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San Patrizio uno splendido…vizio

A Colzate l’antico Santuario domina la ValSeriana, fra antiche devozioni e incredibili tesori d’arte

«Vicino ad una Chiesa ovver romitorio, chiamato S.Patrizio» sarebbero state trovate qualche secolo fa pietre particolari, grosse circa come una castagna, «che portate adosso giovano a chi patise di milza mirabilmente…». Così sostiene curiosamente un frate “capuccino infermiero” della provincia di Brescia, frà Felice Passera di Bergamo, nel suo “Il nuovo tesoro degl’arcani farmacologici galenici, e chimici, ò spargirici” del 1688, attribuendo a qualche innocuo sassolino poteri curativi per coloro che  avevano problemi alla milza.
Uno spunto che, come molti altri, spinge a verificare il motivo per cui il santuario di San Patrizio presso l’abitato di Colzate possa aver attratto tante leggende, credenze e persino un così inconsueto padrone di casa, San Patrizio appunto.
La discreta quanto imprescindibile presenza di questo luogo in ValSeriana (la sua sagoma stilizzata è parte dello stemma della Comunità Montana) dice di una presenza antica, radicata nella percezione e nella devozione degli abitanti.

«Chi fà ü gir intùren a San Patrésse
(o Patrizze) a l’ pèrd töcc i
ésse» (trad.: chi fa un giro attorno
a San Patrizio perde tutti i vizi)

É il celeberrimo adagio che in ValSeriana ricorda l’ardita collocazione del Santuario su di uno sperone roccioso… così impervio da provocare la perdita di ogni vizio in chi intenda percorrerlo lungo il suo perimetro.
Il Santuario è quasi un “propileo” che introduce all’Alta Valle, che fa il paio con lo splendido santuario della Ss. Trinità, questa volta in comune di Casnigo, che sorge praticamente allo stesso livello sulla costa che si erge oltre il fiume. San Patrizio è prima di tutto un riferimento chiaro e condiviso nella storia e nella geografia della Valle, con secolari dispute tra vertovesi e colzatesi che avocavano a sé la proprietà o la cura del Santuario.

Il legame tra i seriani e il severo patrono degli irlandesi viene da lontano, si perde nei secoli remoti in cui la produzione laniera spinse gli abitanti di queste valli a cercare lontano le lane migliori o forse quelle più
economiche per il loro lavoro, lassù al nord dell’Europa nella verde isola che un tempo si chiamava Hibernia. E, a sua volta, qualche hibernino dovette trafficare in valle se ancora oggi se ne scorge il rimando in un diffuso  cognome vertovese: Bernini, appunto. Questi legami commerciali portarono
con sé, insieme alla lana, la devozione a un santo pressoché sconosciuto nel resto dell’arco alpino e rarissimo da individuare tra i culti dell’intera latitudine mediterranea.
San Patrizio fu forse un vescovo così franco e incisivo da apparire subito simpatico alle ruvide ma affettuose coscienze dei valligiani del Serio.
Detti, leggende, usi e costumi hanno trovato eco tra le ariose arcate del santuario almeno quanto la fede e la devozione verso l’Evangelizzatore
d’Irlanda, che in questo luogo hanno favorito l’ispirazione di autentici capolavori d’arte e architettura.

Impervio, isolato e misterioso è questo luogo, che non poteva non essere dotato di un pozzo profondissimo, eco forse della celebre architettura idraulica di Orvieto (costruita da Antonio da Sangallo il giovane nel XVI secolo su richiesta di Papa Clemente VII) ma anche delle leggende legate
alla profonda caverna posta su un isolotto irlandese del Lough Derg (Donegal). Questo antro sarebbe stato indicato da Cristo a San Patrizio per consentirgli di mostrare le pene dell’Inferno ai fedeli più increduli che vi fossero entrati fin nelle profondità della terra. Culti antichissimi, che parlano di penitenze e romitaggio, tradussero tra queste rocce l’antica religiosità pagana nella fede cristiana della nuova era, una fede nel Dio trinitario che proprio San Patrizio illustrava ai Celti attraverso un trifoglio.
Sfogliandone i petali, infatti, dimostrava come le tre foglie originanti da un unico stelo fossero immagine delle tre Persone Trinitarie riunite in un unico Dio.

Il trifoglio oggi è il simbolo nazionale dell’Irlanda e il suo colore, il “verde trifoglio”, è la gradazione di verde usato anche nella bandiera nazionale e per questa ragione viene chiamato anche “verde irlandese”.
I lunghi secoli della devozione cristiana portarono nuove consuetudini in questi luoghi come quella dei Michini di San Patrizio che da tempo immemorabile vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Questi michini benedetti venivano conservati in ogni casa e consumati in occasione di malattie o malesseri occorsi sia a persone che ad animali. Secondo la tradizione orale il “pane dei miracoli” o “pane di San Patrizio” veniva cotto in un rudimentale forno a legna, ancora esistente nell’area sottostante al Santuario. É utile sapere anche che il giorno della vigilia della festa di San Patrizio, a seguito di un lascito, la locale Congregazione della Carità distribuiva gratuitamente una michetta a testa a tutti gli abitanti della parrocchia di Vertova. Queste michette, assieme alla tradizionale
“schisciada” (ovvero una tipica focaccia), erano il principale alimento della colazione nel giorno di festa al Santuario. Questa consuetudine venne interrotta durante la prima guerra mondiale e solo recentemente è ripresa grazie all’impegno di tanti volontari.

Poco sotto il Santuario, sorge una fonte, ornata con un fregio in pietra arenaria, ove compare anche la data di realizzazione: 1628.
L’immagine di San Patrizio, oggi parzialmente consumata dal tempo, sembra benedire l’acqua che vi sgorga. La pratica di bagnarsi gli occhi e di segnarsi con l’acqua della “fontanina”, che ancora oggi qualche devoto pellegrino non ha abbandonato, si perde nei tempi antichissimi, quando l’antica strada era frequentata da diversi viandanti perché si collegava con la Valle del Riso e con l’alta ValSeriana, oltre che essere, in certi momenti storici, più sicura di quella a valle lungo il corso del fiume. Sembra che in passato ci si bagnasse gli occhi dopo aver asperso d’acqua quelli della statua, probabilmente con riferimento a una leggenda di San Patrizio che, si narra, fosse guarito miracolosamente dalla cecità quando era bambino. L’usanza di bagnare, oltre ai propri, anche gli occhi dell’immagine del santo è da leggersi come segno del desiderio di condividere la sorte benevola e miracolosa toccata al santo.

Vi è poi la fabbrica del Santuario, sobria e solenne, unica nell’architettura di connettivo che unifica diverse fasi costruttive nella percezione di un luogo sospeso a 630 metri d’altezza tra il cielo e la terra e abitato dalle correnti d’aria che si fanno spazio sotto le arcate panoramiche.
Accedervi a piedi, attraverso l’antica mulattiera che parte da Vertova (via S. Patrizio-zona Cereti) e si congiunge con quella che sale da Colzate (via S. Patrizio), è una vera e propria esperienza dello spirito.

Si ignora l’epoca precisa in cui fu eretto il primo nucleo del Santuario, ma notizie documentate si hanno a partire dall’anno 1281.
Gli studiosi sono concordi nel far risalire la costruzione della prima cappella nel luogo dove, nel 1628, venne realizzata l’edicola ancora esistente con la fonte e la statuetta del Santo.

Ai secc. XIV-XV è fissata la data di edificazione del prezioso sacello o santuario piccolo affrescato poi da Jacopino dè Scipioni nel primo ‘500 con scene della vita e dei miracoli del Santo. Stupisce l’impressionante giudizio universale che sovrasta la piccola abside a forno adornata di una tenera  Natività. Nell’affresco superiore, la Madonna e San Giovanni Battista assistono alla Resurrezione dei morti. Sul blocco dell’altare c’è una piccola Crocifissione venuta alla luce nel corso dei restauri del 1986. L’oratorio è adornato anche all’esterno, ove si trovano altri affreschi quattrocenteschi: un Santo Jesus, una Santa martire non identificata, un gigantesco S. Cristoforo e la bolla delle indulgenze di Papa Alessandro VI (1492- 1503).
Dal 1590 al 1605 venne edificato il Santuario grande in contemporanea con la cappella dedicata a San Lucio, pastore e casaro, dove sul lato a destra vi è una nicchia con un dipinto seicentesco rappresentante San Patrizio e sulle pareti nord e est sono appesi gli ex voto dedicati al Santo. In questo luogo è stato recentemente collocato il curioso presepe che ripropone, per mano degli Amici dl Presepio di Cerete, l’intera fabbrica del santuario.

Dal 1590 al 1625 ebbe luogo l’erezione dei locali circostanti la chiesa: la sacrestia, la stanza del romito, la sala dei reggenti e la sala della Confraternita dell’Angelo Custode. Dal 1695 al 1715 venne completato lo spazio sacro del santuario con la formazione del portico perimetrale e la sopraelevazione del campanile all’altezza attuale. Agli inizi del Seicento risalgono gli affreschi del presbiterio che riguardano i miracoli di S. Patrizio e dei 12 apostoli sulle lesene della navata. Al centro del coro la grande pala di S. Patrizio con S. Mauro, San Gregorio Barbarigo e San Michele Arcangelo.
L’opera fu eseguita nel 1750 da Francesco Cappella e sostituì una tela precedente firmata da Enea Talpino (1611) che venne trasportata nella
Prepositurale di Vertova. Da notare sulla cornice lo stemma del Comune di Vertova con l’immagine dell’antico ponte. Opera del Cappella sono anche gli affreschi della volta.
Tutta la decorazione della chiesa è stata concepita secondo i criteri dell’arte barocca. In una nicchia accanto al presbiterio si può ammirare una maestosa statua lignea policroma di San Patrizio attribuita alla scuola dei Caniana.

Nel 1980 iniziarono i lavori di restauro del Santuario durante i quali è stato riportato alla luce l’affresco dell’arco trionfale raffigurante l’Annunciazione e la Trinità. Ampi spazi inseriti nella struttura del Santuario hanno consentito la collocazione di una taverna che accoglie i pellegrini durante tutto l’anno oltre che l’antica sala dei Sindaci da cui si gode un’impareggiabile vista della vallata. I recenti restauri hanno restituito al piano superiore vaste aree utilizzate per l’accoglienza di gruppi e per gli scopi pastorali del Santuario.


ORARI D’APERTURA
Da lunedì a domenica, tutto l’anno:
13.00 – 17.00
Periodo estivo:
lun – sab: 13.00 – 17.00
dom: 8.30 – 17.00

Articolo di Silvio Tomasini per VALSeriana & Scalve Magazine
Foto di Luciano Rossi e Guido Merelli