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Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze

Roccolare, arte senza tempo

Alla scoperta dei roccoli di montagna, scrigni senza tempo dell’arte dell’uccellagione: natura, amore, passione.

Avvicinandoci a un roccolo, non possiamo che notare due cose fondamentali: la struttura a forma di torre detto casello, ricoperta di erbe e rampicanti mimetici, e l’arco di alberi in doppio filare detto tondo, solitamente semicircolare o a ferro di cavallo. Si  tratta di veri e propri presidi di storia e tradizione, “luoghi del cuore” per un’attività che ha permeato la socialità stessa della ValSeriana e della Val di Scalve. L’uccellagione è stata per secoli fonte di sostentamento alimentare, poi divenuta pratica regina per la cattura di richiami vivi utili ai cacciatori. Le origini risalgono all’epoca medioevale ed è un’attività tramandata di generazione in generazione fino ai giorni nostri.



DIVERSI TIPI DI ROCCOLO

Esistono svariati tipi di roccolo: con casello in legno o pietra, normalmente di piccole dimensioni, disposto su quattro o cinque livelli. Si trovano tutti in posizioni dominanti, con uno o più archi arborei collegati al primo per permettere una più adeguata cattura degli uccelli. Le cime degli alberi si uniscono in una volta detta sigalér fatta di rami e fronde. Spesso definita arcunada, è un impianto che costituisce un vero e proprio monumento arboreo. A tal proposito si parla spesso di “architettura di montagna”: nonostante i mutamenti delle finalità e delle funzioni degli impianti, il roccolo rimane infatti un elemento tipico del nostro paesaggio rurale.

Nel tempo, i roccoli sono divenute postazioni con funzioni di censimento dell’avifauna, spesso collegate ad attività scientifiche e di ricerca. Gli uccellatori sono dotati di un apposito patentino per la gestione dei roccoli, rilasciato dall’ISPRA di Bologna. Sono muniti di richiami vivi e registri su cui annotare tutti gli uccelli inanellati. La cattura avviene solitamente da settembre a dicembre, specialmente la mattina. «Per la verità si inizia a preparare il roccolo già in agosto. – spiega Pietro Ludovico Guana proprietario del roccolo Selvadagnone di Valgoglio e attivo in questo campo da più di quarant’anni -. Ci vuole pazienza. Io e mio fratello Giansandro portiamo avanti questa passione con costanza, non sa quanto tempo ci si impiega a potare gli alberi, a stendere le reti, a creare le condizioni per compiere un buon lavoro. Avevo dieci anni quando mi sono approcciato per la prima volta all’uccellagione, ma quante cose sono cambiate da allora».

Roccolo Selvadagnone

La domanda di Vico, «lei lo sa, signora, come si fa a roccolare?», poi arriva perentoria. «Quando si avvicinano gli uccelli al casello, incuriositi dal canto dei richiami, dalla sommità il roccolatore lancia lo spauracchio, visto dai volatili come un rapace. A quel punto gli uccelli tentano una fuga a volo radente dove vengono intercettati dalle reti». La mia banale spiegazione rende l’idea dell’operazione, certamente più complessa e meno meccanica. «Gli uccelli non sono stupidi», sorride Guana. Una volta tolti dalle reti, gli uccelli vengono inanellati e registrati. Alcuni vengono liberati, per studiare i flussi migratori, la maggior parte vengono distribuiti nei centri di raccolta come richiami vivi per i capanni fissi.

STORIE DI PASSIONE E NATURA

Dal 2017 la pratica dell’uccellagione è vietata e già da una decina d’anni sono stati imposti dei limiti numerici sulle specie catturabili, perlopiù merli, cesene e tordi. «Ognuno è libero di pensarla come vuole, – spiega Vico – ma questo divieto non fa bene al territorio. Pensi che ora Regione Lombardia ha messo alcuni incentivi per la manutenzione di roccoli e trovo sia un controsenso mantenere intatti gli impianti arborei e vietare nel contempo l’attività per cui sono stati costruiti». Le normative e il mutato approccio rispetto a questa attività di montagna (una vera e propria arte) porteranno inevitabilmente a un abbandono massiccio delle strutture.

Turisti al Roccolo Magret

A tal proposito, Monica Dentella, insegnante di professione nonché proprietaria del roccolo del Magret ad Aviatico, racchiude in tre parole ciò che per lei rappresenta il roccolo: passione, natura e amore. «La storia dei roccoli nella Bergamasca è la storia di tante famiglie come la mia, degli affetti vissuti in quel contesto. La natura è l’ambiente in cui il roccolo si costruisce, in mezzo alle nostre montagne; l’amore è la passione che il roccolatore mette nel creare queste cattedrali verdi». Aggiunge: «Continuiamo a tener pulito e intatto l’impianto arboreo, ma ormai ci andiamo poco perché non ci interessa la caccia da capanno. L’uccellagione era per noi un momento di festa, era bello stare in compagnia e sentire il canto dei tordi, in estate aprivamo il roccolo ai turisti incuriositi. Non credo però che l’attività didattica possa svilupparsi adesso, con roccoli non più funzionanti».

La Clusorina Schilpario

Fra il 1950 e il 1969, in Lombardia erano in funzione più di mille roccoli e circa trecento erano in provincia di Bergamo. Poi ci fu un’interruzione per una ventina d’anni. Dal 1980 nuove disposizioni permisero una ripresa dell’uccellagione con attività nelle due valli per una ventina di roccoli, gradatamente scesi nel 2015. Guido Giudici, proprietario del Roccolo La Clusorina a Schilpario, in Val di Scalve roccola dagli anni ’80. Vive per quell’angolo di paradiso. Il panorama, incantevole, si affaccia sul Monte Tornone, sul Pizzo Tornello, sulle Valli del Vò e del Venerocolino. «Io continuo a frequentare il Roccolo, sono anche cacciatore da capanno, ma è innegabile l’ostilità che si è venuta a creare contro gli impianti di cattura. Le normative si son fatte stringenti, già da anni i prelievi possibili agli impianti autorizzati sono diminuiti e anche per i capannisti le specie sono state ridotte. Ormai tanti roccoli sono stati riqualificati e riconvertiti a uso abitativo».

E allora che resta, dottor Giudici, se non si può far più niente? «Resta la passione, resta il territorio, resta la “malattia”. Sa, è proprio questo… i roccoli sono una malattia incurabile!».

E, detta da un medico, è semplicemente una verità.

Articolo di Claudia Manera per VALSeriana & Scalve Magazine – primavera 2020