dell’altare sinistro, dedicato alla Vergine, un’altra notevole opera d’arte: una splendida icona veneto-cretese della metà del XVI secolo conosciuta come Icona della Madre di Dio della Passione. L’ordine della tipologia della Madre di Dio della Passione, estremamente diffusa tra gli artisti del XVI-XVII secolo che ripeteranno fedelmente lo stesso modello, è certo attribuibile a uno dei più importanti artisti della seconda metà del XV secolo, Andrea Rizo Da Candia, ma anche le circostanze del suo arrivo e della sua collocazione nella parrocchiale di Olera restano un enigma.
Le prime ipotesi ripercorrono l’idea che un certo numero di artigiani residenti a Venezia, evidentemente buoni conoscitori d’arte e ben pagati vista la loro perizia, avessero riportato con sé al paese l’icona della Vergine come espressione della loro devozione.

Chiesa San Bartolomeo Apostolo

LA CHIESETTA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

La Chiesa Parrocchiale, dedicata a San Bartolomeo Apostolo, è la più grande di Olera ma non certamente la più antica.
Sappiamo infatti della presenza di più chiese, tre per l’esattezza, due delle quali molto vicine, aventi la facciata sullo stesso sagrato. Bisogna notare che la chiesa grande è costruita su un torrente, che ancor oggi scorre sotto di essa e si può vedere, essendo stata posta una griglia a lato del campanile. È logico pensare che, non bastando più la chiesa vecchia, si costruì sul poco terreno disponibile una chiesa più capace, e per sfruttarlo al massimo si utilizzò anche la superficie del torrente.

Nei libri della Chiesa della SS. Trinità, conservati in archivio parrocchiale, si parla di “Chiesa Vechia, nominata Sanctissima Trenitade et tutti li Sancti, contrapposta a quella granda”, ossia la chiesa di S. Bartolomeo, la parrocchiale. Ciò è la prova che la chiesa più antica non è la parrocchiale, ma la Chiesa Vecchia, o chiesina, come è tuttora chiamata.

Si innalza a destra della Parrocchiale a essa vicinissima ed è chiamata, come dicevamo, Chiesa della Santissima Trinità e tutti i Santi o Chiesa dei Morti (è ancora oggi leggibile sul frontale dell’arco absidale: “Templum Mortuorum”) in quanto sotto il pavimento, nell’angolo sinistro rispetto all’entrata, c’era una fossa che fungeva da ossario.
La chiesa sembra essere la più antica, risale infatti al 1296 quando Alberto Acerbis “fece costruire nella sua villa di Olera case e chiesa”. Assunse in seguito importanza di parrocchiale: “…quae alias erat parochialis dicti loci”. È qui che si trova un’antica pala d’altare nota come pala della “SS. Trinità e tutti i Santi” ora posta a sinistra dell’ingresso sopra un altro importante manufatto: la cinquecentesca ancona lignea dorata con intarsi in altorilievo raffiguranti la lapidazione di Santo Stefano protomartire.

La tela ha per soggetto “L’incoronazione della Vergine” e, soprattutto, è una rivisitazione di un’altra importante opera: L’incoronazione della Vergine di Paolo Caliari detto Paolo Veronese, dipinta per l’altare maggiore della chiesa di Ognissanti di Venezia (consacrata il 21 luglio del 1586).

La comunanza di soggetto e la ripresa di soluzioni molto simili per la trattazione dei personaggi, fa emergere un immediato legame tra la tela del Veronese e la nostra. La pala è stata recentemente attribuita a un artista assolutamente singolare di cui poco si sa, Pase Pace: non si conoscono l’anno e il luogo di nascita di questo pittore, figlio di Filippo, attivo a Venezia a partire dall’ultimo decennio del XVI secolo.

Il caratteristico borgo

La comunità bergamasca a Venezia nella sua storia plurisecolare si connota così per la consistenza numerica e per l’eccezionale grado di integrazione e successo sociale.
Tessitori di seta, di pannilana, corrieri postali, facchini della dogana del porto e tagliapietra sono solo alcuni comparti del mondo produttivo veneziano dove gli immigrati di origine bergamasca sanno ritagliarsi aree privilegiate di impiego, in cui, in virtù di particolari meccanismi di trasmissione del posto di lavoro, alimentano la propria presenza inserendo figli e fratelli o chiamando a Venezia dal paese d’origine parenti e compaesani.
Si costituisce quindi una piccola società nella società, integrata pienamente nell’assetto economico della laguna ma che mantiene intatti i legami con la terra d’origine: ne è un esempio questo lavoro che dimostra come 25 oleresi fossero ancora profondamente legati al paese d’origine al punto di “donare” la pala d’altare per la loro “chiesa vechia”.

 

Testo tratto dall’articolo di Orietta Pinessi per VALseriana e Scalve Magazine

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Quando ti spuntano le ali https://www.valseriana.eu/blog/quando-ti-spuntano-le-ali-voli-in-parapendio/ Sun, 05 Jul 2020 14:08:15 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=42577 Il mezzo più semplice e leggero che l’uomo conosca per volare è il parapendio: un’ala colorata che si gonfia al vento e permette di conquistare in volo chilometri di bellezza. Il territorio della ValSeriana ha una conformazione particolarmente adatta per il volo in parapendio e per questo lo si pratica tutto l’anno a Rovetta, Castione della Presolana, Aviatico e a Gandino.

Scopri QUI dove volare sopra le montagne del territorio

IN VOLO SOPRA
I BORGHI DELLA PRESOLANA

Domenica, ore 11, ritrovo al campo sportivo di Rovetta. L’appuntamento con Luca Camera, presidente di AlpiFly di Rovetta, è fissato. Un po’ di agitazione inizia a farsi sentire e, penso, si trasformerà in adrenalina. Al punto di ritrovo l’atmosfera è frizzante, dalle auto scendono ragazzi con zaini enormi, scrutano il cielo, parlano di correnti ascensionali termiche. Sono nel posto giusto: sono loro i miei compagni di viaggio. Mi faccio avanti cercando di nascondere quella sana paura di chi sta per provare una nuova esperienza, desiderata da tempo. Una Mitsubishi Pajero del 1988 ci trasporterà fino alla Cappella degli Alpini al Monte Blum (1972 m), trampolino di lancio perfetto per i voli in parapendio.

Durante il viaggio cerco di capire qualcosa in più di questa pratica outdoor: i ragazzi spiegano nel dettaglio di cosa si tratta, si vede tutta la loro passione. Fanno parte di AlpiFly, che unisce una cinquantina di appassionati. Fra loro cinque sono abilitati per guidare il biposto.



VOLI BIPOSTO

 

Mi raccontano che questo tipo di volo è attività adatta a tutti e non richiede particolari abilità fisiche: lo possono provare i bambini di almeno otto anni e poi non ci sono limiti ulteriori (Luca ha fatto volare una signora di 79 anni che di abbandonare il cielo proprio non ne voleva sapere).

Propongono voli dal Blum o dallo Scanapà (Castione della Presolana), ma si possono organizzare lanci in base ai desideri del clienti: anche dal Vaccaro di Parre o magari dalMonte Farno a Gandino, che pure vanta una storia importante. Basta farsi coraggio e organizzare l’uscita insomma.

Voli in parapendio biposto con Alpifly


IL LANCIO

 

Ci siamo, ecco la Cappella degli Alpini. La vista è di una bellezza incredibile, la cornice è quella delle Orobie, da una parte la Valzurio e a dominare Redorta e Timogno, dall’altra l’Altopiano clusonese, il Monte Pora e il Lago d’Iseo luccicante con al centro Montisola. La manichetta rossa e bianca tira da sud ovest: significa che le condizioni meteo per volare ci sono. Il tempo di un respiro profondo e sono chiamata in postazione; mentre mi aiutano a mettere l’imbragatura mi spiegano quello che dovrò fare: qualche passo in avanti poi, nel momento in cui mi sentirò tirare all’indietro e la vela inizierà a spiegarsi, sarà l’ora di correre, senza esitazione e fino a quando i piedi non si saranno staccati da terra. A quel punto è fatta. Ci si posiziona comodi sul seggiolino e si accende la GoPro. Luca chiede più volte se va tutto bene… È l’ora di godersi il viaggio.

Il panorama da Monte Blum sull’altopiano della Presolana

Mentre sono in alto, per la prima volta così in alto senza avere i piedi poggiati, penso che è incredibilmente semplice quello che l’uomo può fare: volare con un’ala di 42 metri quadrati, composta da piccole cellette traforate, i freni, l’acceleratore, i cordini a reggere il sellino, alla faccia del mitologico e fallimentare volo di Icaro che diventò monito per chi decide di andare oltre le capacità umane. L’ala con cui sto volando si chiama proprio Icaro.

Rifletto sul fatto che il mito oggi ha senso se letto come invito a vivere in sintonia con quello che ci circonda, perché da lassù bisogna essere capaci di ascoltare il vento, assecondarlo, farsi aiutare abbracciandolo laddove il suo soffio è più caldo; l’abilità fisica necessaria per praticare questo sport è nulla rispetto alla forza psicologica di chi si mette alla guida di queste ali leggere. Ci vuole certo un po’ di follia, quella che spinge alcuni piloti a fare voli anche di oltre duecento chilometri, senza mai atterrare, ma servono anche costanza, pazienza, forza di volontà e astuzia.

Da questa prospettiva stupore e meraviglia si alternano fra infinite emozioni: attorno le montagne anziché ostacoli sembrano traguardi vicini, il bosco disegna sotto di noi ricami geometrici dolci e spumosi, mi incuriosiscono le case, i campanili, i rettangoli verdi dei giardini; è immensamente piccola la distanza fra un paese e l’altro, fra una cima e l’altra, fra una casa e l’altra. Il territorio della ValSeriana ha davvero una cifra stilistica: la bellezza naturale è in costante dialogo armonico con le tracce di una storia che oggi è cultura.

Il pilota mi richiama sul pianeta Terra, è ora dell’atterraggio e torna l’ansia, ma il tempo per pensare è poco. Con una certa velocità ci si avvicina al campo e in un attimo siamo di nuovo alla base. Un compagno di avventura ci contatta via radio per assicurarsi che tutto sia andato per il verso giusto.

La risposta mi viene spontanea: a quando il prossimo lancio?



Un grazie a Luca Camera, presidente di AlpiFly, che ci ha guidato in questa incredibile esperienza.

L’associazione organizza durante tutto l’anno lanci con parapendio biposto e partecipa ad alcuni eventi sul territorio.
Info e prenotazioni: www.alpifly.it
info@alpifly.it – +39 328.0184461

 


Articolo di Serena Bonetti per VALSeriana & Scalve Magazine – primavera 2020

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Coston Bridge, nato per unire https://www.valseriana.eu/blog/coston-bridge-nato-per-unire/ Sat, 14 Mar 2020 14:42:47 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=41867 An gh’a sé toecc al Coston Beach, a èt sa le era chel ch’ia dicc…“.
È l’estate del 2004 e il Bepi (celeberrimo nome d’arte del cantautore Tiziano Incani) esce con il suo primo disco di canzoni in bergamasco.
Fra quelle più orecchiabili c’è Coston Beach, il racconto di una giornata estiva fra amici trascorsa lungo le rive del fiume Serio, nella più famosa spiaggetta della ValSeriana, fra Casnigo e Ponte Nossa.
Il dialetto è il territorio, – afferma il Bepi – lo strumento più efficace per rappresentarne le sfumature, le tradizioni più o meno antiche che lo caratterizzano, per restituire in modo leggero un’immagine genuina”.

In effetti, “andare al Coston Beach” è per turisti e seriani quasi un rito.
La gente ama questa spiaggia “a chilometro zero” con pietre levigate, con acqua dalle sfumature smeraldo e la serena caccia alla tintarella che in estate crea una piccola Rimini. Il Bepì, con un’efficace associazione tra inglese e bergamasco, ha nei fatti certificato un fenomeno sociale.

IL PONTE DEL COSTONE

La spiaggetta è a pochi passi dal Ponte del Costone (per parafrasare il Bepi potremmo coniare un efficace Coston Bridge) punto nevralgico della viabilità della ValSeriana. Il ponte permette di passare da una sponda orografica all’altra, nel punto in cui il corso del Serio si fa impetuoso, restringendo il suo letto per la presenza di rocce di dolomia, particolarmente resistenti all’erosione. Una strozzatura, un imbuto naturale stretto tra i fianchi di due nervosi e massicci costoni, appunto, che sporgono sull’asse viario in modo invadente: a sinistra il Corno Guazza, massiccio secondario del Pizzo Formico, composto dal Pizzo Guazza (1270 mt) dalla cui cima veglia la Madonna degli Alpini e da una cima minore, il Corno Falò (1147 mt) che scende a picco sul fiume. Sulla destra del fiume gli fa da contraltare il Pizzo Frol (1055 mt).

ph. Fiorenzo Visinoni

NATO PER UNIRE

Il Ponte del Costone è un luogo di transito, una sorta di obbligata porta di accesso ai borghi di montagna. Di qua e di là del Ponte si trasformano gli scenari e chi sale da Bergamo percepisce un impatto immediato.
Dalle colline e dai centri industriosi a ridosso della strada e del fiume nella bassa e media valle, si passa a paesi arroccati sui pendii (sono i primi insediamenti della ValSeriana, risalenti all’età del Ferro) e vette imponenti (da qui si scorge il Leten, il Monte Trevasco, nei giorni migliori anche il Redorta e il Pizzo del Diavolo) che si fanno sempre più vicine.
Anche il clima si fa più frizzante, con l’aria più fresca nei mesi estivi e pungente in quelli invernali. Il Ponte del Costone è un punto che non solo idealmente segna l’inizio dell’Alta Valle Seriana: si ha notizia di un cippo datato 1694 che qui segnalava un vero e proprio confine amministrativo.

Il Ponte all’inizio del ‘900

Al di là della moderna e fugace apparenza che ci offre l’attuale viabilità, non possiamo che immaginare come questo fosse un luogo impervio e isolato, ideale per briganti e contrabbandieri, ideale per creare zone franche da non valicare durante epidemie e ondate di peste, come è successo nel Seicento. Se per secoli questo luogo è stato sinonimo di divisione, ecco che il Ponte segna, non solo simbolicamente, la necessità di unire, di creare scambi sociali, culturali e commerciali, di generare nuove convergenze fra territori. Non a caso, il ponte è una delle architetture civili più importanti che i Romani ci hanno lasciato in eredità. Ricostruire la storia di un ponte e le vicende che l’hanno interessato va dunque al di là del “colore” di una simpatica canzone.

LO VOLLE NAPOLEONE

Fu Napoleone a volere il Ponte del Costone, lo testimonia il cippo risalente all’anno di fondazione un tempo collocato all’ingresso del ponte e ora spostato – in occasione dei recenti lavori di sistemazione – nel palazzo comunale di Casnigo; incisa e ancora leggibile la scritta NAPOLEONE IMPERATORE E RE MDCCCXIII (1813), meno evidente ma comunque presente è il nome dell’ingegnere che lo progettò e ne diresse i lavori, ing. Vidali.

Cippo di fondazione – ph. Franco Irranca

In realtà, il primo tentativo di creare un collegamento sicuro e facilmente accessibile tra le due sponde del fiume nel punto più stretto della Valle (evitando di percorrere l’ex strada Regia che correva sulla destra, troppo stretta e insicura) risale al 1810 quando venne costruito il primo ponte in pietra viva con una corda di 24 metri e un’altezza di 8; di questa prima struttura, però, l’anno successivo crollarono l’arco centrale dei fianchi, delle pile e dei cunei, perché la calce utilizzata da legante ed estratta poco prima da una cava limitrofa non aveva garantito la durezza necessaria a sopportare il peso della struttura. Per la ricostruzione dell’arco centrale, durata dal 1812 al 1816, si preferì utilizzare la pietra viva della cava di Oneta estratta dalla montagna Els e comunemente conosciuta come Costa Jels, in Valle del Riso.

Napoleone diede un primo impulso all’economia incrementando notevolmente le produzioni dei settori tessile, minerario e agricolo. Individuò proprio nel Ponte del Costone uno dei punti più critici e limitanti, ma allo stesso tempo potenzialmente significativi per gli scambi commerciali con le valli circostanti, Bergamo e la pianura. Attorno al Costone, infatti, si diramavano direttrici che collegavano i principali nuclei produttivi: la Val del Riso con i sui importanti centri estrattivi di zinco e argento, e da lì la Val Brembana; Ponte Nossa con i suoi magli; l’alta Valle con Gromo, primo nella forgiatura di armi bianche, soprattutto spade; la Val Gandino, rinomata per la produzione tessile, ma anche la Val di Scalve, la Val Camonica e il lago d’Iseo. Il Ponte ebbe quindi il merito di generare uno sviluppo notevole delle attività artigianali della ValSeriana, consentendo un veloce movimento delle merci e giocando un ruolo decisivo per la nascita, fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, di molte aziende.

FRA STORIA E LEGGENDA

Nelle testimonianze storiche antecedenti al 1800 non si trovano notizie che possano far pensare alla presenza di un ponte in questa zona. Di età romana si ricorda una necropoli e la prima strada ciottolata; del Mille circa si menziona nelle fonti una fortificazione in questa zona che segnava il confine della Congregazione di Honio, nel 1400 doveva esserci l’Hosteria di Parre con stanze, tavola calda, scuderie per i cavalli e un porticato sotto cui transitava la strada pubblica. Mai si menziona un ponte. Valicare la Valle in questo tratto era con tutta probabilità impresa ritenuta pericolosa, o addirittura impossibile. Un’impressione cui riconducono anche le leggende tramandate dalla tradizione orale.

Fra i costoni del Pizzo Guazza e Frol, narrano ancor oggi i valligiani più anziani, abitava un tempo la Ègia di Cadene (la vecchia delle catene), una terrificante strega che si aggirava fra i monti rocciosi della zona in cerca di bambine di cui cibarsi, vestita solamente di pesanti catene con campanelli tintinnanti. Un modo per esorcizzare, soprattutto nei racconti ai più piccoli, un luogo impervio e pericoloso.

Il passaggio della pista ciclabile sotto il Ponte del Costone

La cosa fa sorridere, soprattutto se si pensa a quello che il Ponte del Costone rappresenta oggi, con il traffico di pendolari, turisti e residenti – a ogni ora del giorno e della notte -, ma anche con la pista ciclabile che percorre sotto le arcate quello che un tempo era il sedime della Ferrovia Valle Seriana, chiusa nel 1967. E poi la spiaggetta icona che si affaccia sul Serio cristallino, la pista ciclabile e il piccolo parco giochi.

Coston Bridge o Coston Beach, per tutti noi, e per la storia, è il Ponte del Costone.

 

Articolo di Serena Bonetti per VALSeriana  & Scalve Magazine

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Un tè con il Principe https://www.valseriana.eu/blog/un-te-con-il-principe/ Tue, 10 Mar 2020 13:12:29 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=41866 «La aspetto domani alle 15 per un tè».
Quando un invito così arriva da un Principe e sei cresciuta negli Anni ʼ90 a pane e Cenerentola, il pensiero non può che volare subito a zucche, topolini, carrozze e balli.

Con questo stato d’animo, e il solito look da ufficio (ben lontano dal bellissimo abito di Cenerentola) con scarpe argentate (la cosa più simile alla scarpetta di cristallo che ho trovato, perché diciamocelo, la scarpetta fa tutto), all’indomani sono all’esterno della cancellata, in una giornata di quelle che solo ottobre sa regalare e che fa sembrare Palazzo Fogaccia di Clusone un posto fatato.

Sono in leggero anticipo e la mia conoscenza di buone maniere in quanto a Prìncipi è alquanto risicata. «Devo aspettare le 15 in punto – mi chiedo – o alle 15 devo essere già seduta? Devo suonare il campanello o verranno ad aprirmi?»

Nel dubbio trascorro i minuti di vantaggio a rimirare la facciata e il giardino, appostata con la macchina fotografica, più simile a Robin Hood che a Cenerentola. L’orario è perfetto: il muro rustico della facciata sud dà il meglio di sé con il sole pomeridiano che evidenzia in un disegno preciso le pietre scure delle cornici delle finestre e dei portali. Mentre osservo le dieci aperture quadrate del primo piano, le grandi finestre del piano nobile, le aperture del terzo piano e il balconcino centrale che sembra dare il benvenuto ai visitatori, non posso fare a meno di tornare indietro nel tempo: me lo immagino qui, proprio nell’angolo di via Fogaccia, Giovan Battista Quadrio (figlio del Gerolamo che lavorò alla fabbrica del Duomo di Milano) nel 1692 a disegnare l’architettura del palazzo su richiesta del conte Vittorio Maria Fogaccia.

I rintocchi del campanile mi riportano alla realtà: non si arriva in ritardo da un Principe, non si sa mai, potrei trasformarmi in una zucca. Mi accoglie il custode e mi fa attendere nell’atrio.
Mi godo il momento: non è la prima volta che entro da questa porta, ma è la prima in cui posso ammirarlo completamente da sola. Ferma con il naso all’insù nell’ampio androne silenzioso mi sento ancora più piccola. Non è colpa delle scarpette argentate senza tacco, ma merito dell’imponenza della struttura Settecentesca che richiama una magnificenza sobria, elegante. Niente è eccessivo, tutto sembra al posto giusto per mettere in risalto le splendide vetrate e l’orologio a pendolo (è originale, a pietra, come scoprirò più tardi).

«Prego, entri pure» e mi ritrovo nel bellissimo salone, tra quadri di Querena, Carpinoni e Bettera, fotografie e libri che raccontano l’ultimo secolo di vita del palazzo. Il Principe Alberto Giovanelli mi aspetta davanti al quadro del Fassi che ritrae il nonno e io mi sento sempre più piccola, circondata da testimonianze del passato e del presente, sotto al soffitto affrescato che lascia a bocca aperta.
Lo smarrimento dura poco, perché la gentilezza e la galanteria con cui Giovanelli accoglie i propri ospiti riesce a far sentire a casa, (anzi, è il caso di dire “a palazzo”), chiunque varchi la soglia.

Iniziamo la nostra chiacchierata e non posso fare a meno di chiedermi se non sia proprio il Principe Azzurro quando mi offre un caffè, anziché un tè (che i Principi leggano nel pensiero?), e subito sono catapultata indietro di un secolo. «Per quasi cento anni il palazzo è stato oggetto di divisioni, in diversi ne reclamavano la proprietà. La spuntò Piero Fogaccia, avvocato di Bergamo, che tra il 1927 e il 1930 procedette alla ricostruzione, ma ci credi che glielo consegnarono completamente nudo? Lasciarono solo tre cose: il pendolo, un trumeau e il quadro del Paglia». Mi indica il quadro e non stento a capire il perché: l’opera di Francesco Paglia, allievo del Guercino, che raffigura una festa nel parco con il Conte Fogaccia e la sua famiglia occupa un’intera parete del salone, è monumentale e regala un’aria di festa alla stanza. Non proprio semplice da spostare e da collocare in un salotto sopra un divano, insomma.

Tra un sorso di caffè e un biscotto, il Principe continua il racconto della vita del palazzo che, mi dice, pochi sanno essere stato sede di un Ministero. «Per evitare i grandi centri, oggetto dei bombardamenti, tra il 1943 e il 1945 molti ministeri vennero trasferiti nelle piccole cittadine e qui arrivò quello delle Colonie. Io e mio fratello Carlo giocavamo lì – mi racconta mostrandomi una parte del bellissimo giardino – e spesso incontravamo i funzionari sullo scalone che porta alla galleria. Pensa che vent’anni dopo, a Roma, sono andato all’Eur per sbrigare alcune pratiche e mi ha accolto un signore anziano, molto distinto. Sente il mio nome e mi dice: «Il Principe Giovanelli? Lei è di Clusone!». Era uno dei funzionari del Ministero. Guarda come il Palazzo ha aiutato a far conoscere il nome di Clusone».

Crescere a Palazzo Fogaccia non è cosa da tutti, chissà come era il Natale da bambini in questo splendido salone. «Lì nel camino allestivamo un presepe bellissimo. Mio padre ha sempre avuto talento per la pittura e creava uno scenario splendido. Invece qui, dove sei seduta tu, mettevamo un abete altissimo. Chiudevamo le persiane per rispettare l’oscuramento e poi accendevamo le lucine. Era magico. Nel 1945 anche un generale tedesco ha voluto vedere la sala addobbata e sono andato lì – mi indica l’ingresso – a dargli il benvenuto. Sapevo il tedesco nonostante fossi un bimbo di 5 anni: la mia schwester parlava solo così, mentre i miei genitori parlavano in italiano (ovviamente), in inglese e in francese».
Rifletto sul fatto che sono seduta dove si sono seduti ministri, generali e principi. In centro a Clusone, non a Roma o a Venezia. «Non solo, cara. Anche un Papa. Roncalli era molto legato a Piero Fogaccia e in occasione della sua visita del 1957, quando era Patriarca di Venezia, venne a trovare mia zia, la Contessa Marietta, che gli offrì un banchetto sontuoso. Mica come ho fatto oggi io con te, molto di più. Immaginati: biscotti, torte, tè, caffè, tutto apparecchiato in modo sfarzoso per il Cardinale. Si sedettero lì davanti al quadro del Paglia e, ammirando quel banchetto, lui le disse: «Neh Marietta, non hai mica un bicchiere di vino rosso?».

Mi sembra di avere fatto un viaggio nella storia, oltre che nel palazzo, e se chiudo gli occhi riesco quasi a vedere la Contessa Franca Giulia Fogaccia, madre del Principe, su quella carrozza nera che ancora accoglie i visitatori all’ingresso, mentre si avventura verso la Presolana per portare un po’ di provviste ai partigiani che non avevano cibo. Ma il tempo corre e ci apprestiamo a salutarci.

«Mi tolga una curiosità. Da clusonese per me questo palazzo è quello che ti ricorda che è la tua città, che sei a casa. Ma per lei è casa davvero: come vive Palazzo Fogaccia il proprietario di Palazzo Fogaccia?» «Mi prenderai per matto ma io qui parlo con i miei antenati sai? Glielo dico sempre, non sono il proprietario, sono il custode di questo luogo, custodisco quello che loro hanno vissuto qui. Questo è il posto in cui ho trascorso momenti bellissimi da bambino e dove ora passo la maggior parte del mio tempo, quando non sono a Roma». Decido l’azzardo, timorosa della risposta: «Mi dica la verità, lei si sente più romano o più bergamasco?». Risponde senza esitazione: «Più clusonese».

Non ho più dubbi, è davvero il Principe Azzurro. E mentre mi accompagna all’uscita non posso fare a meno di guardare la carrozza e dire: «La ringrazio tanto, mi ha fatto sentire un po’ Cenerentola». E tutto mi sarei aspettata tranne che di sentirmi rispondere: «Ma hai portato anche Gas Gas e gli altri topolini?».

 

Promoserio, in collaborazione con Artelier, organizza visite guidate al magnifico Palazzo. Scopri qui tutti i dettagli sulle prossime date in programma.

Articolo di Martina BIFFI Per VALSeriana & Scalve Magazine

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A rimirar le Stelle https://www.valseriana.eu/blog/a-rimirar-le-stelle-osservatorio-astronomico-di-ganda/ Thu, 13 Feb 2020 12:29:31 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=41868 È un grande occhio, capace di avvicinare i nostri piccoli occhi alle stelle e ai pianeti di seicento, settecento volte. È un grande occhio che scruta gli abissi del cosmo, capace di svelare galassie, nebulose, quasar, dettagli dei pianeti, da Marte a Giove, a Saturno. Si trova sopra Aviatico, precisamente nella zona di Ganda, si chiama “Osservatorio astronomico delle Prealpi Orobiche”.

Panorama su Ganda e la cupola dell’Osservatorio

Da dove si lascia l’automobile parte un sentiero, cinque minuti, e si arriva alla costruzione realizzata dal Circolo Astrofili Bergamaschi, che ospita un potente telescopio dotato di un obiettivo di mezzo metro di diametro. Nell’osservatorio si conducono lavori di ricerca, ma ci sono diverse serate dedicate al pubblico, alla divulgazione. Per esempio tutte le serate del primo venerdì del mese.

L’Osservatorio Astronomico di Ganda

LA NASCITA DELL’OSSERVATORIO

L’Osservatorio è stato inaugurato vent’anni fa, il 31 maggio del 1999. Quel giorno a Ganda venne anche Franco Malerba, il primo astronauta italiano. Ricorda Davide Dal Prato che, al tempo, era presidente del Circolo Astrofili Bergamaschi: «Si cominciò a parlare di un osservatorio a Bergamo nel 1981. L’assessore alla pubblica istruzione del Comune, Claudio Pelis, lo voleva realizzare, magari con annesso un piccolo planetario. Si pensò a costruirlo
sui colli, in particolare sul colle dei Roccoli o alla Bastia, ma alla fine non se ne fece nulla. Verso metà degli anni Ottanta venne avanzata la proposta di costruirlo a Miragolo, il comune di Zogno sembrava molto favorevole all’iniziativa, ma anche lì andò a finire in niente. Allora il socio Massimo Camozzi di Selvino riuscì a trovare un buon terreno nelle sue zone, in comune di Aviatico: era la volta buona, su quel terreno, nella frazione Ganda, nacque l’osservatorio. Lo pagammo 500 mila lire, il comune di Aviatico cercò di aiutarci in tutti gli aspetti burocratici. Ma non fu semplice».

Gli Astrofili dovettero darsi un gran da fare nel concreto per potere realizzare il loro sogno. Prima ebbero problemi con la legge Galasso che riguardava le costruzioni in quota, poi ebbero problemi di finanziamento, quindi le parti meccaniche del telescopio andarono rifatte. Dice Davide Dal Prato: «I lavori cominciarono il 4 gennaio del 1993 e andarono avanti per sei anni. Venne tutto autofinanziato: ci vollero 90 milioni di lire dell’epoca, più un sacco di lavoro volontario. Ricordo che per risparmiare sull’elicottero e sul trattore, portavamo i sacchi di cemento sulle spalle dalla strada alla costruzione. I soci si autotassarono, un gruppetto di loro versò 500 mila lire e in cambio ottenne di diventare “socio vitalizio”. Fu una piccola, grande impresa».

L’OBIETTIVO DEL TELESCOPIO

Il grande telescopio

Lo specchio principale, l’obiettivo, del telescopio venne lavorato dalle ottiche Zen, ha un diametro di 51,2 centimetri. La parte meccanica definitiva fu realizzata dalla ditta Capelli di Villa d’Almé. Le parti elettroniche erano all’avanguardia, sebbene oggi siano state tutte sostituite… oggi il telescopio è completamente robotizzato. Schiacci un paio di tasti e il telescopio fa tutto da solo: individua le stelle, le insegue tenendole nel mirino, manda le immagini sul computer, se si vuole anche a casa, in modo che non c’è bisogno di stare con l’occhio incollato all’oculare, magari nell’aria gelida dell’osservatorio, d’inverno.

L’OSSERVATORIO OGGI: RICERCA E DIVULGAZIONE

Paola Tagliaferri è direttore dell’Osservatorio, oggi. Racconta: «Le serate del venerdì hanno sempre molto successo. Si comincia con una chiacchierata introduttiva di un’ora, si parla del cielo, dell’astronomia, del telescopio. Poi si visita la struttura, si spiega di che cosa si tratta. Poi inizia l’osservazione vera e propria, con lo strumento principale, ma anche con quelli ausiliari. I soci del Circolo Astrofili possono accedere all’osservatorio anche in altre sere, a patto che abbiano frequentato il corso specifico e dispongano del patentino che viene rilasciato alla fine». Il Circolo si occupa di divulgazione, di osservazione del cielo, di ricerca. Dice ancora Paola: «In particolare, un nostro socio astrofisico, Massimo Banfi, compie ricerche sulle stelle che variano di splendore nel tempo e ne ha scoperte tre nuove, sono variabili a eclisse. Le sue osservazioni hanno confermato la scoperta di una serie di pianetini, per conto dell’Unione astronomica internazionale. Un’altra attività importante è quella della fotografia astronomica: alcune immagini riprese con il riflettore da mezzo metro sono davvero bellissime».

Ricerca, divulgazione. Insegnare ai ragazzi che cosa sia l’astronomia, che cosa significhi studiare i pianeti e le stelle, le galassie. Ma soprattutto trasmettere loro la passione per questa ricerca che è senza fine. Ricerche che si possono effettuare anche con strumenti molto più piccoli del telescopio di Ganda, indagini che possono semplicemente diventare scoperta personale, la bellezza di cercare nel cielo gli astri e poi osservarli con il telescopio. Andare a cercare stelle doppie, stelle variabili, nebulose, galassie che a occhio nudo risultano invisibili. Cercare comete, pianetini che nessuno ha mai visto. È tutto alla portata di strumenti che si possono acquistare, che si possono utilizzare anche dal balcone di casa.

Presidente del Circolo è Luigi Ghilardi, Assunta Rota è invece la responsabile della divulgazione.

APERTURE

L’osservatorio è aperto gratuitamente al pubblico ogni primo venerdì del mese a partire dalle 21.00
Sarà aperto eccezionalmente venerdì 14 febbraio dalle 21.30 in occasione di Baci d’Altopiano (solo su PRENOTAZIONE)

Per informazioni: 327.2439200 | assunta.rota@gmail.com

www.astrobg.it

 

Articolo di Paolo ARESI per VALSeriana & Scalve Magazine

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La piccola Toledo https://www.valseriana.eu/blog/la-piccola-toledo/ Sat, 07 Dec 2019 16:13:51 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=40916 A volte il viaggio, per intenzione o per caso, ci porta a incontrare luoghi che rimangono nella memoria, particolari e pittoreschi. Oggi l’impressione del viaggiatore moderno è sicuramente diversa dal passato quando chi risaliva la laboriosa ValSeriana doveva per forza transitare nel borgo fortificato di Gromo, perdersi tra le sue vie e palazzi e infine sostare nelle sue taverne.

Oggi ci passiamo in molti, magari gettiamo uno sguardo ammirato e scattiamo qualche fotografia, ma dovremmo cercare di comprenderne meglio l’essenza millenaria e unica. Gromo merita più di uno sguardo e del giustificato stupore per un pittoresco panorama: è un borgo montano da assaporare passo a passo, con curiosità e ammirata reverenza.

Gromo è un comune che si trova in alta ValSeriana, circondato da boschi incontaminati e con affaccio su alcune delle più belle vette delle Orobie: Pizzo Coca, Pizzo Redorta, Timogno e monte Secco. Un paesaggio meraviglioso che è valso al paese la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, attestato di qualità turistica e naturalistica.

Ma Gromo conserva tesori preziosi anche e soprattutto nel borgo medievale, che spicca sul corso del fiume Serio con le sue torri, castelli e palazzi secolari che l’hanno reso uno dei Borghi più Belli d’Italia: bello da visitare e bello da vivere.

Gromo, Bandiera Arancione Touring Club Italiano

Mestieri di ieri e oggi

Eppure questa non è una terra facile, attraversata da tutti i problemi che affliggono la montagna e le vallate bergamasche: meno opportunità rispetto ai grandi centri abitati, qualche servizio in meno, tante seconde case e un turismo che stagionalmente affolla ma non vive il territorio. Importanti indicazioni ce le fornisce il passato, quando nessuno ha mai parlato di una terra facile, e mai si sono vantati grandi opportunità o benessere cittadino. Qui è la montagna vera, quella che tempra o distrugge, quella che per secoli ha fatto faticare e sgobbare. E sono numerosi gli esempi, forti e coraggiosi, di chi in montagna rimane radicato e vuole vivere; esempi anche giovani ma con una determinazione da esperti conoscitori del territorio. È l’esempio di diverse attività gromesi che portano avanti la tradizione casearia e produttiva, turistica, sportiva. C’è chi si impegna per continuità generazionale, chi ha costruito da zero: per tutti il denominatore comune è l’impegno, l’attaccamento al territorio, il restare e resistere anche quando tutt’intorno si parla di città, di fuga, di cose più immediate e facili.

Un passato illustre

È proprio il borgo medievale che resta lì a ricordarci queste cose, historia magistra vitae. I periodi di splendore, tra il XV e il XVII secolo, rammentano l’abilità di sfruttare le risorse del territorio, i palazzi nobiliari ci ricordano la ricchezza delle famiglie locali, le belle chiese montane richiamano la tenacia che solo la vera fede può dare. Quella è la via, sfruttare al meglio le risorse del territorio, lavorare per migliorarlo e migliorarsi, mantenere le proprie tradizioni e quelle che ci contraddistinguono. Non solo per farne bella mostra con il turista, ma perché ci crediamo veramente.

Il commercio delle armi bianche

MAP Museo delle armi bianche e delle pergamene

Incredibile a dirsi oggi, ma Gromo cinque secoli fa era il centro di un commercio internazionale di ferrarezza, spade e armi che grazie all’impero commerciale veneziano arrivavano fino ai confini del mondo allora conosciuto. La “piccola Toledo d’Italia”: è questo il soprannome cinquecentesco per i territori dell’alto Serio, che rivaleggiavano con la capitale della coltelleria spagnola. Una storia oggi poco conosciuta ma attentamente conservata nel MAP, il Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene, dove attraverso le collezioni di lame finemente lavorate, le armi in asta e le pergamene storiche è possibile ricostruire il sistema produttivo che aveva origine nell’estrazione dei minerali ferrosi nei territori di Valbondione, nella torrefazione del minerale in località Fom Negher e infine nella produzione di spade nelle fucine Gromesi lungo il torrente Goglio.

>>> VISITA IL MAP – MUSEO DELLE ARMI BIANCHE E DELLE PERGAMENE

La rovina del 1666 e una nuova rinascita

Ma spesso ciò che la natura concede allo stesso modo si riprende, noncurante delle sofferenze e delle fatiche umane. Come accadde un mezzogiorno d’autunno del 1666 quando piogge incessanti causarono una cascata di rocce, fango e acqua che, precipitando lungo il corso del Goglio, rase al suolo gran parte delle fucine e degli opifici degli armaioli. Era il 1 novembre e Gromo si ritrovò annichilita, impotente e con un futuro tutto da ricostruire. Una lenta rinascita che non si fece attendere, anche se gli antichi fasti furono dimenticati per sempre e del potere produttivo precedente non rimase che un borgo montano con le sue contrade.

Costruire il futuro

Gromo Medievale

Giovani, cultura, prodotti locali, turismo e natura è utopia o si può?
Oggi la direzione verso il futuro è quella imparata dal passato: lavoro e impegno in attività turistiche e culturali nelle forme della conoscenza e riconoscenza del proprio trascorso, creatività e idee, connessione con i comuni vicini, arte e tradizione. Dovranno essere i pilastri che reggeranno Gromo e le generazioni future. Un albero ben radicato, con radici profonde e fertili, un fusto bilanciato e la chioma rivolta verso quel cielo che nel medioevo sembrava sfiorato dalle svettanti torri del borgo.

Articolo di Lorenzo Serafini per VALSeriana & Scalve Magazine – inverno 2019

 

UFFICIO TURISTICO DI GROMO
piazza Dante 7, Gromo

0346 41345
www.gromo.eu
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Mulini verticali https://www.valseriana.eu/blog/mulini-verticali/ Tue, 22 Oct 2019 13:06:10 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=40106 La Valle dei Mulini è un angolo verde e azzurro ai piedi della Presolana. Dall’antico borgo di Rusio, nel territorio di Castione della Presolana, conduce nel cuore del massiccio della Regina delle Orobie.
La località deve il suo nome alla presenza secolare di numerosi mulini, ormai dismessi a eccezione di uno, lungo il corso del torrente.

L’acqua è fonte di refrigerio nelle calde giornate estive e suggestivo ingrediente al paesaggio verde e rigoglioso di queste quote.
La Valle dei Mulini è apprezzata sia per le sue qualità naturalistiche sia per le sue pareti di roccia che, da Rusio andando verso monte, accolgono il greto del torrente.

Le falesie sono state valorizzate e attrezzate in diversi settori grazie a locali climbers, con numerose vie d’arrampicata.
Per gli appassionati di questo sport si tratta di un vero e proprio paradiso. Arrivano da ogni parte del mondo, richiamati dalla qualità della roccia: un calcare che leviga le dita, che strapiomba e che non lascia nulla in sospeso.

SCOPRI LE INFORMAZIONI TECNICHE SULLE FALESIE DELLA
VALLE DEI MULINI

Consapevoli della potenzialità ancora troppo inespressa, un gruppo di amici riunito nell’associazione Presolana Climbing ha deciso nel 2017 di dedicare tempo e impegno al progetto di valorizzazione delle falesie di questa verde valle. Il gruppo è capitanato da Pierangelo “Pier” Giudici, appassionato di scultura, pittore a tempo perso e innamorato della verticalità fin da giovane.

Quando lo incontro, Pier mi racconta della sua passione e di quella del gruppo di persone che da un paio d’anni investe, a titolo personale e disinteressato, nella promozione e nel potenziamento delle opportunità di arrampicata a Castione della Presolana.
I Presolana Climbing si sono concentrati in particolare sul potenziamento della Valle dei Mulini e dei suoi settori di arrampicata.

Castione vanta anche altre falesie altrettanto nobili: Corna Rossa e Lantana, senza dimenticare l’arrampicata in terreno d’avventura della Presolana.
Il loro obbiettivo è quello di mantenere costantemente la roccia ripulita da erbe e rovi, attrezzare e mettere in sicurezza vie d’arrampicata nuove ed esistenti, organizzare eventi di lancio e chiodare nuovi settori.

Si tratta di un impegno fondamentale e dal valore inestimabile per la fruizione e la promozione del turismo attivo in Alta ValSeriana.
La scelta di puntare sulla Valle dei Mulini nasce proprio dalla convinzione che qui ci sia un potenziale assolutamente inespresso, che sia un vero e proprio paradiso per l’arrampicata.

«C’è molto da fare per valorizzarla – spiegano – e il potenziale dei settori anche inesplorati è altissimo. In questi anni di lavoro sono stati aperti quasi duecento monotiri con diversi gradi di difficoltà ma è necessario continuare a investire in questo luogo speciale».

Il gruppo Presolana Climbing ha gestito per due anni la palestra artificiale d’arrampicata di Castione della Presolana, palestra che ora è gestita da Giorgio Masserini, istruttore di arrampicata sportiva. Giorgio è uno dei personaggi simbolo della Valle dei Mulini: a un passo dal trasferimento della residenza in valle, trascorre la maggior parte del suo tempo libero a scalare, pulire, chiodare e migliorare questa timida porzione di Presolana.

L’evento di punta del gruppo è “Mulini Verticali” un meeting d’arrampicata giunto quest’anno alla terza edizione.
Una due giorni con ospiti di grido del mondo dell’arrampicata nazionale, come Stefano Ghisolfi (campione europeo e tra i quattro climber ad aver scalato un 9b+, grado massimo di difficoltà tecnica fino a ora raggiunto). Un’occasione in cui semplici dilettanti e professionisti sfidano se stessi, fianco a fianco, sulle pareti calcaree.
L’evento richiama centinaia di appassionati d’arrampicata ed è senza dubbio un efficace e formidabile canale di promozione.

La voglia di divertirsi unita alla volontà di migliorare l’offerta outdoor della Presolana sono i tratti caratterizzanti di un gruppo di amici che, per pura passione, stanno investendo molte risorse per rilanciare l’emozione verticale in ValSeriana e ridare valore a un angolo di paradiso con una forte potenzialità di sviluppo.

Basta provare, e crederci!



LEGGI QUI L’INTERVISTA COMPLETA A PIERANGELO GIUDICI
PRESIDENTE DI PRESOLANA CLIMBING 

 

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Radici scalvine https://www.valseriana.eu/blog/radici-scalvine/ Tue, 22 Oct 2019 08:03:50 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=40071 Come si viveva fino alla metà del secolo scorso? Come si viveva sulle nostre montagne o nelle campagne quando parole come elettronica, informatica, globalizzazione ancora non esistevano?

È una domanda che si fa più interessante man mano che gli anni scorrono e ci portano verso il futuro. È un bisogno di sapere da dove veniamo, come siamo arrivati fino a questo punto.
È un bisogno di verità.

Il museo etnografico di Schilpario è stato uno dei primi in Bergamasca ad affrontare la questione, a fornire delle risposte.
Nel modo più semplice: raccogliendo gli oggetti, le parole, le immagini di quella civiltà della montagna che sembra scomparsa.

La civiltà che affrontava la vita quando non esistevano i chip e gli smartphone, quando non arrivavano prodotti importati dalla Cina, ma nemmeno da altri paesi. Quando la maggior parte di quello che serviva veniva realizzato sul posto, sfruttando la natura con ingegno, con pochi mezzi, in una maniera del tutto rispettosa dell’ambiente, in un’economia perfettamente circolare.
Nulla andava sprecato. Tutto veniva riutilizzato, l’inquinamento non esisteva.

Dagli anni Settanta in poi, sono nati diversi musei o raccolte etnografiche,
in molti paesi della Bergamasca.
Schilpario è stato fra i primi, non a caso: ufficialmente il museo è nato nel 1988, ma una raccolta esisteva anche in precedenza.


La terra di Scalve è l’angolo più remoto della provincia di Bergamo, una valle sperduta, oltre la Presolana, e un po’ incantata.
Una valle la cui ricchezza erano i boschi, i torrenti, i prati, le miniere.
Il museo è stato ricavato dal restauro del vecchio mulino, la grande pala mossa dalla forza del torrente è ancora perfettamente funzionante.
Quella attuale è stata costruita nel 1950, è di produzione locale.

Raccontava uno dei costruttori: «Eravamo andati verso Lecco per vedere se ne trovavamo una già usata, ma non andavano bene per le nostre necessità… Non abbiamo fatto nessun disegno per costruirla… abbiamo fatto giù il mezzo cerchio e sagomavamo così, solo con le misure, avevamo il legname
già piegato, e tagliavamo con precisione i settori, l’interno della ruota lo abbiamo fatto in lamiera, lamiere zincate abbastanza grosse, prima era in legno… la parte in legno è tutta nuova, il resto della ruota è in parte modificato, recuperando pezzi di quella vecchia».

Nel vecchio edificio del mulino, al piano di sotto si trova il museo, a quello di sopra la biblioteca. Un centro di cultura.

Ampio spazio è dedicato alla miniera perché a Schilpario e in tutta la Valle di
Scalve questa attività è stata molto importante per secoli e secoli, fin da tempi preromani. In valle si estraeva in prevalenza il minerale di siderite, dal quale veniva ricavato il ferro; dopo lo scavo e l’estrazione, il minerale veniva lavorato fino alla produzione di utensili e di armi.
Per ricavare il ferro erano necessari i forni, che venivano alimentati con la legna o con il carbone di legna, che veniva prodotto nei boschi dagli stessi boscaioli che erano anche carbonai, cioè erano capaci di produrre il carbone mediante la legna con la tecnica del Poiàt. Il poiàt era un forno che veniva allestito nel bosco e bruciava in maniera lentissima eliminando l’acqua della legna e trasformandola in una sorta di carbone, molto più calorico e redditizio. E anche molto più facilmente trasportabile.

Il Museo rappresenta un tuffo in un mondo ancora vicino a noi, eppure  lontano. Un mondo che in Valle di Scalve e a Schilpario in qualche modo ancora vive, nelle tradizioni, nelle relazioni familiari, ma anche in questi  l luoghi particolari che chiamiamo musei.

Alcuni appassionati del paese hanno ridato vita a parte delle miniere che oggi rappresentano una visita suggestiva, indimenticabile, un viaggio nelle viscere della terra, nei corridoi, tunnel, stanze scavate dai minatori. Completano la possibilità di entrare in questa cultura di una tecnologia arcaica anche l’esposizione mineraria di Casa Gregori, il museo dei minerali e dei fossili (all’hotel San Marco di Pradella, frazione di Schilpario).
Ma anche il museo dell’illuminazione mineraria, il primo in Europa: la storia di come portare la luce nei cunicoli delle miniere è tutt’altro che scontata e ha posto problemi molto rilevanti.


Il presidente delle commissione che gestisce il Museo Etnografico è l’assessore alla Cultura del paese, Gianmario Bendotti, che ha in mente una particolare integrazione fra museo e biblioteca. Spiega: «Vogliamo fare in modo che nasca una biblioteca museale, accanto a quella generale, recuperando tutti i testi e video riguardanti Schilpario e la valle, una biblioteca che possa raccontare il più possibile del nostro territorio. Raccogliamo anche videocassette con interviste a persone anziane fatte anni orsono, persone che magari non ci sono più e che testimoniano di un tempo lontano, raccontano anche degli oggetti che si trovano nel museo, oggetti della miniera o della vita quotidiana, o dell’economia contadina…».

Per ricordare, e guardare avanti.

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Fra ingegno e maestria https://www.valseriana.eu/blog/fra-ingegno-e-maestria/ Sat, 05 Oct 2019 16:21:44 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=40019 Quattro secoli e mezzo, scanditi da un orologio, che a Clusone, dal 1583, ancora funziona con cronometrica precisione. Il celeberrimo Orologio Fanzago è senza dubbio icona riconosciuta della cittadina adagiata sull’Altopiano.

Il quadrante dell’Orologio è stupefacente, non solo per le decorazioni assolutamente pregevoli, ma anche perché il cerchio esterno rivela delle sorprese: è diviso non nelle classiche 12 parti, ma in 24 e le lancette girano in senso antiorario. Le particolarità non finiscono qui: osservandolo attentamente è possibile leggere informazioni sul segno zodiacale, sul giorno, sul mese, sulle fasi della luna e del sole nonché sulla durata delle ore di luce e di buio.

Molto ci dice il distico (sopra il quale troviamo oltre alla firma “PETER FAN.GO OPER.F.INGENS”, cioè Opera grandiosa di Pietro Fanzago, la data di esecuzione: “1583”) sotto la “mostra” dell’Orologio: “SIDERA VIX ALII OSCURA RATIONE MOVERI: FANZAGUS MANIBUS, LUMINIBUSQUE PROBAT”, ovvero “Alcuni a fatica credono che le stelle si muovano per oscura ragione: il Fanzago lo prova con le sue mani e il suo intelletto”.
Pietro Fanzago riassume così gli intenti scientifici che lo hanno portato a progettare e costruire quell’Orologio planetario. Pietro Fanzago, è noto per le sue opere di ingegneria meccanica, ma deve la sua fama senza dubbio proprio all’Orologio planetario di Clusone, l’unico che egli progettò e costruì. La peculiarità dell’Orologio non deriva solo dall’essere uno dei più antichi del genere ancora funzionante, ma anche dalla relativa semplicità con cui è stato realizzato il suo meccanismo, in armonia col movimento del Sole, della Luna, della Terra e delle costellazioni dello Zodiaco.
Con un’unica lancetta l’orologio indica (in quanto anche i 3 dischi concentrici ruotano): le ore, i giorni, i mesi, i segni dello zodiaco, la posizione del sole e della luna e la durata delle ore di sole e di buio. L’unico fisso è il disco più esterno delle ore (del diametro di m. 3,50).

L’opera fu conclusa nel 1583. Non stupisca il fatto che Clusone potesse permettersi non solo un orologio, ma addirittura un “impianto” astronomico: ai tempi, il paese era ricco per i commerci e i traffici, legati soprattutto a Venezia ed al Nord Europa, su una delle cui direttrici il borgo si trovava. Clusone, inoltre, godeva di uno status speciale nei confronti della Serenissima, avendo un certo grado di autonomia, sancito nei propri statuti, per dirimere questioni che non fossero di massima importanza. Clusone quindi ebbe, sotto la Repubblica Veneta il suo periodo di maggiore splendore artistico, culturale e commerciale, nonché una grande prosperità economica.

Pietro Fanzago (zio dell’architetto Cosimo) era figlio di Antonio Marino, valente fonditore (aveva fuso, tra tante, le campane del Campanone di Bergamo) e discendente di una delle famiglie più antiche e insigni di Clusone che vantava uomini di scienza e di cultura, diplomatici, letterati, medici, artisti, meccanici, architetti e ingegneri nonché, come dicevamo a proposito di Antonio Marino, validi fonditori di metalli. Pietro, in qualche modo erede dell’arte paterna (a lui si deve certamente la fusione di molte campane non solo in provincia di Bergamo), si distinse comunque per le sue opere di ingegneria meccanica e in particolare per gli studi di matematica e ingegneria. Gli fu per questo commissionato l’Orologio Planetario da collocarsi sull’antica torre dell’orologio (la cui probabile data di costruzione, il 1008, coincide con quella del completamento dell’attiguo Palazzo Comunale).

La nuova “razza” (così erano chiamati i grandi orologi da torre, il termine derivava da raggio che indicava la lancetta che, tipicamente, negli orologi pubblici tardomedievali e rinascimentali era costituita da un raggio di maggiore lunghezza rispetto ad un sole centrale o, come nel nostro caso, da un’asta che portava un disco metallico raffigurante un sole) andava a sostituire quella esistente “quasi che rotta”; sulla torre quindi esisteva già un orologio, probabilmente molto più piccolo e senza la “mostra”. A completare la facciata della torre, in armonia con la “mostra” dell’orologio furono eseguiti pregevoli affreschi. La semplicità di tutto il complesso meccanico dell’Orologio è il frutto di geniali calcoli di matematica, meccanica e astronomia condensati in un unico gioiello rinascimentale. In realtà, come scrive Giulio Bonandrini nel volume “L’orologio planetario di Clusone” del 1983, pochi sanno che l’orologio subì varie modifiche nel corso del tempo. Va detto che il Fanzago non poteva averlo costruito nel 1583 così come lo si osserva ora. Le modifiche più importanti furono apportate verso la fine del Seicento, e, tra esse, la sostituzione del bilanciere (la parte più importante del meccanismo) con il pendolo; a queste seguirono tutta una serie di altre modifiche che si conclusero verso la fine de Settecento. L’orologio ha un’autonomia di circa trenta ore, occorre perciò provvedere giornalmente alla sua carica; quando l’orologio rimane fermo per qualche ora o addirittura per qualche giorno, non è sufficiente caricarlo, ma occorre anche registrarlo, così da far recuperare alla “mostra” tutto il tempo perduto nel periodo in cui è rimasto fermo. Con questa manovra manuale si riportano dunque nella giusta posizione l’ora, il mese, lo zodiaco, la lunghezza della notte, le fasi lunari e la relativa età della Luna espressa in giorni lunari.

La “mostra” o quadrante dell’Orologio

Comprende un quadrato più esterno (la “Rosa del Venti”) e, al suo interno, l’“Anello Orario” che a sua volta contiene la “mostra” vera e propria o “Quadrante dell’Orologio”. La “mostra” intesa come quadrante ha una parte mobile composta da due corone circolari concentriche e da un disco, parzialmente sovrapposti l’uno sull’altro. Si muovono in senso antiorario. Il terzo disco, a differenza degli altri, che hanno uno spessore di pochi millimetri, ha uno spessore di 4 centimetri. Al suo interno troviamo ingranaggi sostenuti da speciali supporti ed un sottile disco di rame dorato che serve ad indicare le “lunazioni”.
Prima corona circolare” è la maggiore della “mostra” ed è divisa in tre fasce circolari: nella prima (la più esterna) sono segnati i mesi dell’anno; la successiva (concentrica) raffigura i segni dello zodiaco, la terza, la più interna, in nero (in quanto vuole rappresentare la notte) presenta numeri romani che vanno dall’VIII al XV e indica la durata in ore della notte.
La “Seconda corona circolare” concentrica regge l’“Indice maestro” che segna le ore, i mesi, la lunghezza della notte, la posizione del Sole nello Zodiaco e, di conseguenza i Solstizi e gli Equinozi e l’inclinazione dei raggi solari verso la Terra nel corso dell’anno. Il “Terzo disco”, posto al centro della “mostra” (quello che ha uno spessore di 4 centimetri) gira anch’esso in senso antiorario, ha due piccole frecce che indicano: il firmamento celeste (di colore celeste), gli “aspetti” (le varie linee rette in oro che raggruppano stelle e pianeti o gruppi di costellazioni), la Terra (una stella ad otto punte al centro del disco) e la Luna rappresentata da una finestrella circolare sul lato destro del disco. Le due piccole frecce sul bordo del disco segnano l’una i giorni dell’età della Luna e l’altra i giorni della Luna calante.

Tutto il sistema è in relazione al firmamento o alle costellazioni rappresentate dai segni zodiacali.

La rosa dei venti (il quadrato più esterno che racchiude la “mostra”)

Anzitutto cerchiamo di capire come l’Orologio è stato posto nei confronti del Sole, della Luna, della Terra e di tutti gli astri. Guardando la grande “mostra “ dell’Orologio l’osservatore trova davanti a sé il punto cardinale Nord (“Tramontana- Borea Nord”) come si legge in alto; nella parte opposta il Sud (“Ostro Mezzodì”) a destra Est (“Levante-Oriente”) a sinistra Ovest (“Ponente-Occidente”). L’affresco che racchiude la grande “mostra” riproduce otto teste alate che sembrano soffiare verso il centro, ossia verso la Terra. Ai quattro venti principali si aggiungono i quattro collaterali: “Greco, Maestro Garbino e Scirocco”. La riunione al centro è “La Rosa dei Venti”. L’affresco voleva dunque offrire all’osservatore le coordinate riferite ai venti principali; purtroppo nel corso dei secoli anche questa parte affrescata ha subito manomissioni, ritocchi e sovrapposizioni. Gli affreschi originali posti sotto la “mostra”, Garbino, Ostro e Scirocco, sono stati riportati alla luce grazie ai restauri effettuati nel 1973.

L’anello orario (al centro del quadrato esterno e concentrico al quadrante)

La grande fascia bianca è detta “anello orario” e porta, segnate con numeri romani le 24 ore del giorno ed è l’unica parte fissa di tutta la “mostra”. Ha una larghezza di 71,5 centimetri. A circa metà della freccia, o “indice delle ore”, troviamo una piccola faccia raggiante di rame sbalzato dorato che rappresenta il Sole. Tutto il complesso fa riferimento al SENSO ANTIORARIO secondo un ciclo che dura le 24 ore del giorno. Fanzago ha realizzato il suo Orologio con il movimento antiorario in modo che il grande “indice” segnasse idealmente in ogni momento la posizione del Sole. Dopo la realizzazione del Planetario, la fama di Pietro Fanzago giunse fino a Venezia e si pensò a lui per riparare l’orologio posto sulla torre di Piazza San Marco, realizzato nel 1493 dai fratelli Ranieri di Reggio Emilia. Essendosi reso conto dell’abilità di Pietro, in seguito, il Senato Veneto gli chiese di risolvere l’eterno problema della pulitura del fango dalla laguna e dai canali. La macchina che progettò, il “cavafanghi” può ritenersi l’antenata delle moderne draghe. La notorietà di Pietro Fanzago e la sua particolarissima attività hanno destato la fantasia dei valligiani perchè più di una leggenda, che lo riguardava si diffuse in Valle. Si raccontava, con stupore, che il Fanzago avesse costruito una colomba che, caricando una molla, si metteva a volare… Alla sua morte, il 3 gennaio 1589, Pietro lasciò due figli, Antonio Marino e Ventura. “Ambedue continuatori della tradizione artistica del padre, lavorarono a lungo insieme mantenendo la consuetudine di apporre tutti e due i nomi sui bronzi da loro creati, come risulta dalle opere ancora esistenti specialmente nel Bergamasco”.

 

Scopri tutte le visite guidate in programma all’orologio Fanzago e alla Danza Macabra

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Fra i castagni del Misma https://www.valseriana.eu/blog/fra-i-castagni-del-misma/ Fri, 04 Oct 2019 16:58:11 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=39991 È il mondo delle castagne, ed è bello andarci in questi giorni di autunno quando i frutti sono maturi e i ricci che li proteggono cadono dagli alberi.

È bello andarci in questi giorni perché i nostri castagni stanno rinascendo dopo un lungo periodo di malattia, dopo anni in cui si temette per la loro sopravvivenza e ci si era avviati a pensare alle nostre colline ormai prive di questo albero prezioso, che nelle zone prealpine ha trovato per secoli un habitat ideale.

Lo racconta anche Hermann Hesse quando in “Narciso e Boccadoro” spiega che questo albero è amico di climi più miti di quelli che si registravano nella fredda Germania.
Il mondo delle castagne si apre sopra Pradalunga, accanto al fiume Serio, salendo verso il Monte Misma; si trovano in questa zona castagneti ampi, che ancora conservano alberi secolari, negli ultimi anni consegnati a nuova vita.

Si può raggiungere Pradalunga da Bergamo con il tram della ValSeriana, oppure in auto usando l’asse interurbano, o ancora in bicicletta approfittando della pista ciclabile della valle.

 

Scopri la ciclovia della ValSeriana

 

Un percorso suggestivo è quello che parte dalla frazione Cornale (382 metri di quota) dove si può imboccare il sentiero 539. Si parcheggia l’auto in una di queste vie e si prende la via Fara fino a quando troviamo una strada sterrata sulla destra, a fondo chiuso. Ci sono dei cartelli con i tempi di cammino, per la cima del Misma si parla di 2 ore e 45 minuti, ma ci si può arrivare comodamente in due ore e un quarto.

La stradina diventa presto una scalinata che porta alla seconda chiesa di Cornale; quindi il percorso diviene una strada cementata dove si svolta a sinistra e si procede tra alcune ville; il sentiero si impenna e supera duecento metri di dislivello fino ad arrivare a un pascolo, dove si presenta una biforcazione; noi teniamo la destra e arriviamo a un altro percorso cementato che oltrepassiamo seguendo la traccia del sentiero 539; si viaggia ora in mezzo ai castagni e alle betulle, con tratti impervi e altri tranquilli;
arriviamo ai 699 metri della località La Forca dove si trova un piccolo capanno per la caccia; ora camminiamo tra betulle e castagni per una ventina di minuti fino al Pratolt, tra prati e bosco, un castagneto dove è possibile osservare anche castagni secolari.

Ci sono alberi il cui diametro arriva quasi a un metro e mezzo; per la precisione, il castagno più grande arriva a 168,8 centimetri di diametro del tronco (a un metro e trenta centimetri di altezza) mentre la chioma nel suo punto più ampio tocca gli undici metri e il tronco arriva a cinque metri e trenta centimetri.
Ci sono castagni la cui chioma arriva anche al diametro di dodici metri!
È un piccolo paradiso degli alberi che gli alpini di Pradalunga curano con amore, come se fosse il loro giardino.

Alberi che sono stati rigenerati dopo la lotta contro le malattie che li affliggevano, a cominciare dal cancro corticale del castagno (che negli ultimi anni ha perso la sua virulenza) e dalla presenza del cinipide (o vespa cinese), sconfitto grazie a un insetto antagonista, il Torymus.
Il piccolo paradiso dei castagni è qui, sopra Cornale, nella zona del Pradolt, alla Baita Pratolina dove, nei giorni festivi, i volontari del Gaf (Gruppo alpinisti Forcella di Pradalunga) curano un servizio ristoro e dove è possibile gustare piatti prelibati.

La Forca si trova a 699 metri di quota, qui alla Baita Pratolina superiamo di poco gli 800 metri; ci si trova in un paesaggio fatato, che a qualcuno farà tornare alla mente i prati e boschi del paese degli Hobbit, e con loro le pagine di Tolkien, del Signore degli Anelli.

In questi giorni, il tappeto del bosco è intessuto di foglie dorate, allungate, dai bordi seghettati, e dai ricci dischiusi e da frutti marroni e lucidi.
Le foglie sulle piante giocano fra i toni del giallo e del verde. È un paesaggio misto, di bosco rado e di prato, dalle forme curvilinee, di una particolare dolcezza. Anche in queste zone il castagno ha ripreso vita in questi ultimi anni e sta tornando a costituire una ricchezza.

Esiste un’associazione di castanicoltori del Misma che negli anni scorsi per il mese di ottobre organizzava tra Albino, Pradalunga, Gaverina, Baita Pratolina e Santuario della Forcella una serie di interessanti iniziative.

Al Pradolt e alla Baita Pratolina è possibile arrivare anche dal Santuario della Madonna della Neve (dove si trova anche un ristorante) che viene raggiunto dall’abitato di Pradalunga attraverso una carrozzabile che procede a tornanti.

Il santuario si trova circa a seicento metri di quota, alla Forcella; venne costruito nel Seicento, per un voto fatto dai cittadini di Pradalunga in occasione della peste manzoniana, quella del 1630; la Forcella era un punto di snodo importante per una Via Mercatorum di epoca medievale.
È possibile arrivare in questo luogo anche in auto: la si può lasciare nell’ampio parcheggio e quindi imboccare il sentiero.
Per la verità, la stradina poi prosegue, parallela al sentiero e, sugli ottocentocinquanta metri di quota, vicino alle cave delle pietre coti, piega a destra arrivando di nuovo al Pradolt. Da qui si può decidere di salire fino alla cima del Monte Misma, senza difficoltà.

Qui ai Prati Alti ci sono diverse baite e capanni; il sentiero si unisce a una strada carrozzabile per qualche centinaio di metri, fino a una biforcazione con un cartello che indica “Le Vie del Misma”; noi teniamo la destra seguendo sempre il 539; tutti e due i sentieri vanno in cima al monte, ma il primo è in forte pendenza mentre il 539 procede in maniera più tranquilla; dopo un tratto pianeggiante bisogna piegare a sinistra, si sale con alcuni tornanti; poi altro bivio: se si va a sinistra si sceglie un sentiero più ripido, andando dritti si opta per quello più pianeggiante.
In un quarto d’ora saremo comunque alla croce di ferro del Monte Misma, a 1160 metri di quota, dopo un paio di ore di cammino: verremo ripagati da un panorama mozzafiato sulle Orobie.

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San Patrizio uno splendido…vizio https://www.valseriana.eu/blog/san-patrizio-uno-splendido-vizio/ Sat, 07 Sep 2019 10:21:41 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=35967 «Vicino ad una Chiesa ovver romitorio, chiamato S.Patrizio» sarebbero state trovate qualche secolo fa pietre particolari, grosse circa come una castagna, «che portate adosso giovano a chi patise di milza mirabilmente…». Così sostiene curiosamente un frate “capuccino infermiero” della provincia di Brescia, frà Felice Passera di Bergamo, nel suo “Il nuovo tesoro degl’arcani farmacologici galenici, e chimici, ò spargirici” del 1688, attribuendo a qualche innocuo sassolino poteri curativi per coloro che  avevano problemi alla milza.
Uno spunto che, come molti altri, spinge a verificare il motivo per cui il santuario di San Patrizio presso l’abitato di Colzate possa aver attratto tante leggende, credenze e persino un così inconsueto padrone di casa, San Patrizio appunto.
La discreta quanto imprescindibile presenza di questo luogo in ValSeriana (la sua sagoma stilizzata è parte dello stemma della Comunità Montana) dice di una presenza antica, radicata nella percezione e nella devozione degli abitanti.

«Chi fà ü gir intùren a San Patrésse
(o Patrizze) a l’ pèrd töcc i
ésse» (trad.: chi fa un giro attorno
a San Patrizio perde tutti i vizi)

É il celeberrimo adagio che in ValSeriana ricorda l’ardita collocazione del Santuario su di uno sperone roccioso… così impervio da provocare la perdita di ogni vizio in chi intenda percorrerlo lungo il suo perimetro.
Il Santuario è quasi un “propileo” che introduce all’Alta Valle, che fa il paio con lo splendido santuario della Ss. Trinità, questa volta in comune di Casnigo, che sorge praticamente allo stesso livello sulla costa che si erge oltre il fiume. San Patrizio è prima di tutto un riferimento chiaro e condiviso nella storia e nella geografia della Valle, con secolari dispute tra vertovesi e colzatesi che avocavano a sé la proprietà o la cura del Santuario.

Il legame tra i seriani e il severo patrono degli irlandesi viene da lontano, si perde nei secoli remoti in cui la produzione laniera spinse gli abitanti di queste valli a cercare lontano le lane migliori o forse quelle più
economiche per il loro lavoro, lassù al nord dell’Europa nella verde isola che un tempo si chiamava Hibernia. E, a sua volta, qualche hibernino dovette trafficare in valle se ancora oggi se ne scorge il rimando in un diffuso  cognome vertovese: Bernini, appunto. Questi legami commerciali portarono
con sé, insieme alla lana, la devozione a un santo pressoché sconosciuto nel resto dell’arco alpino e rarissimo da individuare tra i culti dell’intera latitudine mediterranea.
San Patrizio fu forse un vescovo così franco e incisivo da apparire subito simpatico alle ruvide ma affettuose coscienze dei valligiani del Serio.
Detti, leggende, usi e costumi hanno trovato eco tra le ariose arcate del santuario almeno quanto la fede e la devozione verso l’Evangelizzatore
d’Irlanda, che in questo luogo hanno favorito l’ispirazione di autentici capolavori d’arte e architettura.

Impervio, isolato e misterioso è questo luogo, che non poteva non essere dotato di un pozzo profondissimo, eco forse della celebre architettura idraulica di Orvieto (costruita da Antonio da Sangallo il giovane nel XVI secolo su richiesta di Papa Clemente VII) ma anche delle leggende legate
alla profonda caverna posta su un isolotto irlandese del Lough Derg (Donegal). Questo antro sarebbe stato indicato da Cristo a San Patrizio per consentirgli di mostrare le pene dell’Inferno ai fedeli più increduli che vi fossero entrati fin nelle profondità della terra. Culti antichissimi, che parlano di penitenze e romitaggio, tradussero tra queste rocce l’antica religiosità pagana nella fede cristiana della nuova era, una fede nel Dio trinitario che proprio San Patrizio illustrava ai Celti attraverso un trifoglio.
Sfogliandone i petali, infatti, dimostrava come le tre foglie originanti da un unico stelo fossero immagine delle tre Persone Trinitarie riunite in un unico Dio.

Il trifoglio oggi è il simbolo nazionale dell’Irlanda e il suo colore, il “verde trifoglio”, è la gradazione di verde usato anche nella bandiera nazionale e per questa ragione viene chiamato anche “verde irlandese”.
I lunghi secoli della devozione cristiana portarono nuove consuetudini in questi luoghi come quella dei Michini di San Patrizio che da tempo immemorabile vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Questi michini benedetti venivano conservati in ogni casa e consumati in occasione di malattie o malesseri occorsi sia a persone che ad animali. Secondo la tradizione orale il “pane dei miracoli” o “pane di San Patrizio” veniva cotto in un rudimentale forno a legna, ancora esistente nell’area sottostante al Santuario. É utile sapere anche che il giorno della vigilia della festa di San Patrizio, a seguito di un lascito, la locale Congregazione della Carità distribuiva gratuitamente una michetta a testa a tutti gli abitanti della parrocchia di Vertova. Queste michette, assieme alla tradizionale
“schisciada” (ovvero una tipica focaccia), erano il principale alimento della colazione nel giorno di festa al Santuario. Questa consuetudine venne interrotta durante la prima guerra mondiale e solo recentemente è ripresa grazie all’impegno di tanti volontari.

Poco sotto il Santuario, sorge una fonte, ornata con un fregio in pietra arenaria, ove compare anche la data di realizzazione: 1628.
L’immagine di San Patrizio, oggi parzialmente consumata dal tempo, sembra benedire l’acqua che vi sgorga. La pratica di bagnarsi gli occhi e di segnarsi con l’acqua della “fontanina”, che ancora oggi qualche devoto pellegrino non ha abbandonato, si perde nei tempi antichissimi, quando l’antica strada era frequentata da diversi viandanti perché si collegava con la Valle del Riso e con l’alta ValSeriana, oltre che essere, in certi momenti storici, più sicura di quella a valle lungo il corso del fiume. Sembra che in passato ci si bagnasse gli occhi dopo aver asperso d’acqua quelli della statua, probabilmente con riferimento a una leggenda di San Patrizio che, si narra, fosse guarito miracolosamente dalla cecità quando era bambino. L’usanza di bagnare, oltre ai propri, anche gli occhi dell’immagine del santo è da leggersi come segno del desiderio di condividere la sorte benevola e miracolosa toccata al santo.

Vi è poi la fabbrica del Santuario, sobria e solenne, unica nell’architettura di connettivo che unifica diverse fasi costruttive nella percezione di un luogo sospeso a 630 metri d’altezza tra il cielo e la terra e abitato dalle correnti d’aria che si fanno spazio sotto le arcate panoramiche.
Accedervi a piedi, attraverso l’antica mulattiera che parte da Vertova (via S. Patrizio-zona Cereti) e si congiunge con quella che sale da Colzate (via S. Patrizio), è una vera e propria esperienza dello spirito.

Si ignora l’epoca precisa in cui fu eretto il primo nucleo del Santuario, ma notizie documentate si hanno a partire dall’anno 1281.
Gli studiosi sono concordi nel far risalire la costruzione della prima cappella nel luogo dove, nel 1628, venne realizzata l’edicola ancora esistente con la fonte e la statuetta del Santo.

Ai secc. XIV-XV è fissata la data di edificazione del prezioso sacello o santuario piccolo affrescato poi da Jacopino dè Scipioni nel primo ‘500 con scene della vita e dei miracoli del Santo. Stupisce l’impressionante giudizio universale che sovrasta la piccola abside a forno adornata di una tenera  Natività. Nell’affresco superiore, la Madonna e San Giovanni Battista assistono alla Resurrezione dei morti. Sul blocco dell’altare c’è una piccola Crocifissione venuta alla luce nel corso dei restauri del 1986. L’oratorio è adornato anche all’esterno, ove si trovano altri affreschi quattrocenteschi: un Santo Jesus, una Santa martire non identificata, un gigantesco S. Cristoforo e la bolla delle indulgenze di Papa Alessandro VI (1492- 1503).
Dal 1590 al 1605 venne edificato il Santuario grande in contemporanea con la cappella dedicata a San Lucio, pastore e casaro, dove sul lato a destra vi è una nicchia con un dipinto seicentesco rappresentante San Patrizio e sulle pareti nord e est sono appesi gli ex voto dedicati al Santo. In questo luogo è stato recentemente collocato il curioso presepe che ripropone, per mano degli Amici dl Presepio di Cerete, l’intera fabbrica del santuario.

Dal 1590 al 1625 ebbe luogo l’erezione dei locali circostanti la chiesa: la sacrestia, la stanza del romito, la sala dei reggenti e la sala della Confraternita dell’Angelo Custode. Dal 1695 al 1715 venne completato lo spazio sacro del santuario con la formazione del portico perimetrale e la sopraelevazione del campanile all’altezza attuale. Agli inizi del Seicento risalgono gli affreschi del presbiterio che riguardano i miracoli di S. Patrizio e dei 12 apostoli sulle lesene della navata. Al centro del coro la grande pala di S. Patrizio con S. Mauro, San Gregorio Barbarigo e San Michele Arcangelo.
L’opera fu eseguita nel 1750 da Francesco Cappella e sostituì una tela precedente firmata da Enea Talpino (1611) che venne trasportata nella
Prepositurale di Vertova. Da notare sulla cornice lo stemma del Comune di Vertova con l’immagine dell’antico ponte. Opera del Cappella sono anche gli affreschi della volta.
Tutta la decorazione della chiesa è stata concepita secondo i criteri dell’arte barocca. In una nicchia accanto al presbiterio si può ammirare una maestosa statua lignea policroma di San Patrizio attribuita alla scuola dei Caniana.

Nel 1980 iniziarono i lavori di restauro del Santuario durante i quali è stato riportato alla luce l’affresco dell’arco trionfale raffigurante l’Annunciazione e la Trinità. Ampi spazi inseriti nella struttura del Santuario hanno consentito la collocazione di una taverna che accoglie i pellegrini durante tutto l’anno oltre che l’antica sala dei Sindaci da cui si gode un’impareggiabile vista della vallata. I recenti restauri hanno restituito al piano superiore vaste aree utilizzate per l’accoglienza di gruppi e per gli scopi pastorali del Santuario.


ORARI D’APERTURA
Da lunedì a domenica, tutto l’anno:
13.00 – 17.00
Periodo estivo:
lun – sab: 13.00 – 17.00
dom: 8.30 – 17.00

Articolo di Silvio Tomasini per VALSeriana & Scalve Magazine
Foto di Luciano Rossi e Guido Merelli

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Quel canto da fiaba https://www.valseriana.eu/blog/quel-canto-da-fiaba/ Wed, 10 Jul 2019 13:31:03 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=38161 La Val di Scalve, valle di formaggi, di discese mozzafiato con gli sci ai piedi, ma anche valle di fiabe e di leggende. Da cui nasce un… canto da fiaba

Si dice che in queste terre, per tenere buone le montagne, vivessero (e qualcuno sussurra vivano ancora) piccole creature imprevedibili, tanto piccole quanto potenti, custodi del buon andamento delle stagioni, uniche depositarie dell’aria frizzantina di inizio ottobre che qui racchiude già il profumo di neve e di quel sole primaverile che lascia assaporare il calore della breve estate scalvina.

I nonni ancor oggi raccontano ai nipotini come le montagne di Colere fossero popolate da invisibili folletti, destinati a farsi sempre più grandi ogni volta che le labbra di una mamma li nominano a un bambino disobbediente. Queste creature erano conosciute da tutti gli abitanti della Valle che si tenevano alla larga dalle estremità del bosco, preferendo raccogliere la legna a ridosso del centro abitato.

Tutti tranne Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina, quattro sorelle che dei fiori portavano il nome e ne avevano anche bellezza e frivolezza. Passavano gli anni e non vi era giovane che apparisse all’altezza delle loro attese: nessuno era abbastanza bello o intelligente per le ragazze che, con l’arroganza che le contraddistingueva, erano solite vantarsi della propria bellezza e della propria grazia. Ma del resto si sa, nessuno è immune al trascorrere del tempo e anche i fiori più belli, brillanti e vivaci a ogni stagione perdono un po’ della loro freschezza. Ed Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina non facevano eccezione. Le quattro fanciulle capirono dunque che era ormai giunto il momento di decidersi a trovare marito e si fidanzarono con quattro pastori, anch’essi fratelli. Poche settimane prima delle nozze, si recarono nel bosco a raccogliere legna, per riscaldare la sala del ricevimento nuziale e, incuranti del pericolo, si spinsero alle estremità della boscaglia, davanti a una caverna. Le sorelle cantavano mentre raccoglievano rami e fuscelli e, senza nemmeno accorgersene, si trovarono circondate da esserini che danzavano e saltellavano sulle note di Quel mazzolin di fiori. Tutt’altro che intimorite, accettarono con piacere il pranzo offerto dagli gnomi e promisero che ogni sabato sarebbero tornate alla caverna, suggellando una promessa d’amore con i piccoli abitanti della montagna. Le settimane successive le ragazze tornarono a far visita ai folletti che, sabato dopo sabato, si invaghivano sempre più dei loro “quattro ciclamini” come le avevano soprannominate, senza sospettare l’astuzia e la perfidia delle fanciulle. Trascorse così tutto l’autunno, con canti, balli e dolci cioccolate che scandivano le settimane degli abitanti delle caverne. Il giorno del solstizio d’inverno, il più giovane tra loro, come da tradizione, si stava recando verso il fondovalle per raccogliere gli ultimi ramoscelli in vista dell’imminente gelo, quando si accorse di due boscaioli che, seduti accanto a un tronco ormai spoglio, parlavano di quattro fanciulle. Intimorito che i due volessero far loro del male, il piccolo gnomo si nascose dietro un grande masso ad ascoltare e, impietrito, sentì invece i due ridacchiare di come tutta la Valle parlasse di quattro sorelle prossime alle nozze con quattro aitanti giovanotti. Esse, a detta dei boscaioli, si vantavano di aver ingannato quei “terribili abitanti delle montagne” che, a loro dire, altro non erano che “innocui esseri sciocchi”. Il folletto, rosso di rabbia e umiliazione, corse alla caverna e radunò il Gran Consiglio degli gnomi per decidere il da farsi. Allo scoccare della mezzanotte il verdetto era ormai deciso. Alle prime luci dell’alba i folletti erano già tutti pronti ad aspettare i quattro ciclamini che, come ogni sabato mattina, canticchiando risalivano la montagna. Le giovani non si fecero attendere e i piccoli gnomi, danzando e saltellando intorno alle ragazze, le guidarono fin sulla cima della Presolana, su un precipizio che sovrasta il paese di Colere. Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina fecero appena in tempo a scorgere lo sguardo colmo di dolore dei folletti prima che un lampo le colpisse e le tramutasse in pietra, immobili e perenni al fianco di quella caverna che era stata cornice di allegri e gustosi pranzi autunnali.

Tutti i racconti dei nonni terminano con un monito che le quattro fanciulle (non più fiori, non più ciclamini, ma ricordate ora solo come “Matte”), hanno imparato a loro spese: mai prendersi gioco della montagna, della natura e delle sue forze nascoste.
Qualcuno giura che nelle limpide mattinate di sole si sente ancora il lamento delle Quattro Matte che, immobili al fianco dei folletti della Presolana, osservano il paese di Colere e ricordano agli abitanti la forza e la potenza della natura. Ancora non ci credete?

Il Canto Delle 4 Matte

Il 14 luglio alle 10, la Pro Loco di Colere vi aspetta al Pian di Vione con “Il Canto delle Quattro Matte”, la rassegna corale che, in una cornice mozzafiato, riporta tutti a cantare nel bosco, proprio davanti a Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina.

Socchiudendo gli occhi e tendendo l’orecchio, ne sentirete il canto perenne.

Scopri i dettagli de Il Canto delle Quattro matte

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Moroni in ValSeriana https://www.valseriana.eu/blog/moroni-in-valseriana/ Tue, 02 Jul 2019 11:49:01 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=37566 TAPPA 1 | Ranica – Chiesa dei Santi Sette Fratelli Martiri

Crocifisso con la Vergine e i santi Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e Defendente
L’opera viene realizzata dal Moroni per la chiesa di S.Defendente di Bergamo . Dopo la soppressione della chiesa nel 1808 arrivò, dopo vari passaggi, nelle mani del conte Pietro Moroni che lo vende alla Chiesa di Ranica. Forse la prima commissione pubblica del pittore per la città di Bergamo, la si colloca nel periodo tra gli anni ’50 e ’60 del Cinquecento. La crocifissione ospita una serie di personaggi in una rappresentazione in parte nuova: ai piedi della croce stanno Giovanni evangelista, che rivolge lo sguardo al Cristo, e Maria che allarga le braccia e sembra avvolgere con il suo sguardo lo spettatore; Maria Maddalena abbraccia invece il legno della croce e tiene gli occhi chiusi e il capo chino, in un gesto di dolore molto composto, infine San Defendente è inginocchiato e si rivolge con le mani giunte al Crocifisso, la sua posa ricorda molto quella di un donatore, solitamente raffigurato in preghiera.
La scena sacra passa in secondo piano rispetto San Defendente, l’unica figura a essere indagata psicologicamente ma che non ha niente a che vedere con l’episodio. Le nubi oscure del paesaggio incombono sulla scena sacra.
Battesimo di Cristo; san Giacomo; san Giovanni evangelista; Annunciazione
Di qualche anno più tardo, collocato alla fine degli anni ’60, il polittico ai primi dell’Ottocento venne inserito in una cornice in stile neoclassico: al centro la scena principale rappresenta il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano mentre la colomba della Spirito Santo appare in cielo e irradia la sua luce fino al capo di Cristo ricordando che tutti i cristiani non sono battezzati solo con acqua ma anche “in Spirito Santo”. Ai lati della tela principale sulla destra un giovanissimo San Giovanni Evangelista volta lo sguardo verso lo spettatore, mentre sulla sinistra un assorto S. Giacomo sembra avere lo sguardo perso nel vuoto. In alto due tele più piccole rappresentano l’Annunciazione.
L’Annunciazione viene presentata divisa nei due scomparti laterali e si ispira al polittico di Ponteranica del Lotto, qui però l’atmosfera risulta più umile e famigliare ; ciò che li accomuna invece, oltre all’atteggiamento delle figure, sono i giochi di luce e di colore: il raggio di sole proveniente dall’esterno fa emergere la figura della Vergine dal fondo grigio e mette in evidenza il rosso, il bianco e l’azzurro delle sue vesti, mentre l’angelo, di un rosa pallido, viene raffigurato in una penombra luminosa
Il tema dello scomparto centrale è il Battesimo di Gesù, sicuramente apprezzato dal Moroni per la possibilità di dare maggiore attenzione al paesaggio: la resa atmosferica è più fine e vibrante, come se riflettesse la tensione intorno al corpo magro e seminudo di Cristo
Il polittico di Ranica è uno dei migliori esempi del Moroni ritrattista all’interno della pittura religiosa: l’intensità e la penetrazione psicologica si concetrano nel giovane Giovanni Evangelista che sembra aver interrotto momentaneamente la lettura del testo sacro per rivolgere lo sguardo all’osservatore al fine di richiamarne l’attenzione. L’intensità e la profondità psicologica di questo personaggio è tale da poterla tranquillamente paragonare a uno dei ritratti dell’artista


 

TAPPA 2 | Villa di Serio – Chiesa di Santo Stefano Protomartire 

Cristo risorto (recto) ; S.Stefano (verso) 
Lo stendardo, forse il migliore di quelli realizzati dal Moroni, è autografa come dimostrato dalla dicitura «IO.BAPTISTA | MORONUS» sulla base del pilastro in cui appare Santo Stefano orante, avvolto in una preziosa dalmatica rossa e col piede sinistro poggiato su dei sassi, strumenti del suo martirio; sul recto si trova il Cristo risorto la cui figura si staglia dalla parete rocciosa alle sue spalle. Le due figure appaiono all’interno di archi decorati alla damaschina color oro su fondo grigio incorniciati a loro volta da un bordo d’oro con fregi rossi e neri ormai quasi del tutto logorati.


TAPPA 3 | Lonno (fraz. di Nembro) – Chiesa di Sant’Antonio Abate
Madonna in gloria tra i santi Barbara e Lorenzo
La vicenda di questo dipinto si è molto di recente legata alla ValSeriana: dalla sua collocazione originaria nella chiesa del Carmine di Bergamo per decreto governativo era stata rimossa e portata al Palazzo Civico , di qui giunse alla pinacoteca di Brera , del cui patrimonio fa tuttora parte integrante , sebbene in deposito dal 1953 alla Parrocchiale di Lonno . La Santa Barbara ha la medesima fisionomia delle sante che troviamo nelle tele di Fiorano e Bondo : lo stesso viso, la medesima espressione , identici gli abiti. Ha il braccio destro posato sulla torre del martirio e il piede sinistro sul cannone, simbolo della congregazione committente.


TAPPA 4 | Albino – Chiesa di San Giuliano Martire
La Trinità
Datata intorno al 1555 era, inizialmente, destinata alla chiesa della Trinità di Fiobbio, frazione di Albino; nei primi dell’Ottocento viene poi tolta dalla sua sede originale per essere ricollocata nella parrocchiale di Albino.
Interessante il contrasto tra la dimensione terrena, che si concretizza nel paesaggio e nella figura di Cristo, uomo in carne e ossa, e quella paradisiaca completamente immersa nella luce dove si colloca la figura evanescente di Dio Padre che avvolge il Figlio. Il volto pensieroso del Cristo, di derivazione tizianesca, verrà ripreso poi dal pittore per l’Ultima Cena di Romano di Lombardia, mentre la nube attorniata da cherubini è la stessa dello stendardo di Pradalunga.

Madonna col Bambino (recto); Visitazione (verso)
Lo stendardo è stato probabilmente commissionato dalla congregazione albinese di Santa Elisabetta che si riuniva nella chiesa di San Giuliano. É sempre stato conservato ripiegato in qualche armadio della sacrestia e per questo la tela presenta diverse pieghe e cedimenti. Sul recto è rappresentata la stanza dove la Vergine si fa sorprendere mentre abbraccia teneramente il figlio che pare chiedere protezione al volto della madre. Sul verso viene descritto l’incontro tra Maria e Elisabetta. La semplicità dei loro gesti dimostra tutta la loro umiltà e povertà: la Madonna allunga a stento la mano verso quelle della cugina, mentre l’altra è posta affettuosamente sulle sue spalle. Lo stendardo si può collocare nell’ultima fase della produzione moroniana.

Crocifisso con i santi Bernardino e Antonio da Padova
Realizzato nel 1575, questo dipinto è da considerarsi il capolavoro della produzione sacra del Moroni soprattutto per la sua capacità di rappresentare l’immersione fisica e psicologica del personaggi all’interno dell’ambiente che li circonda. L’opera viene commissionata da Pietro Pulzini e dai suoi fratelli, uomini di spicco della comunità albinese e membri del consiglio della scuola del Sacramento. Ciò che immediatamente colpisce in questo dipinto è l’isolamento e l’innalzamento della croce; questo senso di solitudine è evidenziato da un raggio di luce proveniente da un piccolo squarcio nel cielo che colpisce in pieno la figura del Cristo lasciando il resto in penombra. L’elemento più luminoso è il perizoma giallo-arancio del Cristo che emerge dal fondo grigio dell’atmosfera e si muove sotto la forza del vento come se fosse un vessillo; Moroni fa uso quindi del forte contrasto cromatico per creare emozioni. Sotto la croce troviamo i due santi che rivolgono lo sguardo al Messia eliminando qualsiasi tipo di distrazione dalla scena sacra; S.Bernardino è ritratto con le mani congiunte in atteggiamento di preghiera, mentre S. Antonio è in estasi mistica: il modo in cui la luce inonda il volto del santo è, come è stato scritto, una delle realizzazioni più sensazionali di tutto il Cinquecento.
Ciò che rende però quest’opera così unica e straordinaria è la profonda partecipazione della natura all’episodio sacro di cui diventa vera protagonista: il paesaggio, tipicamente lombardo, dove spiccano alcuni dettagli come il piccolo sentiero che scavalla la collina e i riflessi di luce sulle chiome degli alberi e sui tetti del cascinale immerso nel bosco.
Sul fondo si nota il classico massiccio della Cornagera, la cui presenza serviva a rendere il paesaggio più famigliare al fedele.


TAPPA 5 | Bondo Petello (fraz. di Albino) – Chiesa di Santa Barbara
Madonna col Bambino in gloria con le sante Barbara e Caterina d’Alessandria
Il dipinto si può collocare nei primi anni Sessanta del Cinquecento e fu probabilmente commissionato dalla Confraternita di Santa Barbara che si occupava della chiesa intitolata alla santa. La fama dell’opera è legata alla falsa credenza che Bondo Petello fosse il paese natale dell’artista, solo negli ultimi decenni si è scoperto che in realtà il suo luogo di nascita e residenza è Albino. In questa pala però si può percepire il senso di famigliarità e lo stretto legame tra i due paesi grazie alla raffigurazione del massiccio roccioso della Cornagera, una presenza silenziosa ma costante nella vita degli abitanti della ValSeriana. Le sante si comportano in modo completamente diverso: sulla sinistra Barbara, riconoscibile dalla torre, simbolo del suo martirio, si rivolge in preghiera alla Madonna, apparsa nel cielo su una nube e circondata da piccoli cherubini; sulla destra Santa Caterina rivolge invece lo sguardo verso lo spettatore, quasi invitandolo a partecipare alla sacra conversazione e facendo quindi da tramite tra il mondo terreno e quello divino.
Sia le caratteristiche del paesaggio sia il forte taglio ritrattistico di Santa Caterina, volto a rendere più umana l’immagine sacra, sono elementi tipici dei primi anni Sessanta quando il pittore inizia una nuova fase sperimentale
Questo tentativo di umanizzare sempre più i personaggi delle pale sacre è visibile anche nelle acconciature e nei vestiti delle due sante che sono stati arricchiti da diversi particolari tipici della moda dell’epoca del pittore.


TAPPA 6 | Albino – Santuario della Madonna del Pianto
Cristo portacroce
Si colloca temporalmente tra il 1565 e il 1570. In quest’opera la tragicità della passione è resa in maniera pacata e essenziale, secondo lo stile dell’artista albinese: la sofferenza del Cristo è interiore e non viene esibita, traspare appena da un sospiro sul volto assorto; anche le ferite inferte dalla corona di spine non vengono mostrate, si può scorgere solo qualche goccia di sangue sul viso pallido. Il senso di solitudine che traspare dalla figura del Cristo si rispecchia nella solitudine del paesaggio dove nella quiete apparente si muove un vento divino che piega i pochi alberi sullo sfondo. Il rapporto tra la natura, così “emozionale” e coinvolta nell’episodio sacro, e il soggetto è lo stesso di un’altra straordinaria opera del Moroni: il Crocefisso e Santi di Albino.


TAPPA 7 | Fiorano al Serio– Chiesa di San Giorgio Maggiore
San Giorgio e la principessa; Madonna col Bambino e i santi Alessandro, Defendente, Lucia e Apollonia
L’opera è stata commissionata nel 1575 dalla Confraternita del Santissimo Sacramento e si tratta di uno degli ultimi polittici che si incontrano nell’intera storia dell’arte. Incassato in un imponente cornice lignea (di epoca successiva che ne altera l’organica percezione) è composto da sei tele impostate su tre diversi registri. Al centro il santo patrono della chiesa è rappresentato a cavallo, ai suoi piedi una donna, riccamente vestita, indica il drago ormai sconfitto. Nei pannelli laterali la prima fascia è composta da S. Alessandro, sulla sinistra, riconoscibile dallo stendardo con il giglio rappresentato alle sue spalle, che si rivolge allo spettatore indicando la pala centrale, e S. Defendente, rappresentato invece di tre quarti e rivolto verso la scena principale. Nella seconda fascia sono rappresentate a sinistra S. Lucia e a destra S. Apollonia, che tiene nella mano sinistra una pinza con un dente a ricordo delle torture subite prima del martirio, la Santa è nota ancora oggi come protettrice dei denti. I fondali in pietra contro cui sono rappresentati i santi ricordano le scelte stilistiche fatte da Moroni per i suoi ritratti, quasi a rendere i santi più vicini a noi. Infine nella cimasa è rappresentata la Vergine con il Bambino. È interessante ricordare che durante il primo conflitto mondiale, per decisione governativa, l’intero polittico fu portato a Roma e venne ricollocato nella sua sede originale il 18 luglio del 1920. Ciò che unifica tutti e sei i dipinti, nonostante la mancanza di coesione tra gli scomparti laterali e quello centrale dovuta forse al lungo periodo di gestazione dell’opera, è la stesura del colore e l’uso straordinario della luce per costruire i panneggi: i brevi tocchi di pennello sulla gonna gialla di Santa Lucia sono gli stessi della veste della principessa e del velluto rosso di San Defendente, da sotto il quale risalta l’armatura dai riflessi argentei.


TAPPA 8 | Oneta – Chiesa di Santa Maria Assunta
Assunzione della Vergine
Il piccolo dipinto si data tra il 1552 e il ’55 e quasi certamente nasce come pala da destinare alla chiesa del paese intitolata proprio alla santa oggetto della raffigurazione. L’Assunta di Oneta è la prima di una serie dedicata a questo tema: lo ritroviamo in altre tre opere conservate nella chiesa di Cenate Sopra , Palazzago e alla Pinacoteca di Brera. Si tratta di uno dei primi lavori giovanili ; questa certezza nasce dalla chiara influenza del Moretto , sia nello schema compositivo che nei riflessi argentati dei panneggi, ma anche nei diversi errori commessi a causa dell’inesperienza, come lo scorcio piuttosto azzardato del sarcofago. Tuttavia molti elementi preparano l’evoluzione più tarda del Moroni come l’intensità delle espressioni e degli scorci e nella cromia vivace di intonazione rossiccia


TAPPA 9 | Parre – Chiesa di San Pietro Apostolo
Madonna con il Bambino e i santi Paolo, Pietro e Giovanni
La pala viene commissionata nel 1564 dalla famiglia Belliboni, baroni di Parre, da destinare alla grande ancona sopra l’altare maggiore della parrocchiale. Al centro spicca la figura di S. Pietro, proteso a riceve le chiavi che il Bambino gli porge, sulla sinistra, di spalle, San Paolo regge la spada da cui fu trafitto nel martirio mentre a destra, in secondo piano, si scorge S. Giovanni Evangelista (dove forse è ritratto il committente). La Vergine è collocata entro una nicchia ma si sporge un poco per avvicinare il figlio a S. Pietro. L’opera segna il primo tentativo di una ricerca, nelle opere sacre, di una monumentalità che culminerà con la famosa Ultima Cena di Romano, ma anche di un impoverimento cromatico che rivela la semplicità e l’essenzialità della pittura del Moroni.


TAPPA 10 | Fino del Monte – Chiesa di Sant’Andrea Apostolo
Madonna con il Bambino e i santi Andrea e Pietro
Viene realizzata nel 1577 su probabile commissione della Confraternita del Santissimo Sacramento. Il desiderio di una nuova pala per abbellire la cappella nasce in seguito alla visita pastorale di Carlo Borromeo, lo dimostra la data riportata sull’ultimo gradino del trono che potrebbe essere stata ordinata dal fabbriciere o dal parroco per dimostrare la rapidità nell’attuare le indicazioni del Cardinale.Tra i dipinti chiesastici prodotti da Moroni negli ultimi anni questo è sicuramente uno tra i più ammirati. Non si può giudicarlo solo dalle analogie compositive con il maestro Moretto o dalla capacità di rispettare in maniera rigorosa i canoni controriformistici , ma bisogna anche cogliere la capacità di traslare su tela la verità della sua terra: i personaggi sono ritratti con pose e abbigliamento umili, mentre le loro braccia e i loro colli sono scoperti, proprio come gli uomini della valle.
Ma sono soprattutto gli accordi cromatici e la luminosità a stabilire il valore di quest’opera: i rosa, i gialli e gli azzurri delle vesti vengono esaltati dal fondo grigio della parete, mentre la luce radente fa risaltare i drappeggi, i marmi e le barbe bianchissime dei due santi .

 

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Se il sole gioca a nascondino https://www.valseriana.eu/blog/se-il-sole-gioca-a-nascondino/ Sat, 09 Feb 2019 05:43:48 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=32338 Il Sole scompare il 2 di novembre e se ne sta lontano dal cuore del paese per buona parte dell’inverno: esattamente per novantotto giorni, ora più ora meno. Oltre tre mesi senza che i raggi della nostra stella scaldino il cuore di Valcanale, della sua chiesa. Succede in diversi luoghi delle nostre montagne, in inverno, quando il sole si abbassa sull’orizzonte e i suoi raggi si fanno obliqui, scompaiono dietro le montagne.
Succede a Valcanale, frazione di Ardesio, a Dossi, frazione di Valbondione, vicino alla chiesetta di Sant’Elisabetta. Succede a Colere.

ph. Guido Fly

Valcanale è il centro principale della valle che porta lo stesso nome. Si arriva dalla provinciale della ValSeriana fino ad Ardesio, in località Ponte delle Seghe si prende la strada a sinistra. Anche il Ponte delle Seghe è una zona di lunghe ombre; il nome viene dal fatto che in quel luogo, dove ancora esiste un caseggiato antico, si trovavano mulini e segherie mosse dalla forza dell’acqua presa dal Serio. Si gira a sinistra e si sale in una valle tra le più suggestive delle nostre montagne, valle di bellezza integra, che non ha conosciuto la speculazione edilizia massiccia che si è verificata in altre zone.
Lungo la strada si incontrano diverse frazioncine con i rispettivi campanili, paesini dove vivono cinquanta, cento persone: Zanetti, Bani, Rizzoli, Albareti, Marinoni…
La valle è scavata dal torrente Acqualina che scende dal lago Branchino.
Verso sud ovest chiude la valle il massiccio dell’Arera che arriva a 2512 metri, con le sue diverse cime: il monte Secco, la Cima di Fop, la Cima di Valmora… è una montagna di roccia dolomitica, sale come una ciclopica onda di roccia sopra la valle. Uno spettacolo che comincia all’imbocco e la segue tutta quanta, fino al passo del Branchino. A proposito di ombra, salendo lungo la strada asfaltata si trova a un certo punto il villaggio di Albareti, sulla sinistra, all’inizio di una piccola valle chiamata Val del Las: in fondo a questa “valle”, proprio alla base della parete verticale che sale fino alla cima del Monte Secco, si trova una conca che ospita un nevaio, a mille metri di quota: una volta il nevaio, un “ghiacciaietto”, resisteva anche durante l’estate. Negli ultimi anni non è più così, ma qualche volta ancora riesce a sopravvivere e a superare agosto e settembre, limitato a pochi metri di neve e ghiaccio, fino alle nuove nevicate: quest’anno pare abbia resistito.

A Valcanale il sole tornerà il 9 di febbraio: al mezzogiorno di quella giornata, ovvero alle 12.23 circa (il nostro mezzogiorno è tarato sul fuso orario di Roma, ma l’ora reale a Bergamo è spostata in avanti di circa venti minuti), il Sole fa capolino dalla Forcella del Re, a 1989 metri, tra le cime dei monti Fop e Valmora, e va a illuminare la statua della Madonna posta sul campanile della parrocchiale di Santa Maria Assunta. Poi, nei giorni a seguire, pian piano il sole si solleva e va a illuminare tutta la contrada.
Ma succede che talvolta la nostra stella ritardi di qualche giorno: capita quando l’inverno è stato particolarmente nevoso e ha accumulato tre, quattro metri di neve alla Forcella.

Colere

Anche a Colere, in Val di Scalve, il sole lascia il paese per inabissarsi dietro la Presolana, lo fa il 7 di novembre e ritorna a splendere sul cuore del paese solamente il 7 di febbraio. A un certo punto, a Colere non ne poterono più dell’ombra e si pensò bene di fare come aveva scelto un paese in provincia di Verbania, Viganella: gli abitanti di quel luogo, duecento anime, si erano fatti
costruire uno specchio, una lastra d’acciaio di quaranta metri quadrati (sette metri circa di diametro), posto a mille e cento metri di quota, che riflette il sole fin sulla piazza del paese. Era il 2009, forse complice anche la crisi economica scattata in quell’anno, l’idea rimase lettera morta, nonostante un riaccendersi del progetto intorno al 2011. Ma se l’ombra che avvolge il paese può rappresentare da un lato un disagio, dall’altro  costituisce un vantaggio; la neve che cade resta, con difficoltà si scioglie anzitempo, questo contribuisce a dare a Colere un sapore invernale vero, che dura per mesi, gli conferisce un’atmosfera da presepe, da caminetto, lo rende ancora più suggestivo, con le splendide montagne dolomitiche attorno, bianche, nei giorni sereni baciate dal sole: le rocce solenni della Presolana, la mole argentea del Pizzo Camino, le “Dolomiti di Scalve” del Cimon della Bagozza; ma anche in contrasto con le piste da sci in gran parte soleggiate che scendono dal monte Ferrantino, a 2.200 metri, fino al paese.

Dossi – loc. di Valbondione

Ai Dossi di Valbondione il sole è scomparso il 6 di novembre, è ormai nascosto dietro la mole del Pizzo della Corna, a 2.350 metri di altezza: la nostra stella tornerà a brillare sull’area del campeggio del paese fra tre mesi. Ancora più lunga “l’eclisse” per la zona di Casa Corti, sempre a Valbondione, dove il Sole addirittura tornerà a fare capolino attorno al 20 febbraio.

Sicuramente il generale inverno non ce la farà passare liscia e se ne sta lì, dietro la porta, pronto a soffiare il suo vento gelido dal nord.

Articolo di Paolo Aresi per VALSeriana & Scalve Magazine n. 19

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A perdifiato lungo il letto di antichi torrenti https://www.valseriana.eu/blog/a-perdifiato-lungo-il-letto-di-antichi-torrenti/ Sat, 05 Jan 2019 10:43:10 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=32489 Parola d’ordine: adrenalina. È solo con una buona dose di predisposizione
all’avventura che si può vivere l’esperienza di scendere lungo il corso di un antico torrente, affrontando le gole e i pendii scoscesi.

Disarrampicate nei canyon
Disarrampicate nei canyon

Il grande pubblico conoscerà più facilmente l’attività del canyoning, lo sport acquatico che consiste nella discesa di strette forre percorse da piccoli corsi d’acqua e a differenza di altre discipline con cui spesso viene confuso quali il rafting, kayak, hydrospeed, si percorre il torrente a piedi, senza l’ausilio di  gommone o canoa.
Non tutti sanno, però, che il “torrentismo” si può praticare anche in assenza di acqua: è il dry canyoning, per il quale la ValSeriana offre percorsi particolarmente affascinanti.

Gole profondamente scavate nella roccia, caratterizzate in genere da forte pendenza, scivolistretti corridoi, rappresentano l’ambiente in cui si svolge questo sport, solo apparentemente “estremo”. Esistono, infatti, percorsi di varia difficoltà, dai semplici canyon d’iniziazione alle discese più impervie: «Si tratta di un’attività molto avvincente a contatto con la natura, adatta a tutti – spiega Alberto Albertini, guida alpina e maestro di alpinismo – Abbiamo gruppi molto eterogenei, con bambini dai 7 anni fino ad anziani di 70 anni. Con la giusta preparazione tecnica, una discreta preparazione atletica, si può godere in tutta sicurezza della bellezza di luoghi incontaminati. Andiamo alla scoperta di un mondo creato dal continuo lavoro dell’acqua in millenni, provando il piacere unico di camminare, calarsi e scivolare in ambienti eccezionali».

Mentre la stagione degli sport acquatici si apre con l’arrivo delle temperature più miti e si chiude all’incedere dell’autunno, il dry canyoning assicura emozioni tutto l’anno, proprio per l’assenza di acqua, che nel periodo più freddo non è affrontabile nemmeno con le mute. «Questa attività si presta ad essere svolta anche in inverno, senza la  presenza di neve e ghiaccio, proprio perché i percorsi sono equipaggiati e praticabili e rimangono riparati dalle intemperie» spiega Albertini.

Percorso di Dry Canyoning in Val Borlezza

Un’occasione, quindi, per scoprire le vallate bergamasche con un approccio naturalistico diverso dai consueti sport invernali, capace di attrarre turisti anche da fuori provincia, grazie alle suggestive e poco conosciute forre
disseminate nel nostro territorio.

«Grazie alla passione per la montagna e l’esplorazione abbiamo scoperto e attrezzato con ganci, rinvii e scalette percorsi oggi accessibili agevolmente. Sono forre e gole dove scorreva l’acqua migliaia di anni fa, quando la calotta glaciale che scendeva dall’Adamello lambiva il territorio di Lovere e aveva uno spessore di 700 metri. La geologia di questi luoghi è molto cambiata, sono variati i percorsi dei torrenti, si sono prosciugati i corsi d’acqua, lasciando canyon di rara bellezza» racconta Albertini.

PRENOTA SUBITO LA TUA ESPERIENZA DI DRY CANYONING!

Un esempio si trova in Val Borlezza, sotto l’altopiano di Bossico, sul lato idrografico sinistro del lago d’Iseo: un’avvincente discesa tra canyon secchi nel paradiso selvaggio della valle. Il percorso è un continuo susseguirsi di scivoli, salti verticali e calate di oltre 20 metri. Dopo una breve salita di avvicinamento a piedi lungo un sentiero nel bosco, si arriva al punto di partenza del pendio. Da qui parte l’avventura che per due ore regala emozioni indimenticabili a tutti gli escursionisti.

Val Borlezza

L’esperienza sportiva è arricchita anche dalla bellezza dei panorami e dall’unicità delle formazioni rocciose che costituiscono l’ambiente circostante: «È affascinante l’orografia di questi placidi luoghi, plasmati dal lento e costante lavoro dell’acqua che ha modellato il territorio – racconta
Albertini -. Non di rado lungo le gole che percorriamo sono visibili massi erratici di granito o di verrucano lombardo, presenti in aree di montagna prettamente calcarea. Si tratta di rocce provenienti da altre parti della regione, trasportate dalle Alpi verso valle dall’acqua e dal movimento dei
ghiacciai, in secoli e millenni»

Ad oggi in Val Borlezza sono quattro i percorsi proposti dalle guide alpine, ma il gruppo è già al lavoro per attrezzarne altri intorno al lago d’Iseo: «Le valli bergamasche offrono tantissimo a livello naturalistico, un potenziale turistico tutto da scoprire» commenta Albertini.
Ovviamente è necessario affrontare la montagna in tutta sicurezzaLa progressione avviene in discesa, grazie a calate su corda e arrampicate verso il basso, dette disarrampicate, tecniche tipiche dell’approccio speleologico e alpinistico.
L’assenza di acqua e di ostacoli come cascate, salti e rapide non rende il dry canyoning privo di rischi. Per questo è importante affidarsi a guide esperte: «Questo sport unisce le tecniche dell’arrampicata alla speleologia e necessita di equipaggiamenti specifici quali caschetto, corde, moschettoni
e imbraghi che vengono spesso forniti dalle guide per le uscite di gruppo. È indispensabile un abbigliamento adatto al trekking: scarponcini, maglie e pantaloni tecnici comodi – aggiunge Albertini -. Prima di affrontare qualsiasi percorso viene fatto un briefing iniziale per illustrare dettagliatamente le tecniche di discesa, le manovre di corda per le calate, la gestione dell’attrezzatura e per preparare gli escursionisti ai possibili pericoli, come le condizioni meteo avverse improvvise o le rocce più friabili.
Per effettuare tour di livello superiore è obbligatorio aver fatto un percorso di livello inferiore o aver già praticato l’attività almeno un paio di volte».

Articolo di Silvia Valenti per VALSeriana & Scalve Magazine – inverno
Immagini di Alberto Albertini e Ruggero Andreoli

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A teatro… a casa del Duca https://www.valseriana.eu/blog/a-teatro-a-casa-del-duca/ Tue, 18 Dec 2018 17:21:16 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=32483 Un tempo per “creare un’atmosfera” era sufficiente un brandy dall’etichetta nera, a Casnigo, nel cuore della Val Gandino è ideale il Teatro Fratellanza. Si tratta di un gioiellino liberty creato negli anni ’20 in quelle che un tempo erano le stalle del Circolo Fratellanza, laica società di Mutuo Soccorso nata nell’aprile del 1904. Una realtà sociale ancor oggi attiva, che vide nel teatro il mezzo ideale per “insegnare divertendo”, come recita il motto “Ludendo Docet” che domina il palcoscenico.

In realtà gli spazi del Fratellanza furono casa, sin dal ‘600, della famiglia Bonandrini, fra le più in vista del paese, attiva nel commercio della lana e di merci preziose provenienti dall’Oriente a Venezia ed Ancona. Fra i discendenti dell’importante casato, visse fra queste mura anche il dottor Giuseppe Bonandrini, che fu, a cavallo fra ‘800 e ‘900, uomo di cultura, letterato e medico condotto in Alta Valle Brembana. Fu autore di poesie e nominato secondo Duca di Piazza Pontida, sodalizio bergamasco dedito alla salvaguardia di folklore e tradizione bergamaschi. Si diede il nome di “Pichetù I” in ricordo dell’amico uccellatore di Casnigo, con cui divideva la passione fra i pascoli attorno al Santuario della Madonna d’Erbia. Giuseppe Bonandrini compose musiche per pianoforte così come il padre Bernardino; quest’ultimo trascrisse anche un brano per baghèt, la tipica cornamusa bergamasca di cui Casnigo è patria indiscussa.

In un contesto tanto permeato da arte e storia, ma anche da un’intensa rete di relazioni sociali e culturali, è nata nel 2009 l’Associazione Teatro Fratellanza, con il preciso intento di avvicinare al palcoscenico e alle discipline teatrali quanti mostrano interesse per la recitazione. Inizialmente
ispirare un impegno convinto che oggi consente di proporre spettacoli di propria produzione, ma anche rassegne ed eventi di alto profilo, è stato Piero Marcellini, istrionico regista e attore. “Siamo partiti con testi brillanti di Achille Campanile e Pirandello – ricordano Lucia Gualdi e Loretta Bonandrini, attrici della compagnia, insieme a Gigi Capitanio – ma anche cimentandoci in spettacoli profondamente legati all’attualità e alla storia del ‘900. Ad unirci non sono soltanto corsi di recitazione e prove ripetute in vista degli spettacoli, ma anche un comune sentire che fa sì che maturi in tutti un forte senso di analisi, di critica costruttiva e, perché no, di dibattito”.

Nel nutrito palmares dell’Associazione, presieduta da Romano Pezzani e composta da una quarantina di attori, ci sono anche commedie dialettali e brillanti. Non mancano come detto le rappresentazioni forti legate per esempio alla Resistenza e all’Olocausto, un tema destinato a tornare a breve ne “La voce del Silenzio è la forza delle donne”, un racconto della Shoah al femminile curato da Nives Bonandrini.

Dopo gli inizi con Marcellini, la scuola di teatro ed alcune rappresentazioni casnighesi sono state guidate da Antonio Russo e Bianca Bertocchi. Da alcuni anni direttore artistico dell’Associazione Fratellanza è Marco Amico, che coordina anche la rassegna autunnale “Il Tralcio”. “Il nome della rassegna – spiega – deriva dal rampicante che ancor oggi offre grappoli gustosi nel cortile interno del Circolo Fratellanza. Un modo come un altro per segnalare come la nostra proposta si innesti sì in un’importante tradizione, ma abbia l’intento di affrontare temi e riflessioni di assoluta attualità. Lo spirito dell’Associazione è quello di accogliere forme espressive diverse in un impegno comune, una sorta di “portale” in cui ciascuno possa allestire al meglio il proprio “sito”.

Articolo di Giambattista Gherardi per il VALSeriana & Scalve Magazine – Autunno

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MONTAGNA… AL COLOR BIANCO https://www.valseriana.eu/blog/montagna-al-color-bianco/ Fri, 30 Nov 2018 17:42:34 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=32125 Oltre 100 chilometri di piste da sci si stanno preparando a riaprire i battenti per regalare agli amanti della stagione bianca un nuovo inverno indimenticabile in cinque comprensori pronti a soddisfare le esigenze di tutti gli sciatori (e non solo).

Sciare a Spiazzi di Gromo
Spiazzi di Gromo

Un “serpentone”bianco che si snoda lungo i pendii della ValSeriana e della Val di Scalve  fra discese mozzafiato in scenari incantati. Come quelli di Lizzola, nel comune di Valbondione, perla delle Orobie con le sue 7 piste da sci, per circa 20 chilometri di lunghezza, perfette sia per i giovani sia per le famiglie; o di Spiazzi, di Gromo, con 9 piste e 15 chilometri di discese, dove i principianti potranno  imparare i primi segreti delle “curve” mentre gli sciatori esperti potranno vivere emozioni adrenaliniche.

Castione della Presolana_Monte Pora
Monte Pora
Ma ad attendere i “discesisti”  (oltre agli amanti dello snowboard e del fondo, delle “pelli di foca” e della ciaspolata o più semplicemente, di una giornata immersi nel relax  che sa offrire un panorama imbiancato, magari in attesa di un’ottima cena “montanara”) ci sono anche le stazioni di Castione della Presolana (il Monte Pora, con le sue 20 piste, adatto a tutti i gusti, e la Presolana, vera e propria “palestra dello sci”, un paradiso a misura di bambino con ben 11 chilometri di piste e un’attenzione particolare ai portatori di handicap) e, nel cuore della Val di ScalveColere che dall’alto dei suoi 2.200 metri, incorniciato dalle splendide vette delle Orobie, è meta di  snowboarder e sciatori esperti a caccia di emozioni uniche.
Castione della Presolana_Monte Pora

Un ventaglio di proposte alle quali si aggiungono le possibilità di ritagliarsi momenti di pura gioia e divertimento facendo pattinaggio, andando in motoslitta, cimentandosi in un’arrampicata su ghiaccio davvero da brividi…

Una montagna di emozioni al… color bianco, in un mondo colorato di bianco, per poi a fine giornata, concedersi  momenti di relax, facendosi coccolare nelle spa e nei centri benessere degli hotel, prima di regalarsi  il sapore delle tante ricette tradizionali  servite ai tavoli d ristoranti e agriturismo e di lasciarsi avvolgere dalla magica atmosfera natalizia nelle piazze e nelle viuzze più caratteristiche dei molti borghi del territorio.

Scopri dove pattinare sul ghiaccio
Scopri le passeggiate con le ciaspole

I nostri comprensori che a brevissimo daranno il via alla stagione, non vedono l’ora di accogliere visitatori locali e turisti e hanno in programma molte novità ed eventi per tutti:

LIZZOLA
Novità
Promozioni infrasettimanali (3X2) e 1° giovedì del mese skipass free a tutte le donne.

SPIAZZI DI GROMO
Novità
Martedì, giovedì e venerdì apertura serale del Rifugio Vodala per sci alpinisti, pedoni e ciaspolatori. Sabato sera cena tipica con intrattenimento musicale.

PRESOLANA MONTE PORA
Novità
Predisposizione di un nuovo impianto di innevamento potenziato fino alle piste della Loc. “Pian de l’Asen”
Acquisto di torri di raffreddamento per la produzione di neve a temperature meno basse
Realizzazione di una nuova scala mobile per pedoni e sciatori dalla Piazzetta Monte Pora alla seggiovia Pian del Termen

COLERE SKI AREA 2200
Novità
Predisposizione di un nuovo impianto di innevamento artificiale fino a Loc. Cima Bianca
Acquisto di nuovi mezzi battipista
Realizzazione di un nuovo parcheggio asfaltato
Skipass gratuito per bambini fino ai 9 anni

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Per non dimenticare https://www.valseriana.eu/blog/per-non-dimenticare/ Wed, 28 Nov 2018 17:53:27 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=32065 All’alba del primo dicembre 1923, Francesco Morzenti era l’unico sorvegliante della diga di Pian del Gleno e il principale testimone della catastrofe, ma il suo resoconto dei fatti, rilasciato alla stampa e agli inquirenti, varia alquanto in relazione a quando ed a chi lo dichiarò. In una delle prime versioni Morzenti raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla centrale idroelettrica di Molino di Povo, verso le sette del mattino: l’interlocutore gli ordinò di aumentare la portata dell’acqua inviata alla centrale idroelettrica. Morzenti lasciò la cabina di controllo e si avviò verso la passerella a valle della diga, posta sotto i possenti piloni nella parte centrale della gola. Era buio, piovvigginava ed era già arrivata la prima neve che imbiancava le cime. Mentre azionava il volano per aprire la valvola della saracinesca di scarico, sentì un tonfo, una vibrazione, quasi un piccolo terremoto, caddero sassi. Poi vide una fessurazione allargarsi da uno dei piloni; fuggì, riuscendo a stento a salvarsi. Quella tragica mattina sei milioni di metri cubi di acqua e fango si riversarono dall’enorme fenditura della diga sui villaggi sottostanti, causando 356 vittime accertate ma, probabilmente, i deceduti furono di più; qualcuno scriverà quasi cinquecento. L’ondata fu preannunciata da un violento spostamento d’aria che iniziò l’opera di distruzione, strappando le vesti a chi si trovava all’aperto, seguita dalla massa d’acqua che dopo aver devastato i centri abitati della valle, si esaurì nel lago d’Iseo. L’ondata distrusse Bueggio e sommerse Dezzo, dove si svilupparono rapidi incendi e deflagrazioni nella fornace di ghisa e nella centrale idroelettrica. Il processo penale, celebratosi fra gennaio 1924 e luglio 1927, condannò il proprietario dell’impianto, l’azienda Viganò, il progettista e direttore dei lavori, l’ingegner Giovan Battista Santangelo, e l’impresa costruttrice ad alcuni anni di reclusione, poi condonati, oltre al risarcimento dei danni ai superstiti da parte della Viganò. Il giudizio dei periti del tribunale fu lapidario: la diga era stata malamente costruita; al giudizio dell’accusa si associò quello popolare in un coro di proteste contro gli impianti idroelettrici”.

 

Diga Gleno
Diga Gleno

 

L’incipit del libro “Il crollo della diga di Pian del Gleno: errore tecnico?” scritto nel 2007 da Umberto Barbisan riassume per sommi capi gli eventi di 95 anni fa, il tragico bilancio di vittime in tutta la Valle di Scalve ed una storia di processi e dubbi mai del tutto chiariti. Il disastro del Gleno resta tuttora una ferita aperta che invita alla riflessione, suggerendo un percorso fra storia e natura che un numero sempre crescente di turisti scopre ed apprezza salendo da Vilminore di Scalve. Al di là di quei tragici giorni, la salita alla Diga del Gleno offre un cammino per nulla impegnativo: circa un’ora dai 1267 metri dell’abitato della frazione Pianezza, cui in estate si accede grazie ad un efficiente servizio navetta che sale dal centro del paese. Il sentiero parte in prossimità della chiesa (vicino ad una fontana). Dopo aver attraversato prati e raggiunto alcune baite, si sale a quota 1500 lungo una bella mulattiera in prossimità di una condotta forzata. L’ultimo tratto, praticamente pianeggiante, conduce ai ruderi imponenti ed inquietanti della diga (mt. 1534), attraversando un bosco ed un successivo tratto scavato nella roccia. Il sentiero regala panorami incredibili che spazianosulla valle, mentre dietro agli inutili bastioni in cemento c’è un incantevole lago artificiale, con il piccolo chiosco (che qualcuno in valle chiama barachì) utile per un piacevole ristoro.

Lo scorso giugno, grazie ad un progetto coordinato da Pro Loco e Biblioteca Comunale di Vilminore con il sostegno di Comune, Regione Lombardia e Comunità Montana di Scalve, è stato allestito in paese, in piazza Giustizia, lo Spazio espositivo Gleno, con una trentina di pannelli fotografici e testuali, documenti originali e testimonianze del disastro del 1 dicembre 1923. Alla realizzazione dell’esposizione, coordinata dall’antropologo scalvino Loris Bendotti, hanno dato il proprio contributo anche gli studenti della scuola superiore di Vilminore, il “Biennio”, che hanno riassunto la storia della realizzazione della Diga e del disastro e hanno riportato anche le testimonianze dei sopravvissuti. Gli studenti hanno anche tradotto in lingua inglese tutto il materiale. «Il progetto – afferma Michela Boni, presidente della Pro Loco di Vilminore – nasce dalla necessità di valorizzare il nostro territorio e la nostra storia. Per concretizzare la nostra idea abbiamo fatto affidamento su un importante lavoro di gruppo, che porterà ad un vero e proprio Archivio della Memoria, organico e digitalizzato». «Spesso chi scende dopo aver visitato la Diga – aggiunge Miriam Romelli della Biblioteca Comunale – chiede notizie sulla storia di quel luogo. Era importante quindi creare uno spazio per raccontare un fatto che ha segnato profondamente la storia della Valle di Scalve e che ha comportato ingenti perdite, di vite, di case ma anche di luoghi di ritrovo e socializzazione». A distanza di quasi un secolo le vie della storia diventano quelle degli escursionisti di oggi, che apprezzano panorami, pascoli e natura. Oltre che dal percorso classico che sale da Pianezza (in corso ulteriori lavori di miglioramento da parte dei volontari) alla diga del Gleno si può salire anche dalla frazione Bueggio, con uno sviluppo più impegnativo, oppure dalla frazione Nona, con un sentiero che negli ultimi anni ha ottenuto crescenti apprezzamenti. La Valle di Scalve si racconta attraverso una storia millenaria ed una natura limpida e forte. Come la sua gente.

Articolo di Giambattista Gherardi per il VALSeriana & Scalve Magazine autunno

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5+3 aree Pic-Nic a Castione della Presolana https://www.valseriana.eu/blog/53-aree-pic-nic-a-castione-della-presolana/ Thu, 17 May 2018 07:24:18 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=27906 Castione della Presolana è tradizionalmente una delle mete più famose della ValSeriana e migliaia di famiglie ogni anno la scelgono come meta delle proprie vacanze, gite e Pic-Nic a misura di bambino. Tantissime sono le aree attrezzate con tavoli, barbeque e parco giochi ideali per trascorrere una diversa e divertente giornata all’aperto!

La prima area che vi presentiamo ci permette di scoprile una delle zone più verdi di Castione: la Località Rusio. Prima di mangiare visitiamo la vicina Valle dei Mulini, dove potremo osservare atletici climbers mentre arrampicano le numerose falesie presenti in questa zona. Ma quando il languorino si farà più insistente, potremo tornare al parchetto e gustare il pranzo sui tavolini a disposizione.

Salendo ancora, proseguiamo da Rusio fino alla Chiesetta di San Peder, dove oltre a 3/4 tavolini, troviamo anche un’area attrezzata con barbecue per cucinare le tradizionali grigliate estive. Se la giornata non dovesse promettere sole tutto il giorno, qui potrete ripararvi da improvvisi acquazzoni e gustare il pranzo comodamente seduti ai tavoli al coperto.

Un post condiviso da sabri (@sabris462) in data:

Torniamo ora verso l’abitato di Castione e, a pochi passi da centro, ci aspetta il Parco degli Alpini attrezzato per ospitare fino a 150 persone (anche al coperto). Qui i bambini troveranno uno spazio colorato e attrezzato con tappeti elastici, altalene e scivoli per tutte le età. E dopo aver giocato e mangiato, potrete anche gustare un gelato e un caffè comodamente seduti al bar.

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Gusta il sapore della vacanza in ValSeriana.

A Bratto i pic-nic si fanno nell’area attrezzata in Località Denzìl: per raggiungerla lasciate l’auto in via Pellico e dopo una passeggiata di 15 minuti, troverete un’area con 2/3 tavoli dove sedersi liberamente.

A Dorga, parcheggiata l’auto al Santuario di Lantana, possiamo raggiungere a piedi il laghetto in Località Predusolo, un’area verde attrezzata con 5/6 tavoli e il barbecue. Quest’area è facilmente raggiungibile con una piccola camminata (10/15 minuti dal Santuario) immersi nel verde.

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Per chi invece non vuole rinunciare agli scarponi da montagna, vi suggeriamo 3 aree attrezzate che troverete dopo semplici trekking!

Al Passo della Presolana scopriamo una delle aree “riservate” ai più piccoli: Castello Orsetto, un bello spiazzo in mezzo ad un rigoglioso bosco. Questo breve trekking (35 minuti con partenza dall’Albergo Alpino) è molto semplice e adatto ai bambini, che, al termine della passeggiata potranno gustare il pranzo seduti su morbide coperte o sui tavoli attrezzati, mentre mamma e papà potranno dilettarsi nella preparazione di golose grigliate sui barbecue a disposizione.

Restiamo al Passo della Presolana e, con il sentiero 315, raggiungiamo il Rifugio Baita Cassinelli. Famosa per essere stata protagonista del World Guiness Record “L’abbraccio della Presolana” nel 2017, la Baita Cassinelli dispone di 4/5 tavoli con panche dove gustare il Pic-Nic ammirando la Regina delle Orobie.

Rivivi le emozioni del 9 luglio dall’elicottero della giuria

Ci spostiamo ora sui prati del Monte Pora, dove raggiungiamo il Rifugio Magnolini. Prima di mangiare nell’area attrezzata con 3/4 tavoli, saliamo in cima al Monte Alto e ammiriamo lo spettacolare panorama che si apre davanti a noi: il Lago d’Iseo dall’alto con la preziosa Montisola. Dopo pranzo potrete concedervi un meritato momento di relax tra un pisolino, una partita a carte e un caffè.

Un post condiviso da Federica Sozzi (@federicasozzi) in data:

I Pic-Nic a Castione della Presolana quest’estate saranno un’esperienza divertente a cui non potrete rinunciare! Arricchite la vostra giornata partecipando a uno dei tantissimi eventi organizzati da Visit Presolana!

Scopri tutti gli eventi a Castione della Presolana
cliccando qui!

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Fiumenero, nel canyon-parco giochi il toboga l’ha scavato l’acqua nella roccia https://www.valseriana.eu/blog/fiumenero-nel-canyon-parco-giochi-il-toboga-lha-scavato-lacqua-nella-roccia/ Mon, 07 May 2018 14:06:37 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=27873 Il toboga è uno scivolo acquatico che ha fatto la fortuna di moltissimi parchi acquatici. Scivoli progettati e realizzati con materiali plastici per far compiere discese mozzafiato prima di tuffarsi in una vasca.

Un’emozione forte, ma probabilmente neppure lontanamente paragonabile con quella che può offrire un toboga naturale, scavato dall’acqua fra le rocce di un canyon. Un’emozione destinata a crescere e moltiplicarsi fra una serie di tuffi in pozze cristalline e un trekking acquatico per raggiungere l’inizio della “forra”, una strettissima gola stretta tra ripide pareti rocciose. Praticamente l’inizio di un vero e proprio bellissimo Canyon da “vivere” fra calate, tuffi ripetibili, disarrampicate e scivolate.

È quanto offre una giornata di Canyoning a Fiumenero, piccolo borgo a pochi chilometri da Valbondione, gioiello naturalistico in alta ValSeriana dove le pozze sono profonde e l’acqua cristallina, l’ambiente è selvaggio e il divertimento “assicurato”.

PRENOTA SUBITO LA TUA GIORNATA DI DIVERTIMENTO!

In particolar modo proprio per chi decide di fare canyoning, provando l’ebrezza di scendere lungo uno scivolo di 20 metri scavato da madre natura, unico nella valle, che conduce al calderone, la grande pozza ribattezzata anche la “sala dei tuffi” dove si possono affrontare salti da altezze fra i due e i quindici metri.

 

Canyoning a Fiumenero - Toboga Canyoning a Fiumenero - Toboga - 2 Canyoning a Fiumenero - Toboga - 3 Canyoning a Fiumenero - Toboga - 4

Un’avventura che si può vivere da maggio a ottobre (tempo permettendo) a un costo a persona di 60 euro che comprende il noleggio completo del materiale, l’assicurazione Rct, l’accompagnamento da parte delle guide alpine.

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5 ciaspolate da non perdere https://www.valseriana.eu/blog/5-ciaspolate-non-perdere/ Fri, 02 Feb 2018 11:36:13 +0000 https://www.valseriana.eu/?post_type=blog&p=26514 Trascorrete una giornata indimenticabile in compagnia degli amici o di tutta la famiglia lungo i tanti percorsi disponibili da esplorare ciaspole ai piedi!

Oltressenda Alta – Baite del Moschel
Partendo dall’antico borgo di Valzurio, potrete godervi una passeggiata immersi in una folta pineta. Da qui raggiungerete poi i bellissimi pascoli del Moschel e ammirerete un ambiente incontaminato e selvaggio. Una passeggiata con le ciaspole in ValSeriana adatta a tutta la famiglia per godere di splendidi paesaggi.
Leggi di più…

Schilpario – Campelli
Partendo dalla località Fondi, nei pressi delle miniere, questa escursione con le ciaspole è adatta a tutti e vi condurrà alla scoperta della natura incontaminata della Val di Scalve. Paesaggi innevati vi aspettano per immergervi in un mondo fatato! I più allenati potranno inoltre proseguire fino a raggiungere la vetta del Monte Campioncino, a 2102m di altitudine.
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Scopri dove noleggiare ciaspole e sci d’alpinismo

Spiazzi di Gromo
2 itinerari totalmente dedicati e martedì-giovedì-venerdì
sera rifugio Vodala aperto fino alle 22.00.
Per informazioni: www.spiazzidigromo.it – 0346.47079

Ciaspolate in ValSeriana

Lizzola – Valbondione
2 itinerari totalmente dedicati e una sera alla settimana
rifugio aperto.
Per informazioni: www.turismovalbondione.it – 0346.44665

Monte Pora – Castione della Presolana
1 itinerario da Località Vareno.
Per informazioni: www.presolanamontepora.it – 0346.65000

Colere
1 itinerario che conduce al Rifugio Albani
da Loc. Carbonera.
Per informazioni: www.colereski.it – 0346.54192

 

Percorsi consigliati a ridosso delle piste da sci:

1. Spiazzi di Gromo: 2 itinerari totalmente dedicati e martedì-giovedì sera con rifugio Vodala aperto fino alle 22.00. Per informazioni: www.spiazzidigromo.it – 0346.47079
2. Lizzola: 2 itinerari totalmente dedicati e una sera alla settimana rifugi aperti fino alle 22.30. Per informazioni: www.lizzolasci.it – 0346.44090
3. Monte Pora: 1 itinerario da Località Vareno.
Per informazioni: www.presolanamontepora.it – 0346.65000
4. Colere: 1 itinerario che conduce al Rifugio Albani da Loc. Carbonera.
Per informazioni: www.colereski.it – 0346.54192

 

Altri percorsi per SciAlpinismo e ciaspole in ValSeriana

SciAlpinismo e ciaspolate al Passo della Manina
SciAlpinismo e ciaspolate al Pizzo Formico
SciAlpinismo e ciaspolate al Passo del Branchino
SciAlpinismo e ciaspolate alla Baita alta d’Agnone
SciAlpinismo e ciaspolate al Monte Grem

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