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Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze

Lola, una vita in salita: col sorriso

Eleonora Delnevo, dalla ValSeriana alla vetta di El Capitan nello Yosemite Park. Quando la gioia vince ogni sfida.

Basta una finestra, a volte, per cambiare tutto. Prospettive e angolazioni,
ma anche vita. La vita di Eleonora Delnevo, per tutti LolaMi chiamano così sin da piccola perché non riuscivo a dire il mio nome e dicevo semplicemente “Lola”»), è effettivamente cambiata davanti a una finestra. O quasi.

Mentre parla, ogni tanto si gira e osserva gli alberi mossi dal vento fuori dalla grande vetrata del salotto, che occupa un’intera parete della sua nuova casa di Albino. Lei non è mai stata una ragazza della Bassa. Ci è nata, ci ha vissuto a lungo, ma «la ValSeriana è sempre stata parte di me. Qui venivo ad arrampicare, qui avevo i soci con cui giravo per le montagne. Sono una valligiana mancata e mi hanno adottata praticamente».
Ora che valligiana lo è per davvero, sorride davanti a quel panorama che le regala serenità. «Quando sono riuscita a vendere la vecchia casa, mia madre mi fa: “Ma non ti dispiace un po’?”. Zero proprio. Anzi, avrei voluto e dovuto farlo prima, ma ero sempre in giro e non mi decidevo. Giù, tra le nebbie in inverno e il caldo soffocante in estate, non ne potevo più. Conoscevo già tanta gente qui, era casa anche prima che comprassi casa. Volevo un posto dove potessi vedere qualcosa dalla finestra e che mi permettesse di uscire senza per forza prendere la macchina. Poi non lo faccio tantissimo, in realtà sono un po’ lazzarona…».

Lazzarona, lei. Lei, che va in kayak; lei, che più della metà della sua vita l’ha passata a scalare montagne; lei, che anche in carrozzina e senza poter muovere le gambe dopo un tragico incidente avvenuto in montagna nel 2015 ha scalato la parete più ardua e mitologica del mondo, El Capitan. Lazzarona, come no. Glielo si fa notare, lei ride. «Che ti devo dire: scalare montagne e viaggiare per fiumi ok, per il resto sono una vera pigrona…». Sarà, ma a vedere i muscoli delle braccia e il viso abbronzato dal sole dei monti
non si direbbe. Però le crediamo. Perché arrampicata e kayak, per lei, non sono uno “sforzo”, sono semplicemente l’essenza, il tutto, «l’istinto primordiale» come lo definiva Walter Bonatti.
«Istinto? Sì, mi piace. È vero. Per me era normale scalare, immergermi nei boschi e poi salire le pareti. Mi piaceva tutto». Usa il passato. «Mi piace ancora, tantissimo. Ma è un’altra cosa. Piaccia o meno, nelle mie condizioni non posso più arrampicare. Posso fare tante cose, ma diverse. Non posso pretendere che mi portino tutti i mesi a scalare El Capitan. È bellissimo, lo rifarei domani, soprattutto con le persone giuste, ma non è arrampicata. Non è uno sport per disabili in carrozzina».

Eppure Lola, anche senza l’uso delle gambe, ha compiuto un’impresa
che solo i più grandi sono riusciti a compiere, ovvero scalare la montagna più famosa dello Yosemite National Park (Stati Uniti), il posto dove, di fatto, l’arrampicata come la conosciamo oggi è nata. Lola lo ha fatto con la stessa leggerezza con cui è sempre salita in montagna, con cui ha scalato dieci, cento, mille volte la Grigna. Leggerezza, non superficialità. Col sorriso di chi adora le cose semplici e non si aspettava certo il clamore che è seguito alla sua impresa, realizzata insieme agli amici Mauro “Gibe” Gibellini, Diego Pezzoli e Antonio Pozzi. Ci aveva già provato nel 2016, ma quella volta era andata male: «Dovevamo essere in quattro anche quella volta, ma rimanemmo in tre. Abbiamo voluto provare comunque, ma eravamo troppo lenti. E allora siamo scesi». Messa così, potrebbe sembrare che scalare El Capitan rappresentasse un po’ l’ossessione di Lola e i suoi amici, ma non è corretto.
«In realtà il tentativo, poi andato a buon fine, del 2018 è nato per caso. Il Gibe si è sposato e con sua moglie è andato in viaggio di nozze negli Usa. È stata loro l’idea di dedicare l’ultima settimana del loro viaggio a El Capitan. Io e gli altri ci siamo imbucati, diciamo».

Nessuna ossessione, nessuna impresa. «Il clamore ci ha stupiti perché, francamente, per noi era normale. Certo, quella è una montagna mitica e la via che abbiamo scalato noi, la Zodiac, ha una storia. Ma alla fin dei conti abbiamo fatto quello che avevamo sempre fatto: raggiungere una montagna e salire in vetta».
Senza gambe, però, è un po’ diverso…
«Sì, è vero. Soprattutto per la logistica. Ma non mi piace quando mi dicono che per quello che ho fatto sono un esempio, un modello. Non mi ci rivedo in quei panni. Fa piacere, ok, ma io penso che se si vuole fare qualcosa, basta avere la volontà. Poi il “come” arriva da sé».

E la volontà, a Lola, non manca di certo. Non tanto per come ha affrontato l’incidente e la disabilità («Anche involontariamente, le prove affrontate in montagna credo mi abbiano permesso di girare pagina in fretta. Ti porti dentro talmente tante esperienze che, alla fine, reagire ti viene spontaneo»), quanto per come ha deciso di percorrere la vita: sempre in salita. Quasi per scelta, più che per necessità: «Salire è bello. Faticoso, ma anche appagante. La salita è figa. Il problema, semmai, è la discesa…». Lei in discesa non ci vuole andare. E
così, quando ha capito che l’arrampicata non faceva più per lei (o quasi), si è messa in acqua.
Una nuova sfida, una nuova salita.
«Ci ho messo un anno ad abituarmi al kayak, ma ora me la cavo. Mi piace perché anche in questo sport sono all’aperto, in mezzo alla natura, immersa nel mondo “vero”. È molto diverso dall’alpinismo: in montagna sei tu che detti il tempo, il ritmo. Se ti vuoi fermare puoi farlo. Sul kayak invece devi assecondare la corrente, ascoltarla e capirla. È tutta un’altra cosa. Cambia proprio l’approccio mentale».

«Sì, salire mi piace. Come vedi, alla fine sono salita anche in Valle finalmente», dice alla fine sorridendo. E guardando nuovamente fuori dalla grande finestra del salotto. Viene spontaneo allora chiederle cosa vede
quando guarda oltre la vetrata. «La gente, innanzitutto. La ValSeriana, per me, è le persone che ci vivono, quelle che mi hanno fatto innamorare di lei con il loro temperamento e la loro umile gentilezza. E poi… vedo la Presolana, dove c’è la Baita Cassinelli, la mia preferita. Ci andavo anche da sola, in settimana. Sono posti dove ti metti lì e basta, spegni tutto e sei in pace col mondo. Certo, possono migliorare tante cose eh. Pochi, ad esempio, hanno il coraggio di investire davvero sulle bellezze della ValSeriana. Io dico sempre che dovremmo aprire i sentieri, gli hotel, le funivie. Dovremmo aprirci al mondo, investire su noi stessi e le nostre ricchezze. Solo così riporteremo la gente sulle montagne. Ti faccio un esempio: il Chicco e la Sandra. Sono i due ragazzi che gestiscono il Rifugio Albani. Da quando ci sono loro è sempre pieno. Si sbattono un sacco, propongono iniziative, ma soprattutto sorridono e ci sanno fare con le persone. Piccole cose, semplici, che però rendono speciale la giornata e il posto. Fidati, un sorriso vale più di mille eventi mondiali da record. Così porti le persone in montagna: col lavoro e la simpatia, con la fatica e la semplicità».

Mica facile, una strada tutta in salita. Ma ce lo ha insegnato proprio Lola: la salita è una figata; il problema, semmai, è la discesa…