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Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze

Esplorando in bicicletta

Un inedito itinerario su e giù per la ValSeriana, fra salite impegnative, paesaggi da scoprire e pedalate interiori.

Una delle mie più grandi passioni è viaggiare in bicicletta. Ho avuto la fortuna di scoprire molti angoli lontani da casa. Ognuno di questi ha arricchito la mia anima ribelle, ma l’ha anche addomesticata. Sì, perché quando vivi un viaggio fino in fondo impari ad apprezzare anche il punto di partenza e la tua casa. La ValSeriana è la mia casa. E vivere qui è senza dubbio una grande fortuna. Come l’ho capito? Ovviamente in sella.

San Lucio – Clusone

Quando pedalo sulle nostre strade immagino di farlo chissà dove, ma capita anche il contrario. Quando la stanchezza ti mette il bastone tra le ruote, chiudi impercettibilmente gli occhi, cerchi un appiglio dentro di te, e torni sempre alle stesse coordinate. L’Alpe d’Huez diventa il Selvino, l’Arthur Pass Neozelandese la sponda scalvina e la salita infernale islandese si trasforma nel San Lucio. Ed è grazie alle salite di casa che in un modo o nell’altro arrivo sempre in cima.

La ValSeriana brulica di industrie e di conseguenza di traffico. Ma c’è una ValSeriana nascosta, che culla i tuoi pensieri dopo giornate di lavoro stressante. Ed è in quel mondo parallelo fatto di angoli d’ombra, viste dall’alto sulla civiltà agitata, faggi e castagni, cappellette degli alpini e santuari solitari, che si nascondono i ciclisti della Valle. Ed è lì che scappo appena posso.

> ISPIRAZIONE  | Boccola – Selvino <

Parto molto presto, come orario e sul calendario. Sono le 6:30 gelide di un 12 marzo, che per me è già speciale. Oggi non ho pretese, solo puntini immaginari da collegare con l’unica matita che segue la mia creatività senza domande. Serve una scintilla per accendere la miccia e riscaldare quest’alba. La trovo ammirando i quadranti del Fanzago, nella quiete dormiente di Piazza Orologio a Clusone. La lancetta del sole mi concede ben 12 ore di luce. Posso andare.

Città Alta – Bergamo

Scendo rapido e indolore la ValSeriana. L’aria frizzante, il traffico blando del sabato mattina e il profumo accogliente del pane caldo riesumano pensieri assopiti da tempo. Bergamo mi accoglie e mi proietta nel mondo dei grandi. Il rinnovato Gewiss Stadium dell’Atalanta grida al sacrificio: “la maglia sudata sempre”. Oggi la mia non lo sarà, così come le quattro paia di calze indossate, ma la fatica di certo non mancherà. L’Accademia Carrara inaugura il festival delle salite. Supero la Chiesa di Sant’Agostino e i primi joggers fino alla chiesa di San Lorenzo alla Boccola. Ed è ciclismo vero. Un piccolo muretto non riesce a separare la mia vista dai dolci pendii di Valverde. E non parliamo dell’embatido spagnolo, perché qui l’asfalto ripido urla un solo nome: Fausto. Tengo le ruote di Masnada, come lui teneva quelle del fenomeno Pogačar all’ultimo Giro di Lombardia, e dopo un arco, scollino in bocca a La Marianna. La bici curva da sola mentre mi godo la vista sulla Città Bassa, che brulica come un formicaio. Meglio fuggire per la via vecchia fino ai prossimi tornanti più dolci ma persistenti.

Da Nembro verso Selvino, l’immenso monumento a cielo aperto al ciclismo bergamasco. Diciannove tornanti che in undici chilometri omaggiano gregari e capitani della nostra terra, umili e caparbi. Il tornante, come un esame di coscienza, ti costringe a rilanciare in piedi sui pedali e a osservare la strada già accumulata nelle gambe, finché non diventa un serpentone di consapevolezza. «Agile agile, sempre agile. Lo scatto tienilo per quando gli altri saranno stanchi», mi ha sempre consigliato Attilio Rota, ex professionista di Clusone, a cui è dedicato il tornante numero 15. «Poche chiacchiere e menare», recitava invece Felice Gimondi. Poco dopo il suo tributo, compare la cresta di Lego colorati di Selvino.

> SANA SOLITUDINE | Cavlera <

Dopo una discesa cauta e fresca da Ganda, sono già ai piedi della prossima salita, che mi piace assai. In poco tempo mi avvolge una bolla di serenità. Certo, nulla è regalato a questo mondo. Cavlera non perdona e ti tassa immediatamente con 100 metri duri di lastricato fino alla chiesa di Santa Maria Assunta. E continua a farlo anche sui primi tornanti d’asfalto con pendenze perennemente sopra al 10%. In poco tempo stai pedalando sui tetti della Vertova bassa, come in un parkour su due ruote e con il fiatone. L’inclinometro legge quasi 20% e il tuo volto si avvicina all’asfalto. Quasi lo respira, e sa di libertà. Libero da quel brusio impercettibile del fondo valle, che sembra già lontanissimo. Qui è un altro mondo, fatto di prati ripidi, muretti a secco, Pandini, arnie e baite in ghingheri antichi. Quando lo pneumatico tocca il cemento grossolano, i pascoli diventano ondulati e dolci. La strada no. Ma quando spiana, i monti aspri si scorgono solo in lontananza e la ValSeriana è “sparita”. Potresti essere ovunque.

> COMPAGNI FEDELI | Bani – Novazza <

Ritrovo la ValSeriana dopo un discesone rincuorante. Come lo sono il secondo paio di copriscarpe che mi porta mio nipote Francesco. Lo è anche il suo ritmo che mi scorta fino a Ponte Seghe di Ardesio. Lo stradone che sale a Valcanale è di un’altra pasta, più aperto e roccioso. Il Monte Secco, il Fop e infine il Pizzo Arera sono presenze imponenti che fanno capolino dietro alla nuvoletta di fumo dei nostri discorsi. Poco dopo la località Albareti, con i suoi venti abitanti (!) e un cuore in pietra custodito da case di villeggiatura, abbandoniamo la strada maestra e torniamo a salire più decisi in direzione nord. I pini e le rocce rossastre di Verrucano Lombardo ci accompagnano nel silenzio dei Bani di Ardesio. Con il cielo grigio e la fame del mezzodì, l’atmosfera acquista la desolazione tipica dei paesini di montagna. Oltre al profumo della polenta che dalla finestra di una cucina avvisa il circondario che è quasi pronto. Noi ci accontentiamo di una bella fontana scavata nella pietra, prima di scorrere velocissimi in un traverso bucolico e quasi incontaminato fino al bivio per le vecchie miniere di uranio di Novazza. Negli occhi la lontana Gromo e la salita ai suoi Spiazzi (questa oggi me la risparmio). Noi pieghiamo a destra e non incontriamo nessuno mentre sfrecciamo a Novazza, frazione di Valgoglio. Hanno tutti i piedi sotto al tavolo.

> GUARDIANI SILENZIOSI  | Valzurio – San Lucio <

Ringrazio Franci, che sfreccia anche lui verso un piatto caldo. Io lo faccio, ma con più calma. Lent ma seguent, mi alzo sui pedali e inforco la salita verso Valzurio. La stanchezza inizia a farsi sentire, ma gli orizzonti di casa vengono in aiuto. Molti anni fa, mi è stato presentato “l’Indiano”, che si cela nel profilo increspato del monte Vaccaro. Come molte cose, solo chi vuole vederlo riesce a scrutare il suo naso pronunciato e la sua fronte che sfuma in un trionfo di piume verde scuro. Sul monte opposto invece c’è una torretta di guardia, che cura gelosamente le pendici del Pizzo Formico e la preziosa fonte di Sales.

Simone con Paolo Savoldelli, Baita Valle Azzurra – Oltressenda Alta

Tutto ciò avviene alle mie spalle, mentre arranco oltre Nasolino, verso la Regina delle Orobie, molto più in là a Nord Ovest. Le mie spalle sono coperte (e spesso non ce ne rendiamo conto), protette da guardiani silenziosi che non chiedono nulla in cambio. Così barcollo ma non mollo, arranco ma scollino. La discesa è stretta, i laghetti azzurri in basso e la chiesetta di Santa Margherita che attende davanti. Quando stamattina ho superato il tornante numero 3 del Selvino, intitolato al Falco Paolo Savoldelli, già pregustavo questo momento. Paolo mi accoglie alla Baita Azzurra con birra media, gnocchetti all’ortica e strudel di Anna. Uno sguardo alle maglie rosa appese e sono come nuovo, più o meno. Ora però gioco veramente in casa. La breve scalata di Senda mi riporta a Clusone, dove mi aspetta la mia salita, il San Lucio. Da 600 a 1000 metri di quota in 4 km di puro sacrificio, alleviato però da qualche scorcio impagabile sull’altopiano di Clusone. I campi verdi e rilassati de La Spessa, che circondano l’agglomerato di case capitanato dal campanile della Basilica e dai quali sorgono il monte Crosio e il monte Polenta, rimasugli di dolomia principale e souvenir dell’azione del ghiacciaio camuno. E la cornice è chiusa dalle creste di Bares che da Parè graffiano il cielo fino alla Regina. Eh già, altro che Roma. Tutte le creste portano alla Presolana. Conosco bene questa salita e so quando stringere i denti (quasi sempre) e quando rifiatare (quasi mai), nei pressi della chiesetta di Beur e dopo il bivio per il roccolo Zuccone, celebre per le sculture di legno di Giannino.

San Lucio – Clusone

> UNO SGUARDO AL DOMANI | Passo della Presolana – Val di Scalve >

Sarebbe ora di tornare a casa. Ma dopo averla sfiorata con lo sguardo, sento di dover chiudere il giro ai piedi della Presolana. Mentre racimolo le ultime energie rimaste, mi saluta qualche reduce dalla giornata sugli sci al monte Pora, al Donico o a Colere. D’altronde abbiamo tutti goduto della bellezza di queste  Magnifiche Valli e della loro voglia di restare genuine e cristalline. Sto già pensando alla prossima fuga. Dal passo della Presolana sporgo la testa sulla sponda, che con pendenze vertiginose ti proietta in Val di Scalve. Qui c’è un’altra salita che non vedo l’ora di riaffrontare, quando l’Orologio Planetario di Clusone indicherà mesi più caldi. Il Vivione aspetta, taciturno e paziente, come molti altri angoli della nostra terra ancora da scoprire. Bastano due ruote e un po’ di fantasia.

 

Articolo di Simone Trussardi e foto di Armin Hadziosmanovic per VALSeriana & Scalve Magazine – estate 2022