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Fra ingegno e maestria

A Clusone il magnifico Orologio Planetario, a Napoli i gioielli barocchi che ammantano la città: Pietro e Cosimo Fanzago, creatori di meraviglie senza fine.

Quattro secoli e mezzo, scanditi da un orologio, che a Clusone, dal 1583, ancora funziona con cronometrica precisione. Il celeberrimo Orologio Fanzago è senza dubbio icona riconosciuta della cittadina adagiata sull’Altopiano.

Il quadrante dell’Orologio è stupefacente, non solo per le decorazioni assolutamente pregevoli, ma anche perché il cerchio esterno rivela delle sorprese: è diviso non nelle classiche 12 parti, ma in 24 e le lancette girano in senso antiorario. Le particolarità non finiscono qui: osservandolo attentamente è possibile leggere informazioni sul segno zodiacale, sul giorno, sul mese, sulle fasi della luna e del sole nonché sulla durata delle ore di luce e di buio.

Molto ci dice il distico (sopra il quale troviamo oltre alla firma “PETER FAN.GO OPER.F.INGENS”, cioè Opera grandiosa di Pietro Fanzago, la data di esecuzione: “1583”) sotto la “mostra” dell’Orologio: “SIDERA VIX ALII OSCURA RATIONE MOVERI: FANZAGUS MANIBUS, LUMINIBUSQUE PROBAT”, ovvero “Alcuni a fatica credono che le stelle si muovano per oscura ragione: il Fanzago lo prova con le sue mani e il suo intelletto”.
Pietro Fanzago riassume così gli intenti scientifici che lo hanno portato a progettare e costruire quell’Orologio planetario. Pietro Fanzago, è noto per le sue opere di ingegneria meccanica, ma deve la sua fama senza dubbio proprio all’Orologio planetario di Clusone, l’unico che egli progettò e costruì. La peculiarità dell’Orologio non deriva solo dall’essere uno dei più antichi del genere ancora funzionante, ma anche dalla relativa semplicità con cui è stato realizzato il suo meccanismo, in armonia col movimento del Sole, della Luna, della Terra e delle costellazioni dello Zodiaco.
Con un’unica lancetta l’orologio indica (in quanto anche i 3 dischi concentrici ruotano): le ore, i giorni, i mesi, i segni dello zodiaco, la posizione del sole e della luna e la durata delle ore di sole e di buio. L’unico fisso è il disco più esterno delle ore (del diametro di m. 3,50).

L’opera fu conclusa nel 1583. Non stupisca il fatto che Clusone potesse permettersi non solo un orologio, ma addirittura un “impianto” astronomico: ai tempi, il paese era ricco per i commerci e i traffici, legati soprattutto a Venezia ed al Nord Europa, su una delle cui direttrici il borgo si trovava. Clusone, inoltre, godeva di uno status speciale nei confronti della Serenissima, avendo un certo grado di autonomia, sancito nei propri statuti, per dirimere questioni che non fossero di massima importanza. Clusone quindi ebbe, sotto la Repubblica Veneta il suo periodo di maggiore splendore artistico, culturale e commerciale, nonché una grande prosperità economica.

Pietro Fanzago (zio dell’architetto Cosimo) era figlio di Antonio Marino, valente fonditore (aveva fuso, tra tante, le campane del Campanone di Bergamo) e discendente di una delle famiglie più antiche e insigni di Clusone che vantava uomini di scienza e di cultura, diplomatici, letterati, medici, artisti, meccanici, architetti e ingegneri nonché, come dicevamo a proposito di Antonio Marino, validi fonditori di metalli. Pietro, in qualche modo erede dell’arte paterna (a lui si deve certamente la fusione di molte campane non solo in provincia di Bergamo), si distinse comunque per le sue opere di ingegneria meccanica e in particolare per gli studi di matematica e ingegneria. Gli fu per questo commissionato l’Orologio Planetario da collocarsi sull’antica torre dell’orologio (la cui probabile data di costruzione, il 1008, coincide con quella del completamento dell’attiguo Palazzo Comunale).

La nuova “razza” (così erano chiamati i grandi orologi da torre, il termine derivava da raggio che indicava la lancetta che, tipicamente, negli orologi pubblici tardomedievali e rinascimentali era costituita da un raggio di maggiore lunghezza rispetto ad un sole centrale o, come nel nostro caso, da un’asta che portava un disco metallico raffigurante un sole) andava a sostituire quella esistente “quasi che rotta”; sulla torre quindi esisteva già un orologio, probabilmente molto più piccolo e senza la “mostra”. A completare la facciata della torre, in armonia con la “mostra” dell’orologio furono eseguiti pregevoli affreschi. La semplicità di tutto il complesso meccanico dell’Orologio è il frutto di geniali calcoli di matematica, meccanica e astronomia condensati in un unico gioiello rinascimentale. In realtà, come scrive Giulio Bonandrini nel volume “L’orologio planetario di Clusone” del 1983, pochi sanno che l’orologio subì varie modifiche nel corso del tempo. Va detto che il Fanzago non poteva averlo costruito nel 1583 così come lo si osserva ora. Le modifiche più importanti furono apportate verso la fine del Seicento, e, tra esse, la sostituzione del bilanciere (la parte più importante del meccanismo) con il pendolo; a queste seguirono tutta una serie di altre modifiche che si conclusero verso la fine de Settecento. L’orologio ha un’autonomia di circa trenta ore, occorre perciò provvedere giornalmente alla sua carica; quando l’orologio rimane fermo per qualche ora o addirittura per qualche giorno, non è sufficiente caricarlo, ma occorre anche registrarlo, così da far recuperare alla “mostra” tutto il tempo perduto nel periodo in cui è rimasto fermo. Con questa manovra manuale si riportano dunque nella giusta posizione l’ora, il mese, lo zodiaco, la lunghezza della notte, le fasi lunari e la relativa età della Luna espressa in giorni lunari.

La “mostra” o quadrante dell’Orologio

Comprende un quadrato più esterno (la “Rosa del Venti”) e, al suo interno, l’“Anello Orario” che a sua volta contiene la “mostra” vera e propria o “Quadrante dell’Orologio”. La “mostra” intesa come quadrante ha una parte mobile composta da due corone circolari concentriche e da un disco, parzialmente sovrapposti l’uno sull’altro. Si muovono in senso antiorario. Il terzo disco, a differenza degli altri, che hanno uno spessore di pochi millimetri, ha uno spessore di 4 centimetri. Al suo interno troviamo ingranaggi sostenuti da speciali supporti ed un sottile disco di rame dorato che serve ad indicare le “lunazioni”.
Prima corona circolare” è la maggiore della “mostra” ed è divisa in tre fasce circolari: nella prima (la più esterna) sono segnati i mesi dell’anno; la successiva (concentrica) raffigura i segni dello zodiaco, la terza, la più interna, in nero (in quanto vuole rappresentare la notte) presenta numeri romani che vanno dall’VIII al XV e indica la durata in ore della notte.
La “Seconda corona circolare” concentrica regge l’“Indice maestro” che segna le ore, i mesi, la lunghezza della notte, la posizione del Sole nello Zodiaco e, di conseguenza i Solstizi e gli Equinozi e l’inclinazione dei raggi solari verso la Terra nel corso dell’anno. Il “Terzo disco”, posto al centro della “mostra” (quello che ha uno spessore di 4 centimetri) gira anch’esso in senso antiorario, ha due piccole frecce che indicano: il firmamento celeste (di colore celeste), gli “aspetti” (le varie linee rette in oro che raggruppano stelle e pianeti o gruppi di costellazioni), la Terra (una stella ad otto punte al centro del disco) e la Luna rappresentata da una finestrella circolare sul lato destro del disco. Le due piccole frecce sul bordo del disco segnano l’una i giorni dell’età della Luna e l’altra i giorni della Luna calante.

Tutto il sistema è in relazione al firmamento o alle costellazioni rappresentate dai segni zodiacali.

La rosa dei venti (il quadrato più esterno che racchiude la “mostra”)

Anzitutto cerchiamo di capire come l’Orologio è stato posto nei confronti del Sole, della Luna, della Terra e di tutti gli astri. Guardando la grande “mostra “ dell’Orologio l’osservatore trova davanti a sé il punto cardinale Nord (“Tramontana- Borea Nord”) come si legge in alto; nella parte opposta il Sud (“Ostro Mezzodì”) a destra Est (“Levante-Oriente”) a sinistra Ovest (“Ponente-Occidente”). L’affresco che racchiude la grande “mostra” riproduce otto teste alate che sembrano soffiare verso il centro, ossia verso la Terra. Ai quattro venti principali si aggiungono i quattro collaterali: “Greco, Maestro Garbino e Scirocco”. La riunione al centro è “La Rosa dei Venti”. L’affresco voleva dunque offrire all’osservatore le coordinate riferite ai venti principali; purtroppo nel corso dei secoli anche questa parte affrescata ha subito manomissioni, ritocchi e sovrapposizioni. Gli affreschi originali posti sotto la “mostra”, Garbino, Ostro e Scirocco, sono stati riportati alla luce grazie ai restauri effettuati nel 1973.

L’anello orario (al centro del quadrato esterno e concentrico al quadrante)

La grande fascia bianca è detta “anello orario” e porta, segnate con numeri romani le 24 ore del giorno ed è l’unica parte fissa di tutta la “mostra”. Ha una larghezza di 71,5 centimetri. A circa metà della freccia, o “indice delle ore”, troviamo una piccola faccia raggiante di rame sbalzato dorato che rappresenta il Sole. Tutto il complesso fa riferimento al SENSO ANTIORARIO secondo un ciclo che dura le 24 ore del giorno. Fanzago ha realizzato il suo Orologio con il movimento antiorario in modo che il grande “indice” segnasse idealmente in ogni momento la posizione del Sole. Dopo la realizzazione del Planetario, la fama di Pietro Fanzago giunse fino a Venezia e si pensò a lui per riparare l’orologio posto sulla torre di Piazza San Marco, realizzato nel 1493 dai fratelli Ranieri di Reggio Emilia. Essendosi reso conto dell’abilità di Pietro, in seguito, il Senato Veneto gli chiese di risolvere l’eterno problema della pulitura del fango dalla laguna e dai canali. La macchina che progettò, il “cavafanghi” può ritenersi l’antenata delle moderne draghe. La notorietà di Pietro Fanzago e la sua particolarissima attività hanno destato la fantasia dei valligiani perchè più di una leggenda, che lo riguardava si diffuse in Valle. Si raccontava, con stupore, che il Fanzago avesse costruito una colomba che, caricando una molla, si metteva a volare… Alla sua morte, il 3 gennaio 1589, Pietro lasciò due figli, Antonio Marino e Ventura. “Ambedue continuatori della tradizione artistica del padre, lavorarono a lungo insieme mantenendo la consuetudine di apporre tutti e due i nomi sui bronzi da loro creati, come risulta dalle opere ancora esistenti specialmente nel Bergamasco”.

 

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